Roberto Nanni, un marziano a Roma

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"Greenhouse Effect. Steven Brown reads Keats"

L’articolo è tratto dal nostro repertorio di numeri cartacei

Un ginnasta in movimento in un esercizio d’equilibrio sullo sfondo dove il nero esaspera i contorni rossi del corpo: «Così tutta la vita si riduce a figura e sfondo», come insegna Samuel Beckett. È il fotogramma tratto da Luce riflessa restituita alla notte di Roberto Nanni. Beckett appare in una giornata di pioggia primaverile, gli occhi stanchi e la sigaretta penzolante tra le labbra. Il rumore della città non sembra abbastanza profondo da contenere il dramma e la gioia dell’incontrarsi, così le persone scivolano via fuori scena e tutto ha inizio.

Chi è Roberto Nanni? Un cineasta bolognese (non chiamatelo regista) nato nel 1961 all’ombra delle Due Torri e che da trent’anni vive a Roma. Autore underground di documentari e cortometraggi attivo dagli anni Ottanta, ha realizzato L’amore vincitore – Conversazione con Derek Jarman, Vita di un anarchico sardo per la Sacher film di Nanni Moretti; è stato collaboratore di Steven Brown dei Tuxedomoon, con i quali ha lavorato nella realizzazione di commenti visivi per i loro concerti e diretto Greenhouse Effect. Steven Brown reads Keats. Roberto Nanni è questo, ma anche troppe altre cose. Quelle che scopro in un bar del centro con sottofondo industrial curato da profani operai in stile Einsturzende Neubauten che ci fanno scivolare in un cut-up dove le parole si abbracciano in una affinità emotiva e culturale.

Le domande e le risposte tra me e Roberto Nanni seguono il filo perverso, mai rosso dell’indagine del mondo, mentre la luce di taglio ci divide pochi metri nel centro di Bologna dalla casa-museo di Lucio Dalla.

È invece la profondità viscida del mare sporco dell’arte a separare la poetica sensibilità di Roberto Nanni dal mondo.

Cinema sperimentale o underground? «Molti dicono che io faccia cinema sperimentale ed è una cosa che mi fa innervosire. Sperimentale vuol dire non avere un’idea quindi mettere le cose insieme in una ricerca. Io non ho mai sperimentato niente (se non da ragazzino quando seppellivo le pellicole super 8 in San Donato), semplicemente utilizzo un linguaggio differente, un diverso virus di linguaggio per dirla alla William S. Burroughs. Il cut-up non era sperimentazione».

Cinema analogico o digitale. Hi-fi and Low-fi? «Io provengo dal mondo del super 8, da un mondo nel quale si facevano grandi cose con pochi soldi, ma non ho nostalgia. La differenza tra il digitale e la pellicola imponeva una maggiore concentrazione quando giravi, e dovevi già pensare alla prossima inquadratura. Nel digitale hai l’impressione di essere onnipotente potendo girare molto e risolvere tutto con il montaggio, ma non è così. La pellicola costava molto ed eri costretto a riflettere. Per me il suono è importantissimo, ed io su sul suono stendo la scena, mentre in realtà il suono in genere viene montato dopo. Il digitale rimane comunque un grande mezzo anche se credo che l’alta definizione non faccia altro che allontanare dalla vera anima, qualcosa che si sta perdendo».

Tutti vogliono il successo (gli strumenti alla portata di tutti nell’era digitale). «Se si fa questo lavoro è perché si sta male, non per avere successo. Le cose che faccio, sono per me ed i miei amici, non voglio essere approvato, senza alcun rancore, voglio andare oltre la rappresentazione del potere di cui il regista spesso si avvale. Io sono un cineasta, alla francese un réalisateur». 

«Un abbandonarsi alla seità, l’essere a sé». Enrico Ghezzi in una puntata di Fuoriorario definisce così la tua ricerca… «Non c’è alcuna competizione con gli altri, l’importante è fare le mie cose».

Vivere fuori dal mainstream o non vivere affatto. «Ti viene negata la possibilità di fare cinema se non per accumulare denaro. Roma, da questo punto di vista e non dico la Roma di Sorrentino (regista de La grande bellezza), una volta accettava altre forme. Vent’anni fa c’era ancora modo di sopravvivere, poi lo starsystem ha invaso tutto. La reverenza nei confronti di Hollywood non mi appartiene. Ormai è tutto in scena. Osceno significa essere fuori dalla scena e questo mi appartiene di più, questo mi rappresenta. Grifi ben prima di me, Ferreri o Pasolini di Salò o Le 120 giornate di Sodoma, hanno dimostrato che si può fare cinema in un altro modo. Non so come si possa fare a vivere in questo sistema, con i giovani registi che si uccidono per fare altri lavori per riuscire ad andare avanti».

C’è Nanni e Nanni, come nasce la collaborazione con Sacher film per Vita di un anarchico sardo? «Nanni Moretti vide il mio film intervista a Derek Jarman e fu questo a convincerlo nel contattarmi».

«Essere uomini del proprio tempo e la pioggia come qualcosa che è successo nel passato», ti faccio una domanda con una citazione di Borges… «Per essere uomini del proprio tempo bisogna sempre scivolare in quello che Burroughs chiama interzona, essere contemporanei è concepire il tempo come qualcosa di già passato, non come un orologio».

Sei contro la narrazione? «Non sono contro la narrazione, è una mia scelta di non agire in quel modo ma c’è sempre una narratività. Preferisco esplorare altre forme di narrazione, meno facili e confezionate. Molto spesso oggi il cinema è simile alla narrazione di una partita di calcio, mentre coloro che vogliono perseguire altre strade difficilmente saranno visti da un pubblico, soprattutto il cinema che mette in discussione il sistema produttore-distributore».

No future, what about the future? «Sto finendo di lavorare ad un film, di cui una parte è stata proiettata per lo spettacolo dei Tuxedomoon qui a Bologna. Ho una serie di cose in mente. Bisogna essere autosufficienti, lavorando con mezzi digitali, lavorare con giovani molto bravi. Sono ottimista, finché respiri devi esserlo: andare avanti e cercare di sopravvivere. In maniera molto lucida posso dire che non vedo un futuro in questo Paese, ma si deve andare avanti in ogni caso. Ricominciare e ricominciare perché non si può fare altro».

Info: Ostinati 85/08 – dalla conversazione con Derek Jarman a Steven Brown reads John Keats, cofanetto dvd, Kiwido Media video.

di Marco Boccaccini