Philomena di Stephen Frears è un film “popolare”, nella migliore accezione del termine. Ed è il nostro film consigliato del Natale. Racconta una storia emozionante, non rinunciando ad una certa dose di ruffianeria per coinvolgere il pubblico, suscitando commozione e riso. E affronta, in modo piuttosto deciso, alcuni temi scottanti. Un film, a modo suo, “militante”. Racconta della lotta di una personale semplice ed umile contro una istituzione forte e potente. Mette in rilievo la profonda umanità della protagonista che, pur essendo profondamente cattolica e priva di grandi strumenti culturali, è capace di accettare con grande naturalizza la scoperta dell’omosessualità del figlio
Al centro del film ci sono due personaggi, entrambi stanno affrontando una grave difficoltà esistenziale. Sono tra loro molto diversi, così come sono profondamente distanti tra loro i mondi da cui provengono. Queste differenze sembrano rendere piuttosto improbabile la possibilità, non solo di un incontro, ma anche di una qualche forma di condivisione. Eppure è questa la storia, basata su fatti realmente accaduti, che il film ci racconta, del loro incontro e della nascita di un legame profondo, che li aiuta nella loro ricerca di una via di uscita dalla propria crisi personale.
Dei due protagonisti spicca in particolare la figura di Philomena. Giunta ad una veneranda età, non è ancora riuscita ad elaborare un trauma della sua giovinezza. Non ancora maggiorenne rimase incinta in seguito ad un incontro occasionale con un suo coetaneo (ricordato con tenerezza). Venne affidata ad un istituto religioso che si occupava dell’accudimento delle ragazze madri (sono le famigerate Magdalene Sisters, già oggetto di un duro film di denuncia di Peter Mullan, vincitore del Leone d’oro a Venezia nel 2002). La logica seguita dall’istituto era ferrea e senza compassione: le madri erano peccatrici della peggior specie, che avrebbero dovuto espiare la loro colpa per tutta la vita. Non erano degne di occuparsi dei figli, il frutto della loro lussuria. Per questo motivo essi erano sottratti alle madri dopo il loro svezzamento, ed affidati in adozione a famiglie rispettabili ed affluenti, capaci della giusta riconoscenza verso l’istituto religioso. Le madri, soggette ad un regime quasi carcerario, erano indotte a sottoscrivere liberatorie con le quali rinunciavano ad ogni diritto nei confronti dei loro figli.
L’altro protagonista del film è Martin Sixsmith, un giornalista che, dopo una brillante carriera come corrispondente della BBC, ha ricoperto un ruolo di spicco in quell’area intermedia tra l’informazione e la politica, finendo però col bruciarsi professionalmente in seguito al coinvolgimento in uno scandalo.
Un po’ per caso viene a conoscenza della storia di Philomena e decide, dopo aver superato mille dubbi, di aiutarla nella sua ricerca del figlio, con l’obiettivo di ricavarne un articolo del tipo “storia di vita vissuta”, un genere da lui, che viene dal giornalismo “serio”, profondamente disdegnato. Dello sviluppo della storia non vi diciamo altro, se non che esso ha momenti profondamente drammatici, ai quali tuttavia si accompagnano scene dalla comicità irresistibile. Esse nascono dalle grandi differenze tra Philomena, donna schiettamente popolare, semplice e sentimentale, grande lettrice di romanzetti rosa e Martin, navigato uomo di mondo, colto e con una buona dose di cinismo.
Philomena è stato presentato, in concorso, all’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Può essere interessante, perché ci dice molto del film, raccontare il modo in cui è stato accolto.
Per gran parte del pubblico e della critica è stato il film più emozionante e il candidato ideale per l’assegnazione del Leone d’oro. La Giuria, che ha espresso uno “sguardo” molto cinefilo (come confermato anche dai film premiati, a partire dal documento di Rosi, o dal film, notevole ma estremamente ostico, di Tsai Ming-Liang), lo ha invece clamorosamente snobbato, assegnandogli un premio marginale di consolazione (l’Osella per la migliore sceneggiatura), ed escludendolo anche dalla premiazione per la migliore interpretazione femminile (Judi Dench).
Il film, inoltre, ha avuto a Venezia due premi collaterali significativi, perché destinati a segnalare opere che pongono in evidenza tematiche di particolare rilevanza: il Queer Lion per il miglior film con tematiche omosessuali e il premio BRIAN, assegnato dall’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, al film che meglio rappresenta i valori della laicità.
ALDO ZOPPO E DARIO ZANUSO
Philomena, di Stephen Frears, Gran Bretagna 2013