“Scodinzolare” alla scoperta di storie: torna Flush, il festival dell’editoria femminista

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È ormai il terzo anno che il Chiostro di Santa Cristina a Bologna si anima di storie tutte al femminile grazie a Flush Festival, tre giornate per esplorare le produzioni editoriali – cartacee e native digitali – del femminismo contemporaneo, questa volta a partire dal tema dell’autonarrazione come strumento di incontro con l’altro e con il mondo.

Da venerdì 15 a domenica 17 settembre, oltre alla fiera che accoglie case editrici, progetti autoprodotti, fanzine, magazine e un digital corner per accedere a contenuti digitali, sono in programma talk, laboratori, visite guidate, mostre e performance.

Flush Festival è un progetto di Orlando,  associazione che gestisce il Centro di documentazione, ricerca e iniziativa delle donne e ne promuove l’iniziativa politica e culturale.

Come è nata l’idea di Flush Festival e da dove trae ispirazione il titolo?

«Il festival è nato dall’incontro tra diverse realtà che ruotavano intorno all’associazione Orlando», racconta Tiffany Vecchietti, autrice, content creator e attivista fra le curatrici e ideatrici di Flush. «A lungo ci siamo interrogate su quanto a Bologna mancasse un momento esclusivamente dedicato all’editoria femminista, affrontato in ottica transmediale, ovvero con uno sguardo aperto a tutto ciò che accade sul digitale. Il desiderio è stato dunque di guardare all’editoria contemporanea dando spazio non solo al libro e alla stampa, ma anche ai social, al podcasting e a tutte quelle esperienze di lettura e di narrazione possibili tramite gruppi online o piattaforme.

Per quanto riguarda il titolo del festival, si tratta di un omaggio a Virginia Woolf e al suo romanzo Flush – vita di un cane, una biografia immaginaria di un cocker spaniel. Ci è sembrato un nome perfetto perché corrisponde alla nostra tendenza all’autoironia, ma anche perché immaginiamo questo cagnolino come un essere curioso che si aggira scodinzolante e, infiltrandosi in luoghi a cui forse ancora non si guarda, smuove le acque. È ciò che vorremmo da Flush Festival e ciò a cui vogliamo tendere nei prossimi anni».

Chi c’è dietro Flush Festival?

«Siamo volontarie e attiviste di Orlando, ma insieme a noi ci sono tantissime altre realtà, come la Libreria delle donne di Bologna, che ha curato la parte di reperimento di testi e il lavoro di contatto con le case editrici; e quest’anno anche Wikimedia Italia e Wikidonne con un workshop. In generale quando si parla di Orlando va sempre tenuto in considerazione l’intero contesto del Centro di documentazione, ricerca e iniziativa delle donne, che comprende la Biblioteca delle donne e l’Archivio della storia delle donne. Ci sono dunque anche degli spazi fisici che hanno un valore estremamente importante nella città di Bologna e che ci hanno messo in relazione con esperienze diverse. Noi cerchiamo di accogliere sempre chiunque voglia partecipare, manteniamo una forma molto fluida che ogni anno può cambiare».

Entrando nel vivo della terza edizione, qual è il tema di quest’anno e come viene trattato?

«L’edizione 2023 è incentrata sull’autonarrazione, sulle biografie e sulle narrazioni del sé o delle storie degli altri. L’intento è mostrare come l’autobiografia, fin dagli inizi della letteratura femminista, si sia fatta strumento per entrare in contatto con l’altro e col mondo. Il tema verrà affrontato a 360 gradi, guardando sia alle autrici che utilizzano l’autonarrazione per raccontare la loro storia e posizionarla all’interno di un discorso politico e pubblico; sia a coloro che fanno uso dell’autobiografia per ricostruire una storia passata e mettere in dialogo diverse generazioni – come accade nel podcast Figlie di Sara Poma, ospite al festival sabato 16.
Poi, ci sono anche progetti come Radio vanloon, che ha creato un vero e proprio archivio di memorie orali. Osserveremo quindi l’autonarrazione come un mezzo per creare connessioni con il passato, con sé stesse e con tutte le persone che fanno parte di una storia. Ogni esperienza raccontata, inoltre, ha un diverso taglio, alcune sono legate al rapporto col corpo, altre al trauma generazionale o a quello politico del Novecento italiano…
In diversi contesti, dunque, cerchiamo di porre al centro l’autonarrazione come miccia che genera discussioni nuove e ci mette a confronto con il presente».

Quali saranno i principali appuntamenti?

«Il festival si strutturerà in tre giornate che avranno, ognuna, una proposta diversa.
Si apre venerdì 15 con una visita guidata all’Archivio di storia delle donne, che raccoglie documenti cartacei, sonori e visivi prodotti dalla ricerca teorica e dalle attività del Centro di documentazione delle donne di Bologna e dell’Associazione Orlando. Sarà poi possibile assistere all’inaugurazione della mostra Art in the chiostro & the sluttification of la mia prozia del performer Charlie G Fennel. Prima, alle ore 16, nel Chiostro di Santa Cristina si aggireranno delle raptomanti del libro, per una lettura ad alta voce tra tecnologie analogiche e digitali.

Sabato 16, sempre nel Chiostro, avrà inizio la fiera dell’editoria femminista (dalle 11 alle 19), con ospiti case editrici impegnate in progetti femministi fin dalla loro fondazione, o altre che invece hanno cominciato da poco le pubblicazioni; ma si potranno trovare anche autoproduzioni e fanzine. Ci sarà poi un digital corner dove sarà possibile iscriversi a newsletter, podcast, progetti digitali e seguire magazine online. Nell’arco della giornata sono in programma dei laboratori curati da Wikimedia Italia e Wikidonne, proseguiranno le visite guidate all’archivio e, a chiudere, due panel: il primo alle ore 15 Elaborare il passato per resistere al presente, con Morena Pedriali Errani, Farian Sabahi, Anna Maria Gehnyei aka Karima 2G; e il secondo alle ore 18  Raccontami una storia. Le biografie nei podcast, con Sabrina Efionayi, Sara Poma, Radio vanloon e Storia del mio nome.

Infine, domenica 17 continua la fiera e ci sarà un altro laboratorio di bibliomanzia con performance in giro per il Chiostro, le peer review e, a chiudere, Zine talk, un talk con Giulia Valicelli sull’esperienza di Compulsive Archive, un archivio di fanzine degli ultimi 30 per raccontare il presente».

Quali sono i modelli a cui vi ispirate, se ci sono, e come scegliete i temi?

«Osserviamo e stiamo attente, ma non traiamo ispirazione da uno stimolo o da un’esperienza specifica. Crediamo che Flush sia l’unione di ciò di cui sentivamo la mancanza e ogni anno ricerchiamo modi per non rimanere bloccate su idee o attività, ma per aprirci a quante più contaminazioni possibili. I temi li scegliamo a seconda dei nostri interessi, su votazione democratica, stando attente a ciò che accade o è accaduto nell’editoria femminista. Ognuna di noi porta una proposta e ne discutiamo: l’anno scorso abbiamo lavorato sulla fantascienza, mentre quest’anno proponiamo quasi l’opposto, ovvero l’iper-reale. Sebbene quindi non siamo alla ricerca di un filo che unisca le edizioni, la continuità la si trova nel fatto che ogni tema ha rappresentato, nell’ambito della narrazione femminista, una forza nella composizione letteraria. Flush 2022 è stato incredibile, perché la fantascienza ha attratto tantissime persone, anche di generazioni diverse – dagli 80 anni al 25 – e speriamo che possa essere così anche per l’edizione 2023».

In quanto curatrice ma anche autrice, come vedi la situazione dell’editoria femminista in Italia?

«Secondo me ci sono due grandi questioni, che riguardano entrambe la prepotente entrata dei temi femministi nel dibattito pubblico, forse una reazione ai numerosi fatti di cronaca. Questo comporta da una parte un pubblico più sensibile e attendo, potenzialmente in espansione; dall’altra un maggiore interesse del mercato anche da parte di quelle case editrici che fino a poco tempo fa non avevano un catalogo di testi femministi. Dove non arriva l’interesse personale, quindi, arriva il capitale. In questo senso, c’è un risveglio anche sul piano della produzione, perché stanno aumentano le proposte di manualetti introduttivi accessibili a chiunque».

Per chiudere torniamo a Flush: idee e auspici futuri?

«Come ogni anno, dopo i giorni di festival ci prenderemo un momento per fare un bilancio e valutare cosa tenere e cosa lasciare, anche sul piano della pratica organizzativa. Ciò di cui siamo sicuramente certe è che vogliamo l’edizione 2024 e vogliamo continuare a essere un momento in cui a Bologna c’è fermento. Il desiderio è che Flush sia sempre un ambiente aperto, tranquillo e inclusivo, in cui anche se di editoria, fantascienza o autonarrazione non si sa nulla, si potrà partecipare trovando un proprio personale contatto col tema proposto. Questo è accaduto, anche solo dopo aver scambiato delle chiacchiere con le autrici; chissà che anche quest’anno il racconto delle storie personali possa portare a un incontro, a un interesse e a una scoperta. Questo al momento sappiamo e questo ci porteremo anche negli anni a venire».