Grenze e la meraviglia. Intervista a Simone Azzoni

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Charles Traub, Dolce Via Nova

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Dal 7 settembre al 30 ottobre a Verona torna Grenze Arsenali Fotografici, il festival internazionale di fotografia diretto da Simone Azzoni, docente universitario e critico d’arte, e Francesca Marra, fotografa e docente.

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Il tema della sesta edizione è Staunen: meraviglia. In che modo, secondo voi, il medium fotografico può rendere comunicabile, dunque forse condivisibile, un’attitudine altrimenti ontologicamente personale, soggettiva?

Il medium è solo un oggetto tecnico, una protesi neutra dello sguardo, aiuta ad inquadrare una condizione perché una soggettività educata al “non-sapere” possa traumatizzarsi.

Un cielo se è nella cornice di un telaio di legno – per citare grossolanamente uno scatto di Ghirri – può disinnescare griglie interpretative legate ai generi e pretendere lo stupore.

Lo stupore è dissonanza cognitiva, imprevisto non riconducibile al noto, al familiare, infrange l’esperienza, devia dal corso normale delle cose, anche da una semiotica, quanto pedante, lettura del contesto.

Nella meraviglia ci si apre all’altro disponendoci all’incontro con quegli occhi che io ritrovo nei bambini: “lungo e innocente sguardo sull’oggetto”.

Questa attitudine al disagio del non-sapere “dove si è nel mondo” può trovare nel medium il trampolino per un tuffo nell’ignoto, tutto personale e soggettivo.

 

Mitar Simikić, Mila

 

Sulla meraviglia, ancora. Nel programma del Festival vi sono alcune occasioni di formazione. Come è possibile insegnare la meraviglia?

I workshop e soprattutto gli incontri, principalmente quelli con Erik Kessels e Charles Traub, ci aiutano a unire i puntini nelle costellazioni periferiche tanto alla fotografia referenziale, di testimonianza, quanto a quella chiamata “opera d’arte”.

Parlare con Kessels di errore e con Traub di ironia significa riconoscere che quando i modelli estetici hanno un’ampia diffusione, le eccezioni sembrano dover obbedire a regole e l’umorismo sembra essere una di quelle.

Quindi è bene ogni tanto mettere il pollice davanti all’otturatore, sbagliare gli scatti, spostare inopinatamente il piacere dal fotografo al fotografato e così via.

 

Monika Bulaj, Il Miracolo degli Occhi

 

Sarà possibile vedere il lavoro di fotografi nazionali e internazionali provenienti da Australia, Stati Uniti, Grecia, Cuba, Kosovo, Spagna, Serbia, Belgio e naturalmente Italia. Qual è stato l’incontro più inaspettato e meravigliante, tra gli artisti in mostra quest’anno?

Credo il lavoro da cui tutto è partito, Il Miracolo degli Occhi, un progetto didattico con i ragazzi delle enclave serbe in Kosovo e Metohija, un libro e una mostra a cura di Monika Bulaj.

La fotografia che nasce dal trauma. Come si può insegnare ai bambini di Velika Hoča a guardare e fotografare con occhi incantati il Kosovo incendiato dall’odio, dalla violenza e dalla guerra.

Scrive Bulaj proprio sulla genesi di questo progetto, ed il senso dell’edizione di quest’anno, è tutto nelle sue parole: “Quando viaggi guarda con occhi nuovi, dico al pomeriggio al bambino che non è mai uscito dalla enclave per camminare sui prati dei vicini. Tu puoi avere occhi nuovi anche per le cose che conosci. La fotografia è un racconto di chi sei, della tua anima. È distacco e partecipazione. Significa essere dentro le cose, ma con la possibilità di vederle e riconoscerle. Ti permette di essere molto vicino alle persone ma in un modo diverso. È il gioco degli occhi”.

 

Petros Efstathiadis, Escape pod

 

Dal vostro punto di osservazione privilegiato come avete visto negli ultimi anni evolvere il rapporto tra fotografia e nuove tecnologie, in primis l’Intelligenza Artificiale, per generare meraviglia?

Abbiamo trattato l’anno scorso, con il progetto di Joan Fontcuberta e Pilar Rosado, il rapporto tra verità, falsità e Intelligenza Artificiale. Le combinazioni randomiche o rizomatiche di input artificiali non toccano di fatto le intenzioni dell’autorialità e ri-consegnano l’immagine alla manipolazione del suo destino.

Come ci ricorda Michele Smargiassi, è impossibile arrivare ad una verità, si accetta la “felice ambiguità”.

Che significa per noi che la fotografia deve contenere in sé stessa le ragioni della propria spiegazione.

Quindi, per ritornare alla tua domanda, la meraviglia è nella storia, nel racconto che l’immagine, da qualsiasi dispositivo sia generata, può creare o indurre a creare.

 

Francesco Comello, L’isola della salvezza

 

Vi saranno, a Grenze 2023, percorsi di ricerca che vanno in questa direzione?

Ad esempio il lavoro di Vincenzo Scorza che prosegue il rapporto con il Festival PerAspera è un anello di congiunzione tra il concetto primo novecentesco di avanguardia e quello di contemporaneità: un paradigma che unisce nel virtuale ciò che è stato e quel che è.

Cancellare, svuotare, infrangere, sono i pilastri del contemporaneo e le direzioni anche del progetto della catalana Gloria Giménez Carrillo che sovrascrive in modo cross-mediale immagini di natura linguistica diversa.

E poi ci sono i festival di Bratislava e di Belgrado che ci dicono come la fotografia possa essere un processo di rielaborazione della mancanza.

E poi lo spirito, è importante rendicontare la verticalità come dimensione del contemporaneo: L’isola della salvezza di Francesco Comello è il sublime prima che l’immagine ne abbia la forma o la sostanza.

 

Enrico Fedrigoli, Francesca Proia

 

Infine, a favore del pubblico curioso ma non specializzato: con quale sguardo è consigliabile avvicinarsi alle molte proposte del Festival di quest’anno?

Con aspettative e apertura.

Grenze è un luogo di condivisione e ricerca.

Ci sono gli artisti presenti, e questa è una ricchezza impagabile.

Ci sono i volontari che ci aiutano e sostengono e questi sono una bellezza.

Niente a che fare con chi verifica se i vetri sono anti riflesso o le luci museali.

Grenze è un laboratorio di pensiero alto, non una passerella modaiola.

Le collaborazioni con altri Festival ed enti, come MUSA Fotografia, ci hanno aiutato poi ad irrobustire la direzione artistica sostenendo il valore delle scelte.

Chi verrà dovrà muoversi con calendario e mappa alla mano.

Molte le sedi convenzionali e non convenzionali, inedite e riconoscibili storicamente nel tessuto creato da Grenze in città.

Il Meccanico – nostra nuova sede espositiva – ospita una sorta di site-specific del greco Petros Efstathiadis. E una selezione dal centro Internazionale di fotografia Scavi Scaligeri.

Alle Serre Comunali ci saranno due progetti inerenti all’habitat floreale di un sito che incuriosisce molto i veronesi: Isacco Emiliani con Ottantuno e Kevin Horan con le caprette che già hanno invaso la Biblioteca Civica di Verona qualche edizione fa.

E ancora le gallerie che fan parte del progetto Grenze sono spazi che si ripropongono come classici per progetti che hanno bisogno di una narrazione nel White Cube: Galleria d’Arte Contemporanea-Isolo17 e Fonderia20.9.

Un Festival non può prescindere dall’editoria e quest’anno abbiamo dedicato Porta Vescovo al Book Corner con le proposte che ci hanno fatto Limond, Yogurt Magazine, Lazy Dog e Magazzini Fotografici di Napoli.

Ritorna invece la suggestiva esperienza dell’Off al Lazzaretto e il Teatro Nuovo che ospita un progetto di Enrico Fedrigoli.

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