Zen Circus: “La terza guerra mondiale? Si combatte sulle tastiere”

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“Io credo che nella vita una persona debba cercare di avvicinarsi alla felicità. Esserlo davvero è un casino, ma provarci è plausibile. Alla fine della giornata domandiamoci: quello che ho fatto oggi, mi ha reso felice?”. Parla della smania che abbiamo di riversare i nostri commenti sui social network, con pensieri che spesso sfociano nell’odio e nella sete di sangue, Karim Qqru, batterista degli Zen Circus, band pisana fra i fenomeni più apprezzati del rock italiano degli ultimi 20 anni. Domenica 16 aprile salgono sul palco del Vidia Club, a San Vittore di Cesena, e presentano dal vivo il nuovo disco ‘La terza guerra mondiale’. Il messaggio è eloquente a partire dall’immagine che hanno scelto come copertina dell’album. La band, composta anche dal frontman Andrea Appino (voce e chitarra) e da Massimiliano ‘Ufo’ Schiavelli (basso), è intenta a scattarsi un selfie seduta in aperitivo al tavolino di un bar, mentre sullo sfondo il mondo cade a pezzi. Della genesi del disco ce ne parla Karim, il batterista, che in Romagna è di casa: per metà sardo e per metà toscano, da diversi anni vive infatti a Forlì.
Come si sta dalle nostre parti?

Devo essere sincero? La Romagna è una terra dove suoniamo sempre volentieri, e che ci ha dato tanto. Ma il pubblico a volte ha un approccio particolare alla musica dal vivo.

Cosa intendi?

C’è un fruire i concerti in modo a volte molto privato, non da happening, come succede in altre piazze. E in questo contesto credo che per un rock club che fa musica dal vivo, oggi, dopo che anche realtà come il Velvet sono venute meno, sia un’impresa stoica resistere. Libero Cola in questo senso è un eroe, con quello che ha fatto e continua a fare con il Vidia dimostra davvero di avere i contro attributi.

Una terza guerra mondiale non sembra un’ipotesi così fantascientifica, se guardiamo a quello che sta succedendo nel mondo, non trovi?

Attualmente 69 Paesi sono impegnati in un conflitto bellico, praticamente un terzo del pianeta. Chiaramente la nostra è una provocazione: ci auspichiamo, in modo ironico si intende, una terza guerra mondiale, per vedere quelli che riversano tutto il loro odio sulle tastiere lasciare a casa lo smartphone e imbracciare un fucile”.

Dito puntato contro l’universo social, dunque?

Il nostro non è un j’accuse. Non puntiamo il dito contro nessuno, i difetti che critichiamo spesso sono anche i nostri. Ma credo che il progresso tecnologico ci sia sfuggito pesantemente di mano. Vuoi per cambiamenti sociali e geopolitici, vuoi per il sopravvento del digitale, stiamo assistendo a un aumento esponenziale di sete di sangue. Quando ero adolescente io, c’era ancora la leva obbligatoria, ma certi pensieri guerrafondai venivano espressi di meno, sia dai figli che dai genitori.

Di cosa dobbiamo avere davvero paura?

Di noi stessi. Siamo sempre in lotta con la nostra ‘second life’, quella che ci siamo creati aprendo il nostro profilo Facebook, o Instagram, dove diamo un peso smodato al nostro aspetto estetico, all’immagine che mettiamo in vetrina nella community. Poi, nel reale, abbiamo seri problemi di relazione.

Come si può restare estranei da queste dinamiche? Quanto è difficile essere dei “gatti senza padroni”, come cantate nella title track?

Penso a quello che diceva mia nonna: ‘Prima di dire qualcosa, conta fino a dieci’. Ecco, credo che possa essere un buon approccio. Commentare a tutti i costi, aprire il laptop per avere l’ultima parola, finendo a volte per sbriciolarci dal punto di vista etico e morale in discussioni futili, ci fa davvero sentire meglio?

Parliamo di sound, prettamente punk-rock: operazione nostalgica?

Forse siamo semplicemente dei poveri vecchi! Scherzi a parte, ‘Canzoni contro la natura’ (il loro penultimo lavoro, ndr) era un disco volutamente lo-fi, registrato in pochissimo tempo. Per quest’ultimo album abbiamo impiegato un anno della nostra vita, facendo un lavoro certosino dal punto di vista del suono. La base è rock pulito – chitarra, basso e batteria – ma dietro c’è un lavoro di missaggio e remastering importante. È un disco molto quadrato, forse il meno cantautorale della nostra carriera. E no, non è un ritorno a un sound anni Novanta. Diciamo che è un’evoluzione, ma con uno sguardo al passato.

Come sta andando il tour?

Ci sta dando grandi soddisfazioni, le date son praticamente tutte sold out. Soprattutto è bello vedere come il nostro pubblico, oltre che numeroso, sia diventato trasversale: in mezzo alla folla oggi troviamo sia il ragazzino di 11 anni accompagnato dal genitore, sia il sessantenne.

Diciamo che oggi la musica “indie” fa tendenza: ha ancora un significato questo aggettivo?

Non vuole dire un ca… o! Io parlerei semplicemente di ‘musica italiana’: ma dal punto di vista mediatico, per fare capire ai lettori un movimento, si tende a doverlo canalizzare a tutti i costi. E così è stata creata una presunta scena musicale che accomuna gruppi con una storia e un approccio artistico completamente diversi. Quando ero più giovane, ‘indie’ era un lemma usato per indicare il sottobosco dell’underground americano anni Novanta. Sonic Youth, The Replacement e altre band del genere erano davvero pioniere della musica indipendente dalle major. Quella del ‘Do it yourself’ era la base estetica e la deontologia del loro lavoro. Oggi usare l’aggettivo indie è un affronto, anche se si parla di Zen Circus.

Dopo il concerto tutti in pista con Pasqua Rock Allstar, il raduno dei migliori dj della Romagna.

 

16 aprile, Vidia Club, via San Vittore 1130, info: 0547 662211, www.vidiaclub.com