Sono nei guai. Lo ammetto. E la dimostrazione di quanto lo sia sta nel fatto che questo film(ettino) l’ho visto una settimana prima di Godzilla. E questo lo scrivo dopo quello sul mostrone giapponese. A dimostrazione del fatto che ho dovuto farlo macerare bene e, per scriverci su qualcosa, ho dovuto pure mandar giù quella specie di amarezza che mi aveva preso alla fine della proiezione.
Niente a che vedere col fastidio provato mentre aspettavo che ripartisse il film, durante l’intervallo. Perché mi fanno venire i nervi le sciurette del sabato sera, che dicono: “Eh beh, ma no eh, la regia è deludente veh…”. Tutte le volte che sento dire una roba del genere dalla sciuretta del sabato sera (ma in realtà da chiunque) avrei voglia di tirar fuori dal cartellone il regista, come succede in Io & Annie. Però la cosa, in questo caso, proprio non si sarebbe potuta fare. Perché Mazzacurati, il regista di cui sopra, è deceduto. E da qui la prima amarezza. Mazzacurati a me piace. Fin dalla Lingua del Santo (si si, ho recuperato poi quello che aveva girato prima), che mi aveva aperto un universo di piacevole leggerezza. Un po’ quello che si avverte, tare e non tare da farsi e disfarsi, nel film Zoran – il mio nipote scemo. Perché quel film lì, Zoran dico, l’avrebbe potuto girare quel Mazzacurati là: un po’ per i luoghi, un po’ per l’andamento ciondolante, un po’ per le facce e un po’ per quell’aria fra il picaresco e il sonnacchioso che ha l’atmosfera del film. Zoran, dico.
La sedia della felicità non sembra neanche un film di Mazzacurati. Sembra, cioè, un film fatto da qualcuno che vuol far finta di essere Mazzacurati, che è Mazzacurati, ma che non riesce del tutto a rendere l’idea di esserlo. Capito? No? Diavolo.
Pensate ad un quadro di Pollock. Poi pensate a quello che avete pensato anche voi di fronte a quei quadri: “Eh beh, ma no eh, quello lì sarei riuscito a farlo anch’io. Cosa ci vuole? Prendi il pennello quando dai di bianco e lo sgoccioli per terra. Cosa vuoi, son buoni tutti”. Bene: anche Pollock, avesse provato a sgocciolare il pennello mentre imbiancava la cucina, non sarebbe riuscito a rendere i suoi quadri. Perché dietro, mentre sgocciolava per i quadri e non per la cucina, c’era un qualcosa. L’inafferrabile dell’arte nel suo farsi. Prendetela per buona, questa cosa, e andiamo avanti. Che sennò rimaniamo qui tutto il pomeriggio.
Torniamo a noi: La sedia della felicità ha i personaggi di confine, il viaggio, lo scombinato tentativo di stare al mondo, l’incapacità di rapportarsi col reale e tutto il resto. Quello che manca è il collante. Manca la storia.
Ma come, direte voi, questi devono cercare delle sedie in cui è nascosto un tesoro, la quest, i pirati, i picari, le tappe, la crescita, l’amore…
Si, appunto: manca il collante, ripeto. Il film, questo qui della sedia, propone una serie di tappe (alcune davvero buffe, come quella a casa della sensitiva, e affascinanti, la casa del pescivendolo) ma non ha centro. Ha piuttosto un andamento centrifugo, con tanti personaggi che si trovano a recitare una piccola parte di un tutto a cui non si riesce a dare forma. Così l’apparenza è quella di un album di figurine su cui Mazzacurati ha appiccicato le ultime immagini che gli mancavano: Mastandrea, Battiston, il direttore della cineteca di Bologna, Isabella Ragonese (che poteva essere chiunque altra), Raoul Cremona, etc etc etc. O di un diario di ricordi con tutti gli amici suoi a far da contorno. Sepolcrale.
Cioè, per spiegarmi con parole poverissime, l’effetto è quello di chi va allo stadio a vedere la partita del cuore: eh…hai visto, c’è anche lui… uh, dai, guarda chi gioca terzino… ma no, hai sentito, entra in campo coso, quello che ha lavorato nel film di… eh, ma che coraggio, il rigore lo tira lei, come chi? la presentatrice…
E allora? Allora dispiace un po’. E lascia l’amaro. Perché è l’ultimo film di Mazzacurati, perché Mastandrea e Battiston li usa in ruoli in cui ormai rischiano di arenarsi, perché alla fine i due si mettono assieme (eh…ma dai…ci rovini la sorpresa!), perché ci sono tanti inutili camei buttati lì come se ce ne fosse a spreco. E perché a guardare i suoi film si aveva l’impressione, rara di questi tempi, di star guardando un film e non la televisione. Invece La sedia è, appunto, un varietà del sabato sera. Con la sciuretta seduta accanto al marito che dice: “Veh… ci sarà anche il Farinelli a fare il compianto…ma la regia l’è scadente…”. E la sciuretta non può, non deve, aver ragione.