L’amore di Maurizio Maggiani

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L’articolo è tratto dal nostro repertorio di numeri cartacei

Amare non è solo un gesto liberatorio. Amare è un gesto rivoluzionario. Amare è una pratica che dona vita prima di tutto a chi ama. Amare è un mistero. L’amato non può amare senza sincera pietà verso di sé e verso l’amata, verso le proprie nudità. Non la pelosa pietà clericale, la commiserazione presuntuosa e nemmeno il superiore disprezzo, piuttosto uno sguardo colmo di affetto, commozione, tenerezza e anche ironia.

L’amore di Maurizio Maggiani è un capolavoro che non può lasciare indifferenti. Una carezza gentile e delicata, un richiamo potente e intimo a scoprire il senso della parola amore, e il senso dell’amare. Racconta di piccole cose quotidiane, 24 ore dense dei decenni di amori, di solitudini e di strada che hanno portato l’amato fin qui, un lungo allenamento a dire ti amo ti amo ti amo. Ho pianto e goduto di una narrazione piena di mistero, piena di misteri, verità nascoste dal divino tra le pieghe del creato e delle creature, rivelazioni, sacre, sacramenti della parola, dolcemente svelati al lettore. Ho sottolineato, cerchiato, commentato a matita migliaia di parole. Ho fatto orecchie praticamente in ogni pagina.

Sono pagine intrise di religiosità pura, religiosità perché l’oggetto del narrare è qualcosa di sacro, di fluido non incastrabile tra le lettere, eppure dalle parole pian piano svelato, arricchito, perché Maggiani sa scegliere le parole che non chiudono, che non etichettano ma che aprono al mistero il misterioso amare. Non è un sacerdote Maggiani, ma un umile custode della parola, guardiano di un giardino in cui riconosce la sacralità del quotidiano, e la racconta con la massima attenzione possibile. Un rispetto e una delicatezza dolcissimi mai melensi, mai banali.

Una religiosità che per necessità usa le parole consuete, le parole apprese e condivise, comprensibili a tutti nel loro significato elementare. Una religiosità che dona nuovo significato profondo a quelle parole, più elementare ancora se vogliamo perché spoglio delle inutili sovrastrutture umane volte solo a garantirsi una posizione, un ruolo, un potere sull’altro.

Non essere fedeli di una qualche religione non comporta certo il non essere credenti. La sacralità emerge nei gesti quotidiani, siano essi rituali, d’amore o di sopravvivenza, la loro bellezza, non è certo preclusa a chi non aderisce alla struttura ma ha semplicemente l’umiltà di riconoscerla. Gesti lenti, non definitivi. Atti con dentro del sacro, celebrazioni.

C’è del sacro in un bacio, c’è del sacro nell’attesa del ritorno dell’amata, c’è del sacro nella raccolta di un sedano rapa, nel fare il pane, nel raccontare un fatterello quando la tavola è ancora imbandita, e nell’accettare che l’altro sia altro da noi accogliendolo tutto. L’amato. L’amata. E anche il gatto Asilo.