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«Non è un cammino né semplice né breve. Non lo è stato per noi; non lo sarà per voi» avvertono Franco Cardini e Marina Montesano in chiusura del primo, programmatico capitolo del poderoso, denso saggio Donne Sacre. Sacerdotesse e maghe, mistiche e seduttrici pubblicato da il Mulino nel 2023.
Ed è in effetti da capogiro, lo «slalom diacronico, transculturale e intersezionale» che i due medievalisti propongono.
Queste brevi note -senza pretesa di esaurire alcunché, ça va sans dire– vogliono semplicemente restituire alcuni frammenti estratti dall’architettura complessa e complessiva di questo nutriente volume.
DEL TUTTO ALTRO
Il primo elemento da nominare è, forse, l’accezione di Sacro che il saggio indaga. Mutuando la definizione del teologo e storico delle religioni tedesco Rudolf Otto, si considera Sacro ciò che è «del tutto Altro, del tutto Diverso» rispetto all’umano. Vi è dunque, connaturata ad esso, un’ontologica ineffabilità, nel senso etimologico dell’impossibilità di farsi dire, finanche nominare. Un curioso, stimolante paradosso per un’opera che tende all’esatto opposto. Vien da pensare alle altrettanto paradossali e stimolanti riflessioni di Vladimir Jankélévitch sui molti rapporti tra musica e silenzio: in entrambi i casi è nello iato tra queste apparentemente inconciliabili polarità che la riflessione muove. E ci muove.
NÉ BUONO NÉ CATTIVO
Altra questione rilevante, perché problematizzante di molti luoghi comuni: queste pagine analizzano -con una ridda di esempi tra Mito e letteratura, tra Storia e cultura- una concezione e una concrezione di Sacro «non sempre necessariamente buono» e, specificamente, un Sacro femmineo che può essere «dolcissimo o terribile, salvifico o demoniaco»: quale elementare e al contempo radicale sfida ai nostri iper-semplificanti pre-giudizi quotidiani!
PASSATO CHE SI FA PRESENTE
Molte pagine sono dedicate a Grandi Madri e a figure del Mito. Pagine zeppe di uccisioni, evirazioni, decollazioni, sacrifici umani e animali, teofagie. E riti di purificazione. Come non pensare all’oggi, nel leggere le vicende di quegli esseri «impastati di bene e di male»: che sono, che siamo.
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MATER CHRISTI, MATER DEI
Un affondo specifico è dedicato a Maria di Nazareth: tanto centrale nella venerazione quanto poco raccontata dai Vangeli canonici, incarna la condizione umanamente, doppiamente ossimorica «non solo di Vergine e Madre, bensì anche di Theotókos, “Generatrice di Dio”, vale a dire Madre di Colui che per definizione è eterno e increato». Senza addentrarci in questioni teologiche o tecnicamente dottrinali, che non ci appartengono, anche da un punto di vista laico è un paradosso che allarga i pensieri, che nutre il pensiero.
CADUTA VERSO L’ALTO
Di ossimoro in ossimoro, di nutrimento in nutrimento, si arriva ad alcune mistiche medievali (Ildegarda di Bingen, in primis) e il loro «itinerario verso Dio attraverso un percorso ascetico che implica l’abbandono di riflessione razionale». È una «teologia per immagini» intessuta di visioni «fatte di luce e di voce» che rimandano, etimologicamente, al teatro, come luogo di sguardi e, appunto, visioni, tesi alla catarsi e alla conoscenza.
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SPIRITISMO DA FIERA E NON SOLO
A proposito di teatro: alcune pagine sfiziose del volume raccontano delle sorelle Margaret e Catherine Fox, che nel 1849 negli Stati Uniti furono protagoniste della «prima dimostrazione di spiritismo tenuta davanti a un pubblico pagante». Si raccontano i trucchi poveri, da fiera, posti in essere per «parlare con i morti». Ma anche di sciamane siberiane e giapponesi, del loro farsi veicolo, farsi attraversare, finanche possedere. Anche in questo senso, il legame con la funzione trasformante ed evolutiva dell’atto teatrale è molto, molto stretto.
QUID MAIUS
Dopo fate e streghe, illuminazioni e persecuzioni, lati oscuri del «luminoso Rinascimento» e infatuazioni Preraffaellite, il saggio si chiude con Evita Perón, sineddoche di un Sacro femmineo non circoscrivibile, né riducibile. I tratti della sua identità plurale, per usare una definizione cara alla pedagogia istituzionale, sono suggeriti a suggellare un procedere pervicacemente rizomatico alla ricerca di «qualcosa d’inesprimibile, un quid maius».
Qualcosa che non sappiamo e che, come nella poesia, generosamente ci nutre.
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