Il tempo della fabbrica

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Max Alpert, Worker, 1930 © Max Alpert, Courtesy of Nailya Alexander Gallery, New York
Max Alpert, Worker, 1930 © Max Alpert, Courtesy of Nailya Alexander Gallery, New York

Accolti da tre grandi scatti di Brian Griffin, fotografo britannico tra i più acclamati nel genere del ritratto, nelle sale espositive si mescolano immagini di autori anonimi a quelle realizzate dai grandi artisti che hanno fatto la storia della fotografia come Robert Doisneau, David Goldblatt, il già citato Griffin, Jacqueline Hassink, Erich Lessing, Jercy Lewczyński, Ugo Mulas, August Sander e Josef Sudek, giusto per elencarne alcuni. Come spiega lo stesso Stahel: «Prima dell’avvento dell’industrializzazione, la vita e il lavoro seguivano il ciclo naturale e biologico: l’avvicendarsi delle stagioni, il sorgere e il tramontare del sole scandivano il ritmo della giornata e il corso dell’anno. Da un certo punto in poi, le esigenze della produzione hanno preso il sopravvento, hanno scandito il ritmo della giornata lavorativa, hanno stabilito a che ora il lavoratore dovesse puntare la sveglia per recarsi al lavoro. Ecco perché parliamo di tempo della fabbrica: nel mondo dell’industria, per la prima volta, le ore di lavoro e le ore di tempo libero sono state quantificate e regolamentate dal suono delle sirene, dai controlli all’entrata e, in ultimo, dalla timbratura del cartellino».

Testimoni di attimi di svago e di distrazione così come di lavoro intenso e frenetico, di momenti di gioia e di fatica, di violente proteste e di profonda rassegnazione nei confronti di un sistema invincibile, o utilizzate come veri e propri strumenti per la propaganda di regime, le immagini in mostra colgono la differenza tra chi ha sfruttato selvaggiamente il «capitale umano» e chi ha fatto degli operai e delle loro competenze il punto di forza della propria produzione. Significativo a riguardo l’accostamento tra il ritratto di Gianni Agnelli opera di Erich Lessing e l’operaio dell’AMGA di Enrico Pasquali. Dai luoghi destinati alla produzione in serie, a quelli dedicati al lavoro femminile, passando per le scrivanie dell’intellighenzia al comando dell’impresa, fino alla vita oltre la fabbrica in quei sobborghi operai che hanno accompagnato lo sviluppo industriale di ogni città, ogni aspetto dell’industrializzazione e della vita dell’uomo è documentato e raccontato.

Immagine dopo immagine, Il Capitale Umano nel Mondo dell’Industria si rivela una mostra da non perdere e conferma come, in poco più di un anno, il MAST si sia imposto come uno dei luoghi più interessanti da seguire nella scena artistica bolognese e non solo, centro all’avanguardia per il recupero della memoria storica del patrimonio industriale attraverso il mezzo fotografico unico in Italia nel suo genere.

LEONARDO REGANO

 

Il capitale umano nell’industria – Bologna, Mast, via Speranza 42 – fino al 30 agosto – Apertura. mar-sab: 10-19 – Ingresso gratuito – Info: fondazionemast.org