Visto da noi: La Bohème di Giacomo Puccini

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Forzando un po’, o forse solo interpretando il comune sentire si può dire che de La Bohème la protagonista non sia Lucia, che tutti chiamano Mimì senza che lei ne sappia il perché, e neppure Rodolfo, il poeta che nel racconto di Henri Murger cui si ispira il libretto era musicista ma che Giacomo Puccini volle appunto poeta, forse per evitare o solo nascondere sovrapposizioni o riferimenti alla sua propria biografia.

I protagonisti, in particolare in questo nuovo allestimento, moderno in senso lato ma pur sempre e giustamente fuori dal tempo, della Fondazione Carlo Felice di Genova, sono i sentimenti della Vita, o meglio il Sentimento che tutti chiamiamo Amore e che, circondato da quel suo unico confine che è la Morte, nel qui e ora della scena, mentre la musica che lo genera scivola nelle ‘orecchie’ del cuore, si materializza agli occhi della mente in quelle figure che agiscono quel sentimento e che assumono il nome di Mimì, di Rodolfo e di tutti gli altri per dare figurativa, in scenografia e costumi, concretezza alla loro narrazione di sé.

Infatti non c’è storia, nel senso epico e lirico più tradizionale, che si sviluppi su quel palcoscenico, anche se la forte impronta drammaturgica, non a caso la gestazione fu lunga e complessa, dei due librettisti Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, e teatralmente parlando è come dire ‘basta la parola’, riesce a custodire e articolare con efficacia l’accadimento estetico di “Amore e Morte” che quelle narrazioni esistenziali, che da lontano vengono e che lontano guardano, sopportano su di loro medesime.

Tutto è detto e fatto, se vogliamo, sin dalle prime scene e, come in ogni vero dramma o tragedia, dobbiamo solo, ma non è poco, scoprire, e godere ‘affettivamente’, il come e il perché.

Ciò considerato, poi, l’intero impianto dell’opera non è alieno da un certo sguardo sociale non solo  su quel mondo, quando ad esempio sembra contrapporre la capacità di amare, condividere e anche di sacrificarsi gli uni per gli altri/e, piuttosto esplicito nelle azioni proprio di Musetta, la più inquieta del gruppo, con la aridità delle classi borghesi interamente legate e votate al denaro e al potere, uno sguardo certo più vicino ad un socialismo di tipo dickensiano ma anche anticipatore di movimenti coevi e successivi.

 

 

Della musica di Puccini tutto, nel secolo trascorso proprio quest’anno dalla sua scomparsa, si è praticamente già detto, del suo non essere mai ‘simbolista’ e del suo essere semmai, e non è contraddizione in termini, psicologicamente naturalista, e poi del suo incorporare innumerevoli suggerimenti e suggestioni, dall’ultimo romanticismo di Verdi al Wagner della melodia senza tecniche soluzioni di continuità, essendone in qualche modo contigua ma senza mai dipenderne, stante la sua capacità di creare nuove e immortali sonorità, non tanto mimetiche onomatopeie della realtà, ma bensì fatte della stessa sostanza, onirica o esistenzialistica che si voglia, della realtà umana, della sua condizione transeunte e in questo perenne, costruendo così un nuovo modo di sentire l’armonia dentro di noi.

Dunque, parafrasando altri in altri contesti, nulla possiamo, vogliamo e dobbiamo aggiungere se non che la sua musica è capace anche di suscitare corrispondenze molto moderne, di cui si fa in un certo qual modo anticipatrice, quali, se mi si concede il paragone, quelle con la più moderna musica occidentale colta e anche pop.

Questo allestimento distilla il meglio di Puccini, e anche di Illica e Giacosa, a partire dalla bella orchestrazione del Maestro Francesco Ivan Ciampa che coglie questo essere La Bohème priva di protagonisti-antagonisti e che accentua con efficacia le indicazioni figurative della partitura, nel suo articolarsi per quadri distinti ma omogenei, negli squarci che definisce sensoriali e che ineriscono e implicano l’intera tavolozza dei nostri cinque sensi fisici.

La regia di Augusto Fornari compie la scelta, a ben vedere del tutto interna alla drammaturgia, di enfatizzare la struttura del Gioco, quello serio che prepara e costruisce la vita, e quello del sapersi al contempo non prendersi troppo sul serio, costruendo movimenti scenici che ci ricordano, oltre la mimesi delle marionette, il miglior teatro di figura in cui i corpi si fanno segni, o meglio simboli comunicativi del sé.

Bellissime le colorate scenografie del pittore, non a caso topos principe di quel periodo storico definito Bohème, Francesco Musante, in fondo una sorta di ‘casa di bambole’ in cui specchiare la nostra infanzia che non vuole farsi seriosa maturità scacciando i sentimenti, e che costruiscono insieme ai suoi altrettanto colorati costumi, più che un ambiente, un’atmosfera capace di dare sostegno e continuità ad uno sviluppo drammaturgico in qualche modo negato.

 

 

Per quanto riguarda il canto sono molto belle le voci degli interpreti principali, dalla Mimì di Anastasia Bartoli, una voce ricca e potente, cui fa da contrastato alter-ego, un po’, mi si perdoni, come un femminile Mister Hyde con il suo mimetico speculare Dott. Jekyll, la altrettanto brava Musetta di Benedetta Torre, al Rodolfo di Gaetano Salas, con le sue personalità mutevoli e intrecciate nei compagni di Bohème Marcello, il baritono Alessio Arduini, Colline, il basso Gabriele Sagona, e infine Schaunard, Pablo Ruiz altro baritono di ottima qualità. Bravi anche tutti gli altri cantanti.

Ma una citazione particolare merita il coro delle voci bianche del Carlo Felice che fanno da melodico e drammaturgico contrappunto, in quadretti di grande bellezza nella loro più pura e bentempelliana ingenuità, al presagio tragico che attraversa le vite dei loro ormai maturi compagni di strada ma non più di vita. Una prova di grande maturità artistica del loro maestro Gino Tanasini che si coordina con il sempre meritevole coro maggiore diretto dal bravo Claudio Marino Moretti.

Vale la pena, e talora è felicemente inevitabile, commuoversi di fronte a spettacoli come questo che sanno raggiungere, ieri come oggi, profondità altrimenti sommerse, oggi più di ieri, dal buio.

Commossa è stata dunque la partecipazione, personale e collettiva, di un pubblico che ha riempito la sala fino al suo limite e che si è liberato negli applausi a scena aperta e nelle lunghe ovazioni finali.

Visto al Teatro Carlo Felice di Genova alla prima del 12 aprile.

LA BOHÈME Scene liriche in quattro quadri di Giacomo Puccini su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, dal romanzo Scènes de la vie de Bohème di Henri Murger. Personaggi e interpreti: Mimì Anastasia Bartoli, Rodolfo Galeano Salas, Marcello Alessio Arduini, Musetta Benedetta Torre, Colline Gabriele Sagona, Schaunard Pablo Ruiz, Benoît Claudio Ottino, Alcindoro Matteo Peirone, Parpignol Giampiero De Paoli, Un venditore ambulante Claudio Isoardi, Sergente Franco Rios Castro, Doganiere Loris Purpura. Maestro concertatore e direttore d’orchestra Francesco Ivan Ciampa. Regia Augusto Fornari. Scene e costumi Francesco Musante. Luci Luciano Novelli. Allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova. Orchestra, Coro, Coro di voci bianche e Tecnici dell’Opera Carlo Felice Genova. Maestro del Coro Claudio Marino Moretti. Maestro del Coro di voci bianche Gino Tanasini. 

Repliche anche con altro cast il 13, 14, 19, 20, 21 aprile (info QUI).

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Ho conseguito la Laurea in Estetica al DAMS dell'Università di Bologna, con una tesi sul teatro di Edoardo Sanguineti, dando così concretezza e compimento alla mia passione per il teatro. A partire da quel traguardo ho cominciato ad esercitare la critica teatrale e da molti anni sono redattrice e vice-direttrice di Dramma.it, che insieme ad altri pubblica le mie recensioni. Come studiosa di storia del teatro ho insegnato per vari anni accademici all'Università di Torino, quale professore a contratto. Ho scritto volumi su drammaturghi del 900 e contemporanei, nonché numerosi saggi per riviste universitarie inerenti la storia della drammaturgia e ho partecipato e partecipo a conferenze e convegni. Insieme a Fausto Paravidino sono consulente per la cultura teatrale del Comune di Rocca Grimalda e sono stata chiamata a far parte della giuria del Premio Ipazia alla Nuova Drammaturgia nell'ambito del Festival Internazionale dell'eccellenza al femminile.

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