Mostri di resistenza. Che cosa c’è da ridere?

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Famiglia Ovitz

La settimana scorsa mi hanno raccontato una storia. Un gruppo di ragazzi sui 35 decide di festeggiare l’addio al celibato di un amico. Si tratta di tredici maschi, economicamente indipendenti, lavoratori. Sono tutti in possesso di un diploma di scuola secondaria, nati e cresciuti in una provincia di medie dimensioni dell’Emilia-Romagna, regione del Nord Italia situata in quell’Occidente che si descriverebbe come “progredito”. Qualcuno è già sposato, alcuni hanno una compagna, a cercar bene si potrebbero individuare anche due o tre padri. Aitanti uomini nel pieno delle proprie esistenze che si organizzano per andare alla conquista di una capitale europea.

Sarà divertente, scorrerà alcol a fiumi, mangeranno fuori, verrà forse la voglia di visitare un museo. Il festeggiato sarà al centro delle attenzioni, si farà dell’ironia sulla castrazione della scelta monogamica nella quale si è andato a cacciare, e per stemperare ansie e preoccupazioni sarà per di più organizzata una sorpresa coi fiocchi: una serata con noleggio a pagamento di una donna nana. Con lei, brindando in giro per locali, sai quante foto. Su di lei, sarà facile sperticarsi in grasse risate. Fino a un certo punto, però: insieme alla donna nana, i magnifici tredici, ancora non sanno di aver affittato una bodyguard, giovane maschio ricco in muscoli, pronto a stabilire ad armi pari un nuovo limite tra cosa è lecito, e cosa no.

L’etica positivista delle forme 

Facciamo adesso un salto di 150 anni, quando Charles Darwin, nel testo del 1872 L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, ha provato a individuare segni comunicativi universali e innati utili alla manifestazione di stati emotivi indispensabili alla sopravvivenza:

  • felicità, che rinsalda il legame di attaccamento tra individui,
  • tristezza, che esacerba risposte consolatorie,
  • paura, che induce il caregiver ad allontanare lo stimolo avversivo,
  • sorpresa, che muove a focalizzare l’attenzione sullo stesso stimolo da cui è colpito chi la manifesta,
  • disgusto, che si fa portatore di importanti indicatori, come il fatto che un cibo possa essere intossicante, e ci conduce ad allontanarci da ciò che lo provoca.

Immaginate un organismo neonato. L’insorgenza, istintiva come la capacità di decifrarle, di queste sei emozioni si comporta come trasmissione pre-verbale di significati, che guida chi si prende cura del bebè nel fare scelte corrette per assicurare lo stare in vita di chi ancora non può garantirselo in autonomia. Darwin arrivò a queste conclusioni tramite l’ispezione della mimica neonatale in diverse specie, e anche in bambinə ciechə, dimostrazione ulteriore della impossibilità che tali espressioni potessero esser culturali, cioè apprese tramite osservazione.

Il disgusto, nello specifico, non nasce quindi come antivalore (provare disgusto per ciò che è abietto e moralmente reprensibile), e si differenzia sotto questo punto di vista dal brutto. Si tratta di un rifiuto istintivo a livello fisiologico e viscerale, che passa attraverso i sensi – in modo specifico quello dell’olfatto, e non è mediato dalla sfera cognitiva. Però. Pensiamo alla questione degli alimenti che ci suscitano repulsione. Sussu, la cana che vive con me, è ghiotta di feci di altri animali, per lei ricche di gusto perchè piene di proteine alle quali non ha solitamente accesso. Io, che vivo nella patria del Parmigiano Reggiano, i formaggi stagionati non riesco nemmeno a toccarli, figuriamoci a mangiarli. Sento per i formaggi quello che la maggioranza degli esseri umani potrebbe provare al pensiero di fare quello che fa Sussu con le feci.

A un certo livello, forse più vicino all’estetica e al sentimento che alla sopravvivenza e all’emozione, possiamo dire che la sfera educativa e culturale viene in realtà a essere decisamente coinvolta quando si tratta di categorizzare il mostruoso, che ci disgusta e ci fa orrore. L’orrore, a propria volta, ci allontana dalla fonte che lo provoca, a differenza del grottesco, che con il mostruoso condivide la paura, la repulsione e la causa dettata da uno squilibrio, ma al contempo provoca il riso, sebbene svuotato dalla sua componente gioiosa. Che tipo di euforia avrà provato il nostro gruppo di amici? Quando riguarderanno le foto di quella famosa notte con la donna nana scorgeranno felicità nei loro sorrisi?

 

Saartjie “Sarah” Baartman

 

Sempre tra ‘800 e ‘900, a ulteriore riprova del legame tra etica e forme, proprio una interpretazione di come il disgusto possa garantire la nostra sopravvivenza che pare molto vicina allo zeitgeist, sembra aver portato il medico e antropologo Cesare Lombroso a catalogare fattezze del viso, fogge del cranio e posture della fisiognomica criminale. Per lo studioso, a determinati segni anatomici, definiti caratteri atavici – tratti che in un qualche modo rendevano evidente la vicinanza con i primati, come naso schiacciato o arcata sopraccigliare sovrasviluppata – corrispondeva una degenerazione morale che si traduceva in una predisposizione al comportamento delinquenziale.

Il salto era stato fatto: dall’espressione innata di alcune specifiche emozioni di fronte a stimoli dai quali è necessario guardarsi perché potenzialmente nocivi, il corpo non conforme, attraverso un giudizio di valore associato al disgusto, era stato reso oggetto di un processo di mostrificazione. Scientificamente, l’alterità fisica del mostro, era stata resa dimostrazione fenotipica di caratteri morali e psicologici degenerati. I confini della normalità erano stati rafforzati e armati, e reso segno di abiezione tutto ciò che si trovava fuori. Il decoro borghese era pronto a diventare dogma, attraverso un’operazione di rispolvero del principio greco della kalokagathìa, per il quale il bello è buono, e alla perfezione fisica corrisponde quella morale.

 

Tāj-al-Salṭana

 

Il monito del monstrum 

Il ruolo nell’industria dell’intrattenimento dei corpi non conformi era centrale ben prima che nel 2023 quel gruppo di ragazzotti decidesse di sollazzarsi con la donna nana in giro per l’Europa. La figura del monstrum ci accompagna infatti in tutta la sua ambivalenza già dai palazzi dei faraoni egizi, passando per le corti dei sovrani medievali e attraverso i fools che popolano tragedie e commedie nel ‘500, fino allo sviluppo dei freak show. Perché il mostro suscita meraviglia e orrore, e, immancabilmente, una forma di attrazione irresistibile, che supera ogni fisiologico disgusto.

Il monstrum, nell’accezione etimologica originaria, avvicinandosi al sublime si riferisce a un fenomeno prodigioso e portentoso, o a una persona che presenta caratteristiche e capacità fuori dall’ordinario, che possono essere positive o negative, ma comunque lontane dalla dimensione morale che il termine ha acquisito dall’800 in poi. La parola, infatti, deriva dal verbo latino monere, e partecipa del significato di ammonire, mettere in guardia, dare un avvertimento, portare un messaggio, monstrare la volontà del divino.

Così, nel corso della storia, il destino del monstrum è mutato innumerevoli volte. Dall’essere soggetto portatore di meraviglia, prestigio, saggezza, arti medicamentose e miracoli, due secoli orsono è entrato a far parte, come aberrazione,  delle baracche di entrata dei circhi d’Occidente. È in questi luoghi che si è realizzata l’oggettificazione in freak of nature, scherzo della natura, traduzione inglese di quel lusus naturae che gli uomini di scienza del ‘700 utilizzavano per definire manifestazioni inclassificabili del mondo animale e vegetale.

Contemplare il freak come un manufatto al museo, dietro a una teca e pagando un biglietto di ingresso, permetteva una forma di distacco riparando gli spettatori dall’immedesimazione, quando il puro disgusto paradossalmente avvicina, attivando una reazione dalla quale non pare possibile difendersi, strettamente legata all’idea di contagio e contaminazione del corpo. Il monstrum ci parla di noi perché è parte di noi, e forse da questa ragione è derivata la necessità di trasformarlo in elemento grottesco, separato, del quale ridere senza felicità, dal quale farci rassicurare rispetto al nostro posizionamento in un altrove: nel centro di ciò che è lecito e meritevole di esistere.

Occorrerà attendere gli anni ‘70 del secolo scorso, quando freak iniziò a definire l’individuo antimilitarista e antiborghese situato fuori dagli schemi dominanti, affinché un gruppo di anticonformistə rivoluzionarə iniziasse a riappropriarsi di quel termine dispregiativo. Più o meno lo stesso percorso lo sta intraprendendo oggi la parola cripple, abbreviata in crip, traducibile in italiano con storpio, a lungo usata in senso offensivo ma recentemente rivendicata con orgoglio dalle comunità di persone disabili in opposizione all’abilismo di maggioranza.

 

Eddie Carmel

 

Nell’opera del 1996 Monster Theory Jeffrey Jerome Cohen, critico letterario statunitense, ha tentato di liberarsi da tanto fraintendimento anche a livello teoretico, proponendo sette tesi molto interessanti volte a riconnetterci all’origine del monstrum:

  1. il corpo del mostro è un corpo culturale, quindi costruito in un contesto che ne determina il livello di mostrificazione;
  2. il mostro è sempre sfuggente, in quanto specchio fugace di una iperimmagine dell’umano, che ne comprende l’impensato;
  3. il mostro è il segno premonitore della crisi delle categorie, perché ci monstra quello che abbiamo deciso di escludere, ma che comunque batte sotto la soglia;
  4. il mostro risiede ai bordi della differenza, più vicina di quanto saremmo mai dispostə ad ammettere;
  5. il mostro presiede e controlla i confini del possibile, o della norma;
  6. il mostro alberga sulle soglie del divenire, e ci presenta un futuro postumano;
  7. la paura che ci il mostro ci fa provare è in realtà una forma di desiderio, quasi di invidia, perché ci parla di libertà.

Come anche Foucault ci ha spiegato, il mostro ci repelle perché interroga il potere. Anche se le leggi di natura e di cultura lo collocano al di fuori di esse, la sua esistenza ne mette in discussione legittimazione e forme, evidenziando la costruzione dei rapporti di forza e la reversibilità della relazione tra normalità e anormalità. Il mostro non partecipa del dominio, ma è nei suoi occhi che l’egemonia vede il proprio limite. 

Il mostro interroga inoltre il confine, perché è confusione di forme, generi e specie, e riassume in sé quello che è necessario escludere per produrre identità interrogando il soggetto, in quanto rappresenta tutto ciò che il soggetto non deve essere, in un preciso ordine culturale, per poter essere tale. Deve esistere qualcosa di piccolo, scuro e informe per poter affermare, in una definizione per contrapposizione, che le persone alte, bionde e bianche rappresentano una categoria d’elezione.

Osservare il mostro, in conclusione, significa osservare le tecniche di costruzione della differenza, perché prima di separare il mostro dal discorso sull’umano, questo non è toccato dal concetto di deviazione dalla norma. Così potrebbe passarci assai velocemente la voglia di ridere, se affondassimo nelle sue narrazioni riconoscendo le nostre responsabilità nell’averle determinate.

Scommettiamo?

UnFreak show

L’immagine 1 ritrae la famiglia Ovitz, al secolo conosciuta come “i nani di Auschwitz”. Il casato, di origine rumena, era composto da 10 tra fratelli e sorelle, di cui sette persone con pseudoacondroplasia. Prima di essere internatə in campo di concentramento, avevano raggiunto una discreta fama in Europa come compagnia di canto, musica e ballo con il nome di Lilliput Troupe, e si esibivano in almeno cinque differenti idiomi. Il Dottor Joseph Mengele, pur non risparmiando loro esperimenti e torture, lə prese in simpatia, costruì per loro una sorta di casa delle bambole, permise che si tenessero i capelli e gli abiti con i quali lə faceva sfilare davanti agli ufficiali in visita. L’ultima degli Ovitz, Perla, morì in Israele nel 2001, all’età di 80 anni, ancora viva, come lei stessa affermava, “per grazia del diavolo”.

L’immagine 2 stilizza Saartjie “Sarah” Baartman, donna sudafricana di etnia khoikhoi. Era alta un metro e trentacinque centimetri, e, da schiava di una famiglia boera – parlava perfettamente anche l’olandese – fu trasferita in Inghilterra nel 1810 per essere mostrata come fenomeno da baraccone con il nome di “Venere ottentotta”, mentre gattonava legata a una catena perché fosse meglio visibile la steatopigia su natiche e cosce. Quando morì, nel 1815, aveva 25 anni, e da qualche tempo, dato che le sue esibizioni erano passate di moda, si manteneva prostituendosi. Scheletro, genitali e cervello di Saartjie furono esposti al pubblico al Musée de l’Homme di Parigi fino al 1974.

L’immagine 3 è un dagherrotipo di Tāj-al-Salṭana, principessa, scrittrice e pioniera del femminismo in Persia (oggi Iran) tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. Divorziò dal primo marito, al quale era stata data in sposa a 10 anni, dopo aver partorito due figlie e due figli, che lasciò in affidamento al padre. Fondò diverse società clandestine per i diritti delle donne e fu la prima sovrana a rinunciare pubblicamente allo hijab. Tāj-al-Salṭana è attualmente oggetto, in rete, di una fake news che la vorrebbe causa della morte di 13 pretendenti, che si sarebbero suicidati dopo il suo rifiuto. E nonostante il suo aspetto.

L’immagine 4 è di Eddie Carmel, americano di origine israeliana con gigantismo e acromegalia derivante da adenoma ipofisario. Tra gli pseudonimi più popolari che gli furono affibbiati troviamo “The Jewish Giant“, “The Happy Giant” e “The World’s Biggest Cowboy“. Ha lavorato nel circo e al cinema, ed è morto nel 1972 all’età di trentasei anni. La popolarità gli derivò da uno scatto di Diane Arbus intitolato A Jewish Giant at Home with His Parents in the Bronx, N.Y. 1970, dove si vede Eddie con i genitori, e nel quale è evidente la cifoscoliosi che portò il Gigante Felice, negli ultimi due anni della sua vita, a un progressivo immobilismo.

Letture
Francesca Giro e Gaetano Pagano (2022), Monstrumana. L’umanità del mostruoso, la mostruosità dell’umano, effequ
bell hooks (2018), Selling hot pussy, in Queerdo. Antologia di studi di genere, K-studies 1, KABUL editions

Un ringraziamento speciale alla mia cara e sapiente amica Cinzia Percivaldi, osservatrice arguta e inesauribile alleata nei pensieri

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