Pochi sanno che Giuseppe Garibaldi, durante lo sbarco a Marsala, nel maggio del 1860, portava sotto la camicia rossa un paio di pantaloni di tela blu, tradizionalmente utilizzati dai marinai genovesi, che noi, oggi, chiameremmo blue-jeans.
Del resto Garibaldi veniva da una famiglia di origine ligure, e pare proprio che dalla parola Jeane o Jannes (il nome inglese della città di Genova), o dalla pronuncia inglese di Gênes (nome francese della stessa città), nasca appunto il termine Jeans.
Era infatti diffusa l’abitudine di dare ai tessuti il nome della città in cui venivano prodotti, e così probabilmente la scritta Jeane impressa sui carichi di fustagno che, a partire dal Cinquecento, arrivavano a Londra dalla repubblica marinara di Genova (allora al suo apogeo), diventò il nome di questa tela, peraltro assai molto apprezzata per la sua robustezza e il suo basso costo.
A voler essere precisi, oggi col termine blue-jeans (o semplicemente jeans) si indica il pantalone con taglio a 5 tasche (di cui le posteriori cucite all’esterno), mentre il tessuto (un misto di cotone e lino) si chiama denim (anche questo dal nome della città di Nîmes, nella Francia meridionale).
Il fatto che questo taglio sia stato realizzato largamente ed abbia avuto successo con il tessuto denim, ha portato alla confusione dei concetti: il termine denim indica il tessuto, e non necessariamente di colore blu; il termine jeans identifica il taglio dei pantaloni, a prescindere dal tessuto impiegato (ve ne sono perfino in pelle).
A metà dell’800 un ebreo bavarese di nome Löb Strauss, emigrato negli Stati Uniti, fondò in California un’industria tessile con l’idea di fornire tessuti utili al lavoro nelle miniere per i cercatori d’oro. Inventò un nuovo tipo di indumento, oggi noto come salopette. Occorreva un tessuto molto robusto, e Strauss (che nel frattempo inglesizzò il proprio nome in Levi) utilizzò allo scopo la tela detta serge de Nîmes, il denim, appunto.
Nel maggio del 1873, insieme al sarto Jacob Davis brevettò il suo indumento, rafforzato attorno alle tasche con rivetti di rame.
Quasi cento anni dopo, proprio quell’indumento, usato dai marinai di Genova e dai lavoratori nell’America del West, divenne un simbolo globale della contestazione giovanile.
I jeans erano unisex, annullavano le differenze sociali, erano economici, erano l’antitesi del vestito borghese, erano blu come il cielo e l’utopia.
Insomma, la rivoluzione si poteva fare solo in blue-jeans.
PS. quelli di Garibaldi li potete vedere a Roma, al Museo Centrale del Risorgimento. Sulla gamba sinistra hanno anche una pezza: ricordo, pare, di un attentato al quale il leggendario eroe dei due mondi riuscì a scampare…
Roberto Ossani è docente di Design della Comunicazione ISIA Faenza, www.isiafaenza.it