Dalle macerie di un mondo distrutto, da un’umanità in rischio di via di estinzione nasce negli Stati Uniti il regime monoteocratico della Repubblica di Galaad. Qui la popolazione si divide in caste: i Comandati, gli Occhi, gli Angeli e i Custodi per gli uomini, le Mogli, le Zie, le Ancelle, le Marte, le Economogli e le Nonmogli per le donne. Difred è un’Ancella, una delle poche donne considerate ancora fertili, totalmente asservita al suo Comandate nel compito di portare avanti la specie umana.
Il racconto dell’Ancella di Margaret Atwood è come un grande mosaico le cui tessere, lasciate in ordine sparso, necessitano di essere ricomposte per dare vita a un disegno dotato di senso. Il lettore è immerso completamente nella mente della protagonista di cui non conosce neanche il vero nome, ma solo quello che la società le ha imposto: Difred, di proprietà di Fred, il Comandante a cui è stata assegnata nel momento in cui inizia la storia. Essere immersi nella sua memoria significa inevitabilmente perdersi in un labirinto di ricordi dove passato, presente e futuro si mischiano. Difred si rivolge direttamente al suo lettore portando la sua testimonianza di un tempo vissuto: afferma di narrare una storia che, in quanto racconto, non può evitare di subire i tratti di una deformazione della realtà. Così, una Difred di un futuro indeterminato racconta la sua storia. Un insieme di piccole azioni quotidiane: la sveglia, la colazione, la spesa e la passeggiata in compagnia di un’altra Ancella, i rapporti con il Comandante, la Moglie e le Marte che abitano la casa in cui alloggia e i diversi rituali messi in atto della società. A partire da piccoli elementi emergono poi i ricordi di una vita passata, di un mondo diverso, dove Difred era moglie e madre. All’inizio non è facile, sembra quasi di perdersi tra i meandri di una memoria triste e malinconica, che la sua protagonista non sempre può o vuole ricordare e che perciò restituisce in pezzi.
Leggere Il racconto dell’Ancella è perciò mettere insieme tutti questi pezzi, accettando gli inevitabili buchi neri che resteranno tali. Sono i buchi che sperimentiamo nella nostra stessa vita quotidiana e i ricordi che abbiamo cancellato. La stessa cosa succede a Difred, chiusa in una stanza, intenta unicamente a sopravvivere. E per farlo, certe cose è meglio dimenticarle, spesso perché dietro di esse si cela il profondo dolore della perdita. Difred, per sopravvivere, ha bisogno di attutire questo dolore e nel farlo cancella inevitabilmente parte di se stessa: ecco allora che diventa impossibile definirsi e definire il rapporto di possesso che si instaura con le cose e le persone.
Margaret Atwood regala al suo lettore un’opera distopica di grande ingegno, un’aspra critica ai regimi totalitari, alla subordinazione della donna all’uomo, alla cancellazione dei sentimenti e all’ignoranza, nel suo significato di “condizione determinata dalla mancanza di istruzione o di educazione”, da sempre cuore pulsante di ogni regime. Voi ancora ricordate, dice Zia Lydia alle sue Ancelle, ma quelle che verranno dopo di voi non ricorderanno e allora questo sarà l’unico mondo possibile.
Il racconto dell’Ancella, Margaret Atwood, Casa Editrice Ponte alle Grazie