Richard Thompson, con pochissimo Wilco!

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Non credevo io potessi arrivare a (in parte) stroncare un disco di Richard Thompson – e invece, sempre mosso dal sacro fuoco dell’onestà intellettuale, mi tocca fare anche questo. Still, prima di tutto, ti fa chiedere perché il grande autore e chitarrista inglese trapiantato da diversi decenni in California abbia scelto Jeff Tweedy (Wilco, Uncle Tupelo) come produttore – certo, Richard e Jeff hanno approfondito l’amicizia un paio di anni fa durante il festival AmericanaramA organizzato da Bob Dylan, ma il punto non è questo – il punto è perché scegliere un produttore come Tweedy, che ha messo pure a disposizione il suo studio di Chicago, e semplicemente non sfruttare il potenziale che un incontro del genere potrebbe offrire? Se con Buddy Miller alla console Electric (2013) diede gli ottimi risultati di equilibrio di stile fra due forti personalità, e chi conosce Thompson sa perfettamente che lo stesso accadde con Joe Boyd, naturalmente, e Mitchell Froom, la nuova, inedita accoppiata di Still non si capisce perché sia lì e lì a far cosa – il disco suona dall’inizio alla fine come qualsiasi classico album di Richard Thompson, peraltro pure con un fortissimo accento di cliché dettato anche forse dalla oramai veneranda età del nostro eroe (e non se ne può fargliene una colpa, peraltro), senza che di Jeff Tweedy non vi sia benché minima traccia, né di sound né di atmosfere, se non nei crediti di copertina. Insomma, la parziale delusione è più che serpeggiante.

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Parlare dei brani bisogna farlo immediatamente con quello che veramente non piace, così ci caviamo il dente – che certamente è il pasticche posto in epilogo di Guitar Hero, collage di memorie giovanili e stili chitarristi (Chuck Berry, Django Reinhardt, Jerry Reed, Creedence Clearwater Revival, James Burton, Davy Graham, Jefferson Airplane), tutto in vaga sequenza progressive che se dal vivo sarebbe un bel siparietto di cabaret, in un disco, specie se di un monumento di serietà e avanguardia come Richard Thompson, non ha granché senso e, anzi, a un vecchio e dedito ascoltatore della sua musica può creare anche un certa insofferenza. Insofferenza che non si placa nemmeno quando Thompson sfocia nello svenevole con la ballata acustica Josephine e neppure con l’opener (e Richard è sempre stato un maestro degli opener!) She Could Never Resist A Winding Road, dove francamente l’odore di naftalina è ovunque – e lo stesso discorso vale per Patty Don’t You Put Me Down o per Broken Doll, dove il giro di chitarra è di quelli di cui l’artista ha abusato nella sua intera carriera.

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Poi però, signori, stiamo parlando sempre di Richard Thompson, uno dei più grandi – e pertanto la roba buona si trova sempre se si cerca bene, tipo il tocco lieve e very British di Beatnik Walk che racconta il tutto come fosse un Charles Dickens moderno, oppure in Long John Silver che sembra strappata a forza da qualunque di quei magnifici album di fine anni Ottanta/inizio Novanta “alla conquista dell’America” che avvicinarono Thompson a un pubblico più vasto. Anche Where’s Your Heart sa di usato ma è di quello sicuro e sta dalla parte buona di Still, il quale raggiunge il massimo verso il finale dove snocciola i ritmi frenetici quasi punk rock di No Peace, No End che sa molto di X (corsi e ricorsi! Richard & Linda Thompson, Exene & John Doe…) e con un testo che di Thompson potrebbe essere un manifesto programmatico – e sempre in tema California ma più immacolata che quella degli X, Dungeons For Eyes, oltre a essere forse il momento magico dell’album, con quelle aperture e quella chitarra che viaggia in scioltezza fra Byrds e Jefferson Airplane, si colloca tranquillamente nell’empireo dei nuovi classici dell’artista.

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E nell’attesa che Richard Thompson giunga in Italia per le uniche date dai noi del 2015 con i fidi quanto collaudatissimi Michael Jerome alla batteria e Taras Prodaniuk al basso (3 ottobre al Teatro Nuovo di Treviglio e il 4 all’Orion Live Club di Roma, info@geomusic.it 035/732005 – affrettarsi per i biglietti, che paiono essere in rapido esaurimento), Still lascia un po’ delusi un po’ no – e soprattutto, Jeff Tweedy chi l’ha visto, chi l’ha sentito? Non sappiamo come piacciano tè e caffè a RT ma sicuramente a questo giro con poco, pochissimo Wilco! Poi, chissà, il tutto è solo servito a Jeff Tweedy per prendere appunti – e magari far suonare il prossimo album del suo gruppo (quello vero, non un regalino download) come Full House (1970) dei Fairport Convention…

CICO CASARTELLI

RICHARD THOMPSON – Still (Proper Records)

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