Lev Dodin: il teatro come pura e semplice immaginazione

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Probabilmente molti di voi non avranno mai sentito parlare di Lev Dodin; anch’ io infatti, nonostante a volte mi vanti di conoscere diversi aspetti della cultura russa, ignoravo chi fosse questo talentuoso regista, acclamato e conosciuto a livello internazionale. D’altronde non si può conoscere tutto.

Nel 2019 mentre mi trovavo a San Pietroburgo, una mattina presi l’autobus come facevo regolarmente per dirigermi dalla periferia della città alla Prospettiva Nevskij che, per chi non lo sapesse è la strada principale che attraversa il centro di San Pietroburgo. Molto in anticipo sul mio percorso di marcia scesi qualche fermata prima e decisi di percorrere un pezzo a piedi, capitando proprio davanti al Teatro Mariinskij. Appena sceso capitai di fronte al cartellone che sponsorizzava la stagione teatrale estiva, proponendo fra i diversi balletti di cui questo teatro è specializzato, anche Tre Sorelle di Cechov, con la regia di Lev Dodin. Mi annotai il nome del regista nel timore di dimenticarlo, la sera una volta arrivato a casa, iniziai a fare qualche ricerca su di lui.

 

 

Lev Abramovič Dodin è uno fra i più moderni e rappresentativi registi teatrali russi, nato in Siberia nel 1944 dopo la fine della seconda guerra mondiale, si trasferisce con la famiglia a San Pietroburgo, dove tutt’oggi vive. Cominciò ad interessarsi al teatro e alle pratiche teatrali fin da giovane e, dopo alcuni lavori come amatore e dilettante fu ammesso al Saint Petersburg Theater Institute, dove studiò sotto la guida di Boris Zon che fu a sua volta il pupillo di Stanislavskij.

 

 

La scena teatrale russa lo influenza particolarmente; secondo Dodin il teatro e la vita moscovita in genere sono intensi, movimentati e veloci, al contrario dell’esperienza san pietroburghese che risulta essere invece più riflessiva e basata su uno stile di vita migliore. Per questo motivo i due generi di vita russa sembra abbiano un impatto significativo sulle pièce teatrali dello stesso Dodin. La vita per il regista è un’esperienza da assaporare in maniera profonda e tutte le vicissitudini che si alternano determinano chi siamo e ciò che possiamo mettere in scena quando ci accingiamo a rappresentare qualsiasi pièce.

Fra le varie influenze vissute da Dodin, anche il cinema ha un’importanza e un ruolo fondamentale. Alcune delle tecniche cinematografiche infatti vengono utilizzate sul palcoscenico, ma mentre il teatro costituisce una esperienza presente, gli attori sono sul palcoscenico in quel momento, in quel preciso istante, il cinema rappresenta invece qualcosa di già compiuto, l’emozione finisce in quell’istante. Il teatro è vivo, è vero, e ciò che è stato nella rappresentazione precedente non è ciò che sarà questa sera o domani; questo rappresenta la sua unicità.  

 

 

I critici hanno inoltre definito lo stile di Dodin come “particolarmente fisico” a partire dall’utilizzo di materiali in scena quali legno, acqua, per arrivare all’utilizzo di acrobazie e di movimenti accentuati del corpo, mischiando tutto ciò all’utilizzo della musica sempre presente. Ultimamente ho deciso di approfondire gli studi teatrali di Dodin, nel tentativo di contraddistinguere anche cosa differenziasse la sua visione sulla scena teatrale russa e la scena underground europea, scoprendo un’analisi sul teatro di repertorio e non, molto stimolante.

In questo articolo Dodin si poneva molto contro il repertorio non classico, definendolo come uno stile “usa e getta” e non in grado di sostenere il confronto con i grandi registi russi. Questa difesa del repertorio classico proviene da parte di Dodin da una decennale esperienza nel rappresentare diverse pièce teatrali russe in giro per l’Europa. L’ultima esperienza affrontata a Londra gli permette infatti di capire come ci fosse da sempre una mistificazione culturale fra il popolo russo e quello europeo; di fatto entrambi sono in grado di saper cogliere le stesse sfumature anche in repertori teatrali più all’avanguardia, che a volte a causa di una certa chiusura della scena moscovita e san pietroburghese non si riesce a cogliere.

 

 

In realtà secondo lo stesso Dodin c’è molto in comune fra l’esperienza teatrale russa e quella europea e a volte gli stessi registi russi sono in grado di cogliere in maniera approfondita tutte le sfumature che l’esperienza internazionale propone.

 

 

Oggi Dodin continua la propria attività presso il Maly Theater ispirando e formando generazioni di attori e di apprendisti registi, dedicandosi non solo al teatro di repertorio ma muovendosi anche attivamente sulla scena contemporanea.

Nel 2016 in Italia presso il teatro Strehler è stato rappresentato Gaudeamus, che aveva consacrato Dodin al pubblico internazionale negli anni ‘90, e che viene messo in scena in una rappresentazione moderna, con attori giovani e giovanissimi.

 

 

Lo spettacolo uscì per la prima volta nel 1990 all’indomani della caduta del muro di Berlino e dell’avvento della Perestrojka e vuole descrivere l’insensatezza della guerra e della vita militare, argomento oggi più che mai attuale. La realtà smembra la superficie delle cose e a volte non può essere osservata direttamente rendendoci ciechi nei confronti della vita.

Questo è secondo me ciò che più ci trasmette l’arte di Dodin che non essendo sovrastrutturata e iper complicata arriva a noi con grande facilità.

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