I fantasmi di Strasse, a Santarcangelo

Alcune note sull’opera realizzata al Festival dalla Compagnia fondata da Francesca De Isabella e Sara Leghissa.

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Strasse, HM / House Music Santarcangelo

 

HM / House Music Santarcangelo inizia prima che HM / House Music Santarcangelo, propriamente, inizi.

Un giardinetto nella periferia del paese, case popolari attorno, un piccolo campo da basket, tre quadrati concentrici di sedie, il pubblico del Festival con cartellini d’ordinanza mescolato al pubblico vero, di molte età e molti colori.

Prendiamo posto. Nella fila davanti a noi, al lato opposto del minuscolo spazio di cemento vuoto, due noti critici teatrali milanesi aspettano seduti di fianco a una signora mulatta con prole che continua a infilare le scarpe a una bimba che senza posa se le sfila, mentre una donna con turbante dice alla vicina: «Quello che conta non è il risultato, ma quello che abbiamo fatto per arrivare qui». Un uomo di forse sessanta anni con zigomi pronunciati e pelle segnata dal sole, camicia aperta e catenone d’oro d’ordinanza, se ne sta impettito e famelico, capelli lunghi e occhi che ridono.

L’opera è il mondo, si potrebbe sintetizzare: Theatrum Mundi.

 

Franco Vaccari, Esposizione in tempo reale – Lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio, 1972

 

«Strasse» si legge sul web «è una Compagnia fondata a Milano nel 2009 da Francesca De Isabella e Sara Leghissa. Lavora sul linguaggio performativo legato all’espressione del corpo in relazione al paesaggio urbano, e sul linguaggio cinematografico come filtro di osservazione della realtà. Strasse nasce dal desiderio di spostare il linguaggio teatrale e quello cinematografico negli spazi della città, attingendo e lasciandosi influenzare dai suoi ambienti, dalle temperature e dai segni, senza riqualificare o sconvolgere questi luoghi nel loro significato, ma sottraendoli al flusso del quotidiano e trasportandoli, per un momento, altrove».

HM / House Music Santarcangelo è costituito, di fatto, da una serie di canzoni che, seduti, semplicemente ascoltiamo: da Alicia Keys a Gianni Morandi, dai Led Zeppelin ad alcuni cantanti pop cinesi dai nomi (per noi) impronunciabili. Tutti i brani sono stati “suggeriti” dagli abitanti del quartiere, esito di un percorso di interazione che costituisce di fatto il senso vero del lavoro: un’attitudine che, ça va sans dire, inscrive questa proposizione in una genealogia che annovera, fra i molti, le passeggiate dadaiste nelle anonime periferie di Parigi e le foto anti-liriche che in quegli stessi luoghi e anni scattava Eugène Atget, l’Esposizione in tempo reale di Franco Vaccari a Venezia nel 1972 e le Sculture Invisibili di Gino De Dominicis, i piedistalli di Piero Manzoni e quelli, qualche decennio più tardi, di Miranda July. Volendo affacciarsi alla declinazione eminentemente sonora, già che questo è il medium che Strasse ha deciso di mettere in evidenza in HM, come non pensare alla traiettoria che, originatasi oltre un secolo fa con la pratica “accogliente” di Luigi Russolo, passa da 4’33’’ di John Cage per approdare alle sperimentazioni estetiche di Christina Kubish e Achim Woolscheid, et ultra?

 

Gino de Dominicis, Piramide invisibile, 1969

 

Per precisione: qui si usa l’aggettivo estetico in senso “filosofico”, come contrario di anestetico, non di inestetico.

A tal proposito: Alexander Gottlieb Baumgarten, nel 1735, in un suo breve trattato pre Aesthetica ragiona sulle idee, distinguendole tra noetà (quelle “pensate”) e aisthetà (quelle “sentite”), a loro volta suddivise in sensualia (le sensazioni percepite col corpo, qui e ora) e phantasmata (le “sensazioni assenti”, di cui resta traccia nella memoria o che sono prodotte dall’immaginazione). Ed è proprio lì nel mezzo, nello iato tra sensualia e phantasmata (tra il qui e l’altrove, potremmo dire), che pare collocarsi HM, performance che fa del “confondere” (nel senso etimologico di “versare” un elemento nell’altro) spinte opposte (presentazione e rappresentazione, presenza e assenza, materiale e immateriale, tempo presente e tempo passato) la sua cifra più preziosa.

In questo senso è grandemente indicativo il libretto di sala che viene consegnato prima dell’inizio: al contrario di quello tradizionalmente utilizzato per l’opera, mediante il quale lo spettatore è aiutato a capire meglio ciò che vede, in questo caso il punctum, per dirla con Barthes, è ciò che non si vede: «quello che è stato fatto per arrivare qui», direbbe la signora con il turbante. In corrispondenza di ogni canzone sono indicati il nome della persona che l’ha suggerita, il luogo in cui ciò è avvenuto, un commento della stessa e un’azione compiuta nel mentre: cicce masticate e Angoli della Piada, piastrelle e «un po’ d’amore ci vuole sempre», smalti rossi sui mignoli e sorrisi, «mi tira fuori quello che non ho, che vorrei avere» e balconi, Chiese Evangeliche e telefoni cellulari, citofoni e «voglio stare qui tutta la vita».

 

Strasse, HM / House Music Santarcangelo

 

Le artiste di Strasse si pongono, con attitudine affatto contemporanea, come attivatici di processi estetici, immerse in una ricerca che «genera la possibilità nello spettatore di trasformare il suo punto di vista, permettendogli di vedere con un’attenzione diversa ciò che già esiste, al fine di creare cornici sulla scena e sulle cose».

HM è l’esito di un percorso etimologicamente teatrale che potrebbe forse essere sintetizzato da un’immagine trasparente: Painting to let the evening light go through, istallazione di Yoko Ono del 1961 costituita da un rettangolo di plexiglas attraverso cui (semplicemente?) vedere il mondo: esso è lì e certe volte basta solo guardarlo.

E ascoltarlo.

 

MICHELE PASCARELLA

 

Visto e ascoltato al Campetto Carracci di Santarcangelo di Romagna (RN) in occasione di Santarcangelo Festival il 15 luglio 2017 – info: casastrasse.org, santarcangelofestival.com