Faccia colorata. Un po’ di rughe e occhi brillanti. Passi ritmati. Costumi ingombranti e campanelli.
Mario Barzaghi da molti anni studia, con rigore e sudore, il Kathakali, antichissima forma espressiva del teatro-danza indiano. Qui, in un piovoso pomeriggio modenese, lo mostra e lo spiega. Un atleta del cuore: il titolo cita Antonin Artaud e il suo celeberrimo Il teatro e il suo doppio. Barzaghi in scena racconta di Eugenio Barba con precisione e scienza. E di Dante, i primi otto canti dell’Inferno.
Suda, danza e illustra, con esattezza e passione, l’attore in bilico fra oriente e occidente: è questo il sottotitolo della dimostrazione-spettacolo cui assistiamo, pochi e incantati. «Un atleta del cuore ha vent’anni, e anch’io inizio ad avere i miei problemi. Adesso vedo di fare qualcosa», e poi via con un altro esercizio, una nuova danza, commovente nel suo racchiudere la fatica antica e quella di adesso, la sapienza accumulata negli anni e il tempo che passa, i capelli bianchi e un mistero.
Il Kathakali, mi vien da pensare, non è così distante da noi, nel meccanismo: in Europa avevamo nel Settecento il ballet d’action, la danza pantomima che raccontava anche Molière; in India i mudra narrano (meglio “narravano”? il presente è forse troppo romantico, nella nostra società globalizzata?) storie religiose; in entrambi i casi la componente narrativa è alternata a passaggi («ponti» li chiama Mario Barzaghi) di danza pura, in cui «il corpo danzante non ci offre che se stesso», come scriveva un secolo fa Boris de Schlözer.
Qui, nel piccolo teatro, è in scena un grande rigore, un modo tenacemente “inutile” di resistere al mondo che velocemente si sfascia, andando veloce non (si) sa dove. C’è un maestro antico, qui, vivo. Siamo fortunati.
MICHELE PASCARELLA
5 ottobre 2013, Teatro dell’Albero/Mario Barzaghi, Un atleta del cuore, Festival Trasparenze, Modena. Info: teatrodeiventi.it e tealbero.it