Wilco, la mezza età con poca aria di crisi

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A sentire in giro, Star Wars (2015) aveva lasciato l’amaro in bocca a molti fan dei Wilco: un disco da molti sentito come fiacco, stanco e senza le belle idee che erano culminate con The Whole Love (2011). Non facciamo fatica ad ammettere che ci sentiamo parte del partito dei delusi da quell’album ed era, appunto, con curiosità che attendevamo la nuova mossa di Jeff Tweedy e soci: per fortuna, Schmilco rimette le cose apposto, decreta una band viva e vegeta che se non proprio tornata ai fasti delle loro opere migliori, la quale comunque vive bene la propria mezza età musicale – già, ridi e scherza, il leader ha appena compiuto cinquant’anni.

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Il titolo, da amanti che siamo del grande pop americano dai Beach Boys in giù, già mette di buon umore poiché ai più attenti non sfuggirà che sia un’omaggio a un vecchio disco capolavoro di Harry Nilsson, quel Nilsson Schmilsson (1971) con in dote aveva l’immortale cover di Without You (Badfinger) e soprattutto lo splendore di Coconut. Ed è proprio in quel filone che vanno inquadrati i Wilco dell’ultima dozzina d’anni: i lavori sono un po’ West Coast modello Byrds e Buffalo Springfield ma anche sciacquati nei fiumi pop dei Nilsson appunto, dei Todd Rundgren e degli Emitt Rhodes, operazione che alla band di Chicago, per lo più, è riuscita molto bene.

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Jeff Tweedy con la star TV Stephen Colbert...
Jeff Tweedy con la star TV Stephen Colbert…

Non che tutto suoni perfetto in Schmilco, fra l’altro prodotto da Tom Schick (Paul McCartney, Little Jimmy Scott, Sean Lennon, Sonic Youth) – ci sono momenti piuttosto manierati come l’a-melodica Common Sense, la fotografia di una fotografia di Neil Young Nope, la depressissima Happiness (nonostante il titolo…) oppure Just Say Goodbye – parentesi sottotono in un disco comunque di buon pregio com’è questo. Schmilco, in generale, ragiona per sottrazione laddove The Whole Love fu un trionfo di possibilità: vedi, per esempio, quadrate belle ballad come If I Ever Was A Child, acquarello degno dei tardi Byrds, oppure Cry All Day, che già immaginiamo dal vivo prendere pieghe epiche. Se poi si aggiungono anche altri numeri degni di nota come We Aren’t The World (Safety Girl)Normal American Kids – incipit al tutto che più quieto non si potrebbe – e lo svagato country Quarters, nella propria interezza l’album dà l’impressione che i Wilco siano giunti al giro di boa, dove si accetta che non sì è più gruppo up-and-coming, diciamo in divenire, bensì un classico consolidato della più recente musica yankee: saperne prender atto in tempo è un bel segno di maturità, che se no si giunge alla poca gloria con cui sono finiti i R.E.M., per esempio.

CICO CASARTELLI

WILCO –  Schmilco (Anti/Epitaph)

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