Yael Bartana. Cast Off

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Yael Bartana, Tashlik (Cast Off), 2017

Nella Sala Grande e nelle Sale Superiori di Palazzo Santa Margherita, la Fondazione Modena Arti Visive ospita fino al prossimo 13 aprile la personale dell’artista israeliana Yael Bartana (Kfar Yehezkel, 1970), che attualmente vive e lavora tra Amsterdam e Berlino.

L’esposizione, curata da Chiara Dall’Olio, presenta sei installazioni video e fotografiche, che si interrogano sul significato di concetti come “identità”, “nazione”, “rito” e sulle valenze anche politiche che, oggi più che mai, queste parole hanno nel mondo contemporaneo. In un’Italia e in un’Europa che stanno affrontando tensioni nazionaliste e spinte separatiste, l’artista offre spunti di riflessione di grande interesse e sprona a sua volta il pubblico a interrogarsi sul senso di questi temi.

Il percorso espositivo che si diffonde su due piani di Palazzo Santa Margherita, si apre con il video in bianco e nero The Recorder Player from Sheikh Jarrah, l’opera più documentaria fra quelle presentate, in cui una ragazza suona un flauto dolce davanti ai militari israeliani schierati in occasione delle manifestazioni contro l’espulsione dei residenti musulmani dai dintorni di Gerusalemme a opera dei coloni israeliani.

La mostra prosegue con il video Tashlikh (Cast Off), l’unico in cui non sono riprese né persone, né azioni, ma solo oggetti simbolo appartenuti a uomini e donne che hanno subito persecuzioni e genocidi nell’ultimo secolo, non solo quello perpetrato al popolo ebraico, ma anche a quello armeno, della ex Jugoslavia, dei paesi africani.I l titolo Tashlik – che tradotto in italiano significa gettar via– fa riferimento a una pratica antica dell’Ebraismo, usualmente eseguita nei giorni che portano dalla fine dell’anno vecchio all’inizio di quello nuovo, in cui i peccati dell’anno precedente sono simbolicamente rappresentati da un oggetto, che viene gettato nell’acqua corrente. In questa opera, Yael Bartana lascia fluire oggetti personali come abiti, fotografie, sciarpe che riportano immediatamente alle etnie di appartenenza, che cadono dall’alto su uno sfondo nero e sembrano affondare come se si trovassero nell’acqua.

Nelle sale superiori di Palazzo Santa Margherita, si trova la doppia proiezione di Summer Camp / Avodah. In questo caso, l’artista riprende l’estetica del film Avodah, diretto nel 1935 da Helmar Lerski che sollecitava gli Israeliani a tornare in Patria per edificare uno stato ideale sionista, per ribaltarne la prospettiva e presentare un filmato nel quale racconta la ricostruzione di una casa palestinese – distrutta dalle autorità Israeliane – da parte degli attivisti del Comitato Israeliano Contro la Demolizione delle Case. Il visitatore sarà poi invitato a entrare nella stanza, dove è proiettato True Finn. L’ambiente riprende quello del salotto della casa nella campagna finlandese, dove si è svolta la performance, chiamata appunto True Finn, che ha visto otto residenti finlandesi di etnie, religioni e provenienze differenti, interrogarsi sul significato dell’essere finlandesi. In quest’opera Bartana si confronta con i meccanismi coinvolti nella costruzione di un’identità nazionale in un contesto completamente differente da quello delle sue origini e sceglie di farlo utilizzando una parodia da reality show.

La rassegna prosegue con il video A Declaration– presente nella collezione della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena – un’opera importante nella carriera di Yael Bartana, in quanto è la prima in cui l’azione ripresa non appartiene alla realtà, ma a una finzione cinematografica creata dall’artista e che documenta un gesto fortemente simbolico, ovvero quello di sostituire la bandiera israeliana, presente su uno scoglio della baia di Jaffa, con un albero di olivo. Diversi sono i livelli di significato: l’ulivo, oltre a essere il simbolo universale della pace, è anche quello della nazione palestinese, e il gesto di piantarlo è una citazione dell’ideologia sionista dell’invito al ritorno del popolo ebraico alla terra natale.

La citazione del medesimo stile si riafferma anche nell’ultima stanza in cui è allestita l’installazione fotografica The Missing Negatives of the Sonnenfeld Collection (After Herbert and Leni Sonnenfeld) per la quale Yael Bartana ha scelto alcune immagini dall’immenso archivio dei due fotogiornalisti Leni e Herbert Sonnenfeld che hanno documentato la Palestina / la Terra di Israele fra il 1933 e il 1948. Adottando lo stesso stile eroico, l’artista ricrea le scene delle fotografie originali, usando giovani arabi ed ebrei arabi come modelli, che interpretano figure di contadini, lavoratori e soldati, belli, gioiosi e pieni di speranza, per dare immagine a un momento utopico che sfida l’etica del movimento sionista.

Fino al 13 aprile 2020

Modena, Palazzo Santa Margherita, Corso Canalgrande 103. Info & Orari: fmav.org