A cosa serve l’utopia?

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Mladen Stilinović, Sale of Dictatorship, 1977-2000 Stampa a getto d’inchiostro, 18 x 28 cm © l’artista. Courtesy Fondazione Cassa di Risparmio di Modena

A cosa serve l’utopia? E’ questa la domanda che si pone Eduardo Galeano (1940-2015) nel suo Parole in cammino. E lo scrittore uruguaiano si risponde “a camminare”. L’utopia è per lui un orizzonte mai raggiungibile che si allontana da noi di tanti passi quanti ne facciamo.

La mostra alla Galleria Civica di Modena curata da Chiara Dall’Olio e Daniele de Luigi  attraverso una selezione di fotografie e video di artisti e fotografi italiani e internazionali, esplora il concetto di utopia, la sua continua tensione tra fiducia nel futuro e amara disillusione.

Il percorso di mostra si compone di opere provenienti dai patrimoni della FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE, nello specifico la Raccolta della Fotografia avviata nel 1991 con la donazione della raccolta dell’artista e fotografo modenese Franco Fontana. Ad essi si aggiungono importanti prestiti dagli archivi della Magnum, la prestigiosa agenzia fondata a New York e Parigi nel 1947 da Henri Cartier-Bresson, Robert Capa, George Rodger e David Chim Seymour.

Iosif Király, Reconstruction, Mogoşoaia, Lenin, Groza, 2a, 2006
cCprint, 63 x 182 cm © Iosif Király. Courtesy Fondazione Cassa di Risparmio di Modena

A cosa serve l’utopia istituisce una duplice dialettica: quella tra la ciclica alternanza di costruzione e frantumazione di un ideale, ma anche un dialogo serrato tra immagini create per differenti scopi — le une usate per raccontare a caldo sui media l’attualità politica, le altre per riflettere a freddo su fallimenti e cambiamenti, eredità e prospettive — che dà vita a un confronto tra pratiche fotografiche apparentemente contrastanti eppure profondamente connesse.

Il racconto parte dal 1968, dagli  studenti parigini, fotografati da Bruno Barbey, si passano di mano in mano dei sampietrini. Segue Omaggio ad Artaud di Franco Vaccari che celebra il potere dell’invenzione linguistica di far immaginare ciò che non esiste, e prosegue con alcune immagini evocative dell’utopia comunista: dalla gigantografia di Lenin fotografata da Mario De Biasi a Leningrado (1972) all’immagine creata dal rumeno Josif Király di alcuni ragazzi che nel 2006 passano il tempo libero seduti su una statua abbattuta del leader sovietico o ancora, Piazza San Venceslao a Praga nel 1968, fotografata da Ian Berry e gremita di giovani che si ribellavano all’occupazione russa.

Beirut 1982 (c) Chris Steele-Perkins/Magnum Photos/Contrasto

Il percorso prosegue con alcune immagini riferite al Medioriente e ai suoi conflitti mai sanati: da quello iraniano con la rivoluzione khomeinista, testimoniata da uno scatto di Abbas nel 1978 e la rilettura fatta di quegli eventi in Rock, Paper, Scissors (2009) da Jinoos Taghizadeh — che marca l’enorme distanza che separa speranze di cambiamento e realtà — al conflitto israelo-palestinese, evocato dalle torri militari di avvistamento presenti in Cisgiordania che Taysir Batniji ha chiesto di documentare clandestinamente a un fotografo palestinese (2008), fino alle lettere che un detenuto libanese, imprigionato durante l’occupazione israeliana nel Libano meridionale, ha inviato dal carcere ai suoi cari e che Akram Zaatari ha fotografato nel lavoro Books of letters from family and friends (2007). Completa questo gruppo di opere uno scatto di Charles Steele-Perkins che racconta proprio quei disordini del 1982.

Conclude il percorso il video di Yael Bartana A Declaration (2006), in cui un uomo a bordo di un’imbarcazione approda su uno scoglio dove campeggia una bandiera israeliana e la sostituisce con un albero di ulivo, sembra indicarci ciò che è necessario per perseguire questo ideale: visionarietà, coraggio, simboli condivisi, poesia.

Fino al 22 luglio 2018

Galleria Civica di Modena, Palazzo Santa Margherita, Corso Canalgrande 103, Modena

Info: galleriacivicadimodena.it

 

(l.r.)