Giuseppe Battiston: un’invenzione senza invenzioni

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Giuseppe Battiston, L’invenzione della solitudine - foto Bepi Caroli
Giuseppe Battiston, L’invenzione della solitudine - foto Bepi Caroli
Giuseppe Battiston, L’invenzione della solitudine – foto Bepi Caroli

«Un giorno c’è la vita. Per esempio, un uomo sano, neanche vecchio, senza trascorsi di malattie. Tutto è com’era prima e come sarà sempre. Passa da un giorno all’altro pensando ai fatti suoi, sognando solo il tempo che ancora gli si prepara. Poi, d’improvviso, capita la morte»: inizia così L’invenzione della solitudine, racconto autobiografico che Paul Auster pubblicò nel 1982 e che ora il Teatro dell’Archivolto di Genova mette in scena con l’indubbiamente capace Giuseppe Battiston. Lo spettacolo è pienamente in linea con le scelte produttive di questo Teatro Stabile di Innovazione, una Fondazione che collabora abitualmente con attori di fama (come Bisio e Marcorè) e con scrittori noti (tra gli altri: Benni, Pennac, Sepulveda, Serra, McEwan). Un teatro per tutti, che punta sui grandi nomi: fin qui, ovviamente, nulla di male.

Giuseppe Battiston, L’invenzione della solitudine - foto Bepi Caroli
Giuseppe Battiston, L’invenzione della solitudine – foto Bepi Caroli

In questo spettacolo, invece, qualche carenza c’è. Innanzitutto, la scelta di un testo che, smaccatamente, non può non toccare chiunque: si narra di rapporti sofferti con il padre assente e di tenerezza per il figlio piccolo (alzi la mano chi ne è esente). Viene in mente la quarta di copertina di Storia di un corpo di Daniel Pennac: «Un romanzo fortemente raccomandato a tutti quelli che hanno un corpo». Bingo. Raccontare storie in cui ciascuno si possa riconoscere non è certo un difetto, anzi. Ma qui si va oltre. La messa in scena si fonda unicamente su un testo che enfatizza davvero in eccesso la dimensione emotiva («Se per salvarlo fosse stato necessario morire, l’avrei fatto senza esitazione. Forse solo in quel momento di paura ero diventato davvero, una volta per sempre, il padre di mio figlio») e su simboli banalmente psicanalitici, tra Freud e Jung: un grande specchio semitrasparente attraverso cui guardarsi e guardare, vecchie lettere ritrovate in un cassetto, giacche vuote e scarpe sparse a terra. L’invenzione della solitudine non offre alcun guizzo. Paradossalmente, nessuna invenzione. Solo qualche lacrimuccia troppo, troppo facile.

MICHELE PASCARELLA 

 

12 febbraio 2014, Teatro dell’Archivolto/Giuseppe Battiston, L’invenzione della solitudine, Teatro Masini, Faenza. Info: accademiaperduta.it