Cose da “grandi”, la generazione Z e i riti di passaggio

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Chi non attende con ansia l’arrivo della maggiore età? I 18 anni segnano ufficialmente l’addio dall’adolescenza, un traguardo simbolico per lo sviluppo di ogni ragazza o ragazzo. Ma la generazione Z è pronta per questo salto nel vuoto?

Sacrificio. Quello che pare richieda costantemente la vita adulta. La necessità di cedere volontariamente parte della propria autonomia per qualcosa di più nobile, un obiettivo, un sogno. Non si impara a sacrificarsi nella notte antecedente i sweet eighteen, ma in anni di pratica, anche inconscia, che portano noi ragazzi – chi prima, chi dopo – a comprendere l’importanza di un posto nel tessuto sociale.

Noi adolescenti siamo severamente criticati, in special modo da genitori e insegnanti (ma anche i media non scherzano) che tendono a confrontare la loro adolescenza con la nostra. Dimenticando che gli ultimi venti anni sono stati quelli più incredibilmente all’insegna del cambiamento dell’intera civiltà umana. La storia ha preso un altro corso: le innovazioni tecnologiche hanno portato modificato le relazioni interpersonali e stravolto l’approccio dei giovani col mondo.

Si accusano gli adolescenti di essere distratti, impulsivi, violenti, irresponsabili. Certo, viviamo appieno una vorace fase di cambiamento, di insaziabile trasformazione individuale, di sperimentazione. Ma raramente i risvolti di questa metamorfosi sono tanto negativi quanto vengono dipinti. Per dimostrarvelo vi raccontiamo alcuni riti di passaggio all’età adulta i cui giovani protagonisti hanno dato prova di grande coraggio, volontà di partecipazione cura del prossimo. Ecco le loro storie. (c.p.)

ALFA 2, RICEVUTO

Intorno è tutto stranamente calmo, contrariamente a ciò che sta avvenendo dentro di me. Tra poco salirò per la prima volta in ambulanza come terzo soccorritore, dopo aver preso parte per alcune settimane ad un corso di formazione organizzato dalla Pubblica Assistenza di Ravenna. Il cuore palpita e la mente viaggi in lungo e in largo cercando di immaginare cosa potrà accadere di qui a 5 minuti. Ovviamente, come prima esperienza in ambulanza non potrò fare emergenza su incidenti, ma solamente ‘trasporti semplici’ di pazienti dializzati o dimessi dall’ospedale. Dopo minuti che mi sono sembrati eterni arriva la chiamata: serve il nostro aiuto.

Il primo paziente che accompagniamo a casa, dopo che ha trascorso alcuni mesi in ospedale, ha grosse difficoltà legate alla mobilità degli arti inferiori e per questo è stato necessario il nostro aiuto. Di questo mio primo trasporto non potrò dimenticare una frase che mi ha raggelata, quella che il signore ha sussurrato alla figlia a bordo con noi, confidandole di non essere più felice vivendo in quel modo.

Ora ci dirigiamo di nuovo in ospedale, dove ci attende un’esile signora provata dopo una delle tante sedute di dialisi. Sulla lettiga il suo corpo è immobile lungo il tragitto fino a casa. Solo gli occhi vagano sfiniti sulle pareti dell’ambulanza. L’oscurità della notte è scesa e il turno ormai è terminato. Prima di tornare in centrale però, riaccompagniamo a casa un altro paziente, un signore affaticato dopo il ciclo di emodialisi appena terminato ma nonostante questo, energico e con tanta voglia di vivere. Mi rendo conto di quanto le persone fragili reagiscano in modo diverso di fronte al dolore e alle difficoltà. È stata una giornata impegnativa che porterò sempre nel cuore, ricca di emozioni che non avevo mai provato prima. Sarò sempre grata alla possibilità che mi sono data, aiutando chi è più in difficoltà. Forse è prematuro dirlo, ma credo proprio che questo sarà il mio mondo, in un futuro poi non così lontano. (m.b.)

VOLONTARI? VOLENTIERI!

Durante una delle ultime ore di Religione fatte a scuola ci è stata offerta la possibilità di fare volontariato presso la Caritas di Ravenna per una settimana, durante le vacanze estive. Se in un primo momento eravamo titubanti riguardo alla proposta, dopo averci riflettuto ci è sembrata una preziosa opportunità quella di aiutare i più bisognosi.

Nel corso di queste giornate ci siamo dedicati alla preparazione e distribuzione dei pasti a tutti coloro che ne avevano bisogno. L’ambiente è stato molto stimolante, abbiamo avuto la possibilità di conoscere persone della nostra età e gli organizzatori sono stati molto disponibili. Nonostante il caldo, ci siamo divertiti sia nell’aiutare i cuochi a cucinare sia nell’accogliere le persone che arrivavano. Abbiamo addirittura organizzato contest di torte tra noi ragazzi!

Diverse persone hanno condiviso con noi le loro storie: alcune ci hanno commosso, di altre abbiamo sorriso insieme. Ci sono entrate nel cuore con le loro varie sfaccettature e si è creata una grande famiglia. Ci ha colpito l’attenzione degli organizzatori nel preparare pasti di qualità, anche per coloro che avevano esigenze alimentari particolari. Tutti vengono accolti indistintamente, senza discriminazioni e pregiudizi: una grande ispirazione per noi! Abbiamo mantenuto i contatti con le persone con cui abbiamo condiviso quelle giornate. È stata un’esperienza che non dimenticheremo. (c.s. – a.t.)

LA TESTA TRA LE NUVOLE

«18 anni è un’età importante, sto diventando adulto, Devo fare qualcosa di indimenticabile e che esalti questo traguardo… Un festone con amici e parenti? Banale… Potrei iscrivermi a scuola guida e prendere subito la patente, ma quello posso farlo anche dopo… Ci sono! Mi lancio col paracadute! Ho deciso…». Una caduta libera di oltre quattro chilometri. Ecco come ho scelto di festeggiare i miei 18 anni.

8 agosto 2020, centro Skydive Pull Out di Ravenna. Sono arrivato due ore prima, per vedere i lanci precedenti il mio e tentare di prepararmi mentalmente. Provo allo stesso tempo adrenalina e ansia. Ovviamente non mi lancerò solo, ma in tandem, con un istruttore attaccato dietro di me, che fin da subito, dopo essersi presentato, inizia a tranquillizzarmi spiegandomi che tutto si svolgerà in grandissima sicurezza e che io dovrò solo godermi il viaggio e rispettare le sue indicazioni.

Dopo aver indossato l’imbragatura e risposto a domande di routine è il momento di partire. L’aereo è piccolo, uno di quelli per i voli turistici, e pieno di esperti paracadutisti. Poi ci sono io, il più giovane, terrorizzato da questa interminabile salita per raggiungere la quota lancio. Il momento tanto atteso è arrivato, gli altri sull’aereo si sono già buttati: manco solo io. Con un secco movimento io e il mio istruttore ci posizioniamo sulla soglia del portello. Sono seduto su di lui, con le gambe a penzoloni nel vuoto, sento solo il rombo del motore. Poi, davanti a me vedo delle dita, sono quelle del mio istruttore che iniziano il conto alla rovescia 3,2,1… Via!

Senza pensieri né ripensamenti mi lascio andare e poi… adrenalina pura, in caduta libera a 250 chilometri orari. Non riesco a tener le gambe e le braccia ferme, esaltatissimo, urlo e faccio gestacci alla telecamera pochi metri di fronte a me (la porta un altro ragazzo che mi ha affiancato durante la prima parte di discesa). Dopo 45 secondi di libertà assoluta, raggiunti i 1.500 metri di quota, l’istruttore apre il paracadute. Una «botta» fortissima al collo, ma senza avvertire alcun dolore, probabilmente, per l’eccessiva adrenalina in circolo. Una volta aperto il paracadute, riesco solo a ripetermi senza sosta due parole: che figata. (m.c.)

 

Esperienze come queste rimangono scolpite nel cuore. E sono la dimostrazione di come noi ragazzi, della generazione Z, non siamo come la maggior parte delle persone ci dipinge: spenti, ottusi e privi d’interessi e valori. Siamo energici, vogliosi di fare e di affermarci, di spingerci al di là del nostro piccolo universo di certezze per esplorare mondi nuovi. Noi giovani siamo tante cose, sorprendenti e singolari, che devono farvi sperare in un futuro limpido e luminoso. (l.e.)

 

di Chiara Piazza, Matilde Bissi, Claudia Shqalsi, Alessia Toma, Matteo Casadio e Linda Evangelista, 5 E, Liceo scientifico Oriani, Ravenna