Delusioni cambogiane

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Siamo arrivate al confine, finalmente. La Cambogia purtroppo ha continuato a non sorprenderci. Anzi ci ha lasciato con molto amaro in bocca.

Sono quasi le 5 di pomeriggio: più di due ore che attendiamo il visto per attraversare il confine del Laos.  Dopo un viaggio di 40 minuti, troppo caro anche per un minivan di lusso e che di lusso non è, arriviamo al confine ed un ”addetto” ci accompagna, prima della frontiera, al solito bettolino di bevande per la compilazione del modulo. Qui scopriamo, in modo tutt’altro che cortese, che nonostante il visto laotiano costi 35 dollari, noi saremmo costretti a pagarne 44, per consentire che quasi un 30% extra vada direttamente nelle tasche di questi “stanchi lavoratori”. La sopratassa è così giustificata: 5 dollari per lavoro straordinario (certo, sono le 3 di pomeriggio di un giovedì!) 2 dollari perché l’addetto cambogiano ponga un timbro sul passaporto per l’uscita, altri 2 per il corrispondente timbro laotiano! Una vera presa in giro. E quando proviamo a chiedere spiegazioni ci viene gridato che c’è il rischio di dover aspettare tutto il giorno, se non si vuole pagare la mazzetta, o di tornare indietro! Che dire, non è altro che l’ultimo episodio dei tanti che abbiamo vissuto. Solo money, sempre money. Corruzione, prezzi triplicati o peggio per i turisti, scortesia ogni qualvolta si metta in dubbio l’onestà di chi ti sta vendendo qualcosa. La Cambogia dei sorrisi è tale solo fintanto che sei cliente, ma, capisci molto presto, che quel sorriso ha un costo e, finita la transazione, non c’è modo di andare oltre a quella facciata e creare un vero scambio umano. Non che nessuno ci abbia mai trattato con maleducazione, ma semplicemente con noncuranza. Non compri, non ci sei.

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Proprio non so. La Cambogia che ci era stata dipinta in maniera idilliaca da tanti turisti, noi non l’abbiamo vissuta. Si sa, ogni viaggio è un’esperienza a sé stante, si tratta di casualità e di incontri lungo la strada e noi non siamo state fortunate in questo. Avremmo voluto scoprire di più, ma non abbiamo  trovato il modo giusto.

Certo nei piccoli centri meno turistici la gente è ancora autentica e gentile o alla capitale abbiamo trovato il più amichevole dei baristi di strada che ci ha fatto assaggiare il miglior caffè cambogiano (grazie MCoffee a fianco del National Museum), ma questo non è stato sufficiente per farci innamorare del Paese.

Un Paese dove la gente povera dei villaggi rimane nella miseria e senza nessun servizio, dove la corruzione è altissima, e i terreni vengono disboscati e bruciati a favore delle compagnie cinesi che esportano legno dal paese, senza nessuna politica di riforestazione.

Credo proprio non ritornerò, ma è stata comunque un’esperienza.

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Per lavoro: ufficio stampa e comunicazione di progetti artistici e culturali. Per passione: critico e studioso di teatro, danza e arti visive. Curioso di altre arti. Camminatore. Collaboro con Gagarin dal 2012: interviste, presentazioni, recensioni, in alcuni periodi ho anche distribuito la rivista cartacea in giro per la Romagna. Quello che mi piace di Gagarin: la varietà, la libertà.