Questione di sguardi. Su Nottuari di Fabio Condemi

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ph Claudia Pajewski

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«Il significato di un’immagine cambia a seconda di ciò che le vediamo immediatamente accanto o di ciò che le sta immediatamente dietro. L’autorità che essa conserva si riversa sull’intero contesto in cui appare»: vien da pensare a un frammento del seminale Questione di sguardi. Sette inviti a vedere fra storia dell’arte e quotidianità di John Berger, apprestandosi a restituire qualche breve nota a proposito di Nottuari di Fabio Condemi, visto al Teatro Arena del Sole di Bologna qualche giorno fa.

Il trattamento scenico che il trentaseienne regista fa delle opere dello scrittore statunitense Thomas Ligotti, infatti, interroga senza posa la ricezione dei guardanti e, al contempo, ad essa fa pieno, univoco affidamento.

È nell’esplicitata dinamica dell’esperimento e del mutevole rapporto tra estroflessione e nascondimento che lo spettacolo si sviluppa, attraverso una serie di pezzi apparentemente staccati che hanno luogo in una scena mobile e altamente automatizzata, spesso illuminata da campiture monocrome.

 

ph Claudia Pajewski

 

A chi guarda è affidato il compito di accordare significanti e significati, offerti alla ricezione con andamento rarefatto e all’intelligenza come algidi rebus.

Una serie di apparizioni e sparizioni, aperture e chiusure di varchi incoraggiano una sorta di voyeurismo da «tragedia tutta esteriore». Condemi sceglie di dare corpo all’horror contemporaneo di Ligotti attraverso una quantità di segni molto facilmente ascrivibili a quelle atmosfere: pareti sporche di sangue, urla improvvise, suoni cupi, figure nella nebbia, ombre, telefoni che suonano a vuoto, mute sospensioni, …

 

ph Claudia Pajewski

 

La centralità dell’immediatamente visibile è raddoppiata da alcuni didattici riferimenti alla Storia dell’Arte (vien da pensare, in primis, a un monologo-lezione di Francesco Pennacchia, con tanto di lavagna luminosa e immagini proiettate, in un crescendo di veemenza che sfocia nell’apparente insensatezza: meglio, nel primato dei sensi sul senso).

Caravaggio e Rubens, Duchamp e Magritte sono alleati di questa creazione enigmatica ed enigmistica, in bilico tra sguardi creaturali e segni consumati.

A proposito di Michelangelo Merisi, e in chiusura e sintesi di queste poche righe: nel ritratto che ne fa, il già citato John Berger scrive «Per Caravaggio non era questione di presentare delle scene, ma di vederle e basta».

Forse anche per Condemi?

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