Ragionamento parenetico

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PREAMBOLO
Il titolo di questo nostro «ragionamento» fa ironicamente il verso al Ragionamento parenetico indirizzato dal sig. abbate G. C. ai popoli delle varie città di Romagna afflitte dal tremuoto, del lughese Giuseppe Compagnoni (Bologna,
Stamperia Lelio Dalla Volpe 1781), scritto all’indomani del terribile terremoto che colpì con due fortissime scosse una vasta area dell’Appennino al confine tra Marche settentrionali, Umbria e Toscana, che comprese comunque buona parte della Toscana (da Firenze a Monte Oliveto Maggiore) e della Romagna (fino a Ravenna). A differenza di quella orazione, decisamente reazionaria nei contenuti in quanto redatta dal Compagnoni ben prima di abbracciare le idee illuministiche, la nostra nota intende stimolare uno sguardo critico e pungolante nei confronti di un uso superficiale e soporifero di certi luoghi comuni legati alle piccole patrie.
La ripetuta lettura di libri e articoli sulla Romagna, che una certa editoria, attenta esclusivamente all’aspetto commerciale, pubblica senza freno, nonché la fruizione di spettacoli, trasmissioni, eventi di varia natura imperniati – ovviamente – sulla Romagna, ci ha indotti a interrogarci, ancora una volta, sul nostro essere per destino romagnoli. E, senza menarne becero vanto alcuno, tali siamo convinti di essere per le seguenti ragioni: le nostre ricerche anagrafiche fanno risalire ad

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oltre due secoli fa la presenza di nostri antenati paterni e materni in terra di Romagna (Bagnacavallo, Cotignola, Faenza, Russi, Terra del Sole). Le nostre origini contadine, bracciantili e operaie rientrano nel tradizionale contesto sociale della Romagna. Siamo anche forniti del regolamentare soprannome di famiglia: J Indgiân (Nadiani), I Balarèn (Savini). Inoltre, e questo è il dato fondamentale, la nostra lingua madre è il dialetto romagnolo, che parliamo e scriviamo in poesia e prosa. Per entrambi la conquista della lingua italiana è stata dura e, osiamo dirlo, abbastanza sicura.
Per queste ragioni ogni volta che ci siamo imbattuti in libri di narrativa o in raccolte poetiche di ambientazione romagnola o in articoli e saggi di carattere storico-antropo-sociologico miranti ad analizzare e descrivere la cosiddetta «etnia» romagnola nei suoi connotati tipici o che ci siamo trovati a essere testimoni di certi desolanti spettacoli romagnoli, ci siamo sempre chiesti se ci riconoscevamo in essi. Troppe volte la risposta è stata: no. E per le stesse ragioni, ora ci sentiamo autorizzati a esternare le riflessioni che seguono, nella speranza che chi ci leggerà vorrà dibattere il problema, allo scopo di super 

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RAGIONAMENTO PARENETICO

[dropcap1]Q[/dropcap1]uesto testo è una domanda e un appello a un tempo.
Se proprio se ne sente l’insopprimibile bisogno, è possibile riconoscersi in un’appartenenza a un lembo di terra dai labili confini e alle sue genti, alla sua storia che, nel bene e nel male, ne ha forgiato lingua (e ora ne sta forgiando di nuove), variegati modi di vita, fedi di ogni tipo, lotte, dolori, passioni, speranze e disperazioni?
È possibile riconoscersi in un’appartenenza a una simile entità senza scomodare il concetto limitato e limitante e, in ogni caso, usato al singolare assolutamente insufficiente, di identità? Un concetto che, per altro, se non è escludente in partenza, tuttavia può precludere un’indispensabile accogliente comprensione dell’altro-da-sé, richiamando esso troppi nefasti momenti della storia dell’Uomo nelle più disparate epoche e latitudini.
È possibile una normale, pacata e non ostentata appartenenza a questo qualcosa che non faccia sfoggio altezzoso della sua esistenza, ma che semplicemente si confronti dialetticamente senza superbia ma neppure complessi d’inferiorità con altre appartenenze, nel tentativo di realizzare la convivenza mediante il reciproco, pacifico e libero riconoscimento per il progresso umano e civile di tutti?RAGIONAMENTO-PARENETICO
Se tale appartenenza è possibile, è altrettanto possibile per gli e le appartenenti poter esprimere liberamente e serenamente il proprio disagio, la propria critica verso quel pervertimento culturale che ha deturpato e continua a deturpare in modo irreversibile la faccia ambientale, paesaggistica, architettonica, economica, di convivenza civile eccetera di quel lembo di terra senza per questo venire immediatamente tacciati di essere dei rinnegati?
È possibile per gli e le appartenenti chiedere a coloro che sentono di poter condividere la stessa appartenenza per nascita, per vita, per scelta o per qualsiasi altra santa ragione, di ribellarsi allo squallido mercimonio delle tradizioni inventate e dei più vieti e farraginosi stereotipi caratteriali, enogastronimici, letterari, spettacolari, turistici, pseudo-folklorici, pseudo-musicali eccetera (che, s’intende, hanno tutto il diritto di esistere e di essere spacciati liberamente da chiunque per il proprio tornaconto e di essere consumati da chiunque, ma prima rimuovendo da essi l’illusoria e fuorviante etichetta dell’unicità/autenticità)?
È possibile chiedere agli e alle appartenenti che si gustano un meritato cappelletto o una sudata piadina con salsiccia, o un’agognata fetta di castrato dopo aver fatto 500 metri di fila e un’ora di attesa alla Sagra della Pera Volpina con l’orchestrina zum-pa-pa che suona in sottofondo in playback, di limitarsi a considerare quel momento di svago e di piacere come un mero momento di svago e di piacere e basta, senza complicarsi la vita a pensare di star facendo un gesto di appartenenza?

È possibile agli e alle appartenenti – mentre continuano a sognare un’agile rete di metropolitane di superficie, simile a quelle esistenti in altre regioni europee avanzate, che unisca senza sosta i suoi diversi nodi – esigere da chi di dovere che il cosiddetto materiale rotabile (leggi: treni), sferragliante rugginosamente su quel lembo di terra, da alcuni definito la California d’Europa, li porti una buona volta rapidamente e sicuramente alle loro pendolari mete di lavoro e di studi senza dover perdere il resto della vita in vane attese e proteste?
È possibile sperare che gli e le appartenenti dotati di spirito d’iniziativa, di capacità e di mezzi diano nuova forma, in modo adeguato ai tempi, a quel lembo di terra dal punto di vista economico (dal turismo, anche sportivo, all’agricoltura;
dall’artigianato alla piccola e media industria; dalla tecnologia all’architettura; dalle attività portuali alla silvicoltura; dai servizi alla cultura ecc.) facendone un lembo d’eccellenza senza comprometterne irrimediabilmente i connotati, bensì prefigurando modi di vita, produzione e gestione alternativi, durevoli e sostenibili?
È possibile per gli e le appartenenti richiedere a chiunque li amministri o li amministrerà di smettere di riempirsi la bocca di termini e sintagmi quali romagnolità, fruttuosa sinergia tra i poli romagnoli; forti legami con la gente di Romagna, aree vaste eccetera, pensando piuttosto a dare il massimo nel loro piccolo metro quadro locale, dove sono chiamati a servire i loro amministrati alle prese con la loro faticosa quotidianità, cessando, dunque, di operare a favore per esempio di anonimi apparati multiutility dell’acqua, della sanità, del rusco?
È possibile richiedere agli stessi e alle stesse di cui sopra di continuare a servire gli e le appartenenti operando fattivamente – e cioè investendo capitali e risorse umane – perché quanto creato nella sua poliedricità e stratificazione dalle fatiche, dalle passioni, dalle lotte, dalle fedi delle precedenti generazioni, che hanno calcato quello stesso lembo di terra, non venga ignominiosamente dissipato e cancellato, bensì sia preservato nelle strutture materiali (ad esempio mettendo in sicurezza i soffitti di biblioteche, scuole e musei prima che crollino) e immateriali (ad esempio lingua, musica ecc. prima che si dissolvano), e sia valorizzato creativamente e – laddove possibile – rinnovato e rimesso in gioco per la crescita culturale, umana, civile e pure economica dei nuovi appartenenti e dei loro ospiti senza per questo venir tacciati di essere degli incorreggibili e passatisti bacchettoni? Se tutto questo (e ben altro) è o sarà possibile, è e sarà possibile definire quell’appartenenza come Romagna.