E tu vivi malgrado te stesso. Su Evgenij Evtušenko

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È mattina, non tanto presto, e in un bar del paese in cui vivo ho appuntamento per una veloce colazione con Sonia, una ragazza di San Pietroburgo che da qualche anno vive stabilmente in Italia ed è sposata con un amico.

Sonia è una giornalista e filologa russa, ha imparato benissimo e velocemente la nostra lingua e da quando vive in Italia si occupa di turismo. Grazie a lei ho ricevuto diversi feedback su autori russi di cui parlare nella mia rubrica.

Quando ci incontriamo l’occasione è propizia per scambiare qualche impressione sulla cultura russa: poesia, cinema, arte letteratura e giornalismo. Di guerre e avvenimenti terribili non parliamo mai, perché è più gratificante circondarsi di bellezza e poesia, che ti avvenimenti poco edificanti. Per quanto possa cerco di sostenere una conversazione in lingua russa, anche se quando la situazione si fa difficile mollo!

Potresti parlare di Evtušenko! fu uno dei suoi ultimi suggerimenti, e io da persona curiosa come sono ho passato tutta la giornata a fare ricerche su di lui.

 

 

Evgenij Aleksandrovič Evtušenko è stato sicuramente uno dei personaggi più rappresentativi della cultura sovietica e non solo: regista, scenarista, pubblicista e attore, si distinse principalmente per la sua attività di poeta e romanziere. Nasce a Zima una cittadina della Siberia Sudorientale che in italiano significa “inverno” il 18 luglio del 1932 e diventa particolarmente attivo durante il periodo del “disgelo” sovietico, quando dopo la morte di Stalin nel 1953 ci fu un periodo di maggiore apertura grazie a Nikita Sergeevič Chruščëv che introdusse il processo di destalinizzazione e di soppressione del culto della personalità di Stalin.

Appassionato di calcio e di letteratura decide ben presto di dedicarsi a quest’ultima, soprattutto quando una delle sue poesie viene pubblicata su un giornale sportivo, il Sovetskij Sport che pone in luce le sue capacità.

 

 

Evtušenko divenne attivo particolarmente negli anni ’50; scrisse liriche ispirate alla storia recente del suo paese e all’attualità, riferendosi in particolare alle rivendicazioni della libertà di espressione e di denuncia del periodo stalinista, ben oltre la scomparsa del dittatore. Celebre è la poesia Gli eredi di Stalin del 1962 in cui il poeta attraverso un nuovo linguaggio critica fortemente chi ancora sosteneva il regime staliniano e il suo culto della personalità.

Questi sono gli anni in cui la tradizione poetica russa si fonde con il nuovo stile avanguardistico, che trova spazio soprattutto nella lettura pubblica che era diretta conseguenza dell’impossibilità di poter pubblicare testi o poesie che il regime sovietico non amava.

Sono anni questi di espressione profonda, che trovano spazio nella scrittura di alcune fra le liriche più significative di Evtušenko come: Solitudine, Non t’amo più e Uomini, che potete leggere interamente a questo link.

 

 

Nel 1963 esce la sua biografia che trova però il blocco della censura sovietica. Gli anni successivi sono di grande ricerca, sia in Europa che oltre oceano, dove Evtušenko incontra il favore della critica extraeuropea e anche l’appoggio di artisti russi a lui contemporanei, fra i quali Bella Achmadulina alla quale ho dedicato un articolo e che diventerà la sua prima moglie.  È di questo periodo la lirica Così la Piaf usciva di scena.

Evtušenko rimane profondamente colpito dalla Piaf, una donna piccola e malata segnata da una vita piena di sofferenze e prossima alla morte. Questa lirica è la sua ultima dedica dopo aver assistito alla sua ultima esibizione prima di lasciare definitivamente le scene. A questo link trovate la poesia completa.

In questi anni pubblica opere in prosa come: Il posto delle bacche e Non morire prima di morire che sono i suoi romanzi tradotti in italiano più conosciuti e ancora in commercio.

Gli anni ottanta e novanta lo vedono nuovamente impegnato in numerosi viaggi in Medio Oriente, Africa, Stati Uniti e America Latina, dove Evtušenko sventola al mondo la bandiera di colui che difende gli oppressi e i poveri e si fa carico delle inquietudini dell’uomo. Ancora oggi quando leggo i suoi testi percepisco questo senso di inadeguatezza che mi accompagna fino alla fine delle sue liriche.

 

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Nasco a Cesena nel 1978, con la grande passione per la musica e un amore folle per Chet Baker. Lavoro da tanti anni, quasi troppi, come commercialista, districandomi fra imposte e dichiarazioni dei redditi. Mi appassiono fin da giovane alle arti e alle lingue, per poi scoprire la cultura sovietica e russa. Ora cerco di bilanciare il mio lato pragmatico con l’utopia dei miei sogni inespressi, affannandomi nel cercare un equilibrio. Nonostante questa mia doppia indole, credo che la vita debba essere concepita come la realizzazione dei propri desideri, per cui dopo una laurea al Dams ottenuta negli anni della mia senilità, sto realizzando un altro grande desiderio: quello di scrivere!