La tragedie de Carmen di Pizzech: la colpa della donna

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ph Ludovica Gelpi

 

La tragedie de Carmen, adattamento della più celebre Carmen operato da Peter Brook, ci pone immediatamente di fronte ad un dubbio amletico, profondo e, se vogliamo, anche culturale. La tragedia di Carmen enunciata nel titolo sembra far confluire le energie, sul palco e nell’audience, sulla figura centrale femminile, il suo strazio, il suo percorso all’interno della parabola drammaturgica e operistica, la sua armonia che da amorosa e ribelle si fa prima pericolosa e infine sanguinosa. L’appena scomparso Brook comprime l’opera di Bizet (piece dell’81 e pellicola inerente dell’83), coadiuvato da Jean-Claude Carrière, nell’intensa regia di Alessio Pizzech (nuova produzione; allestimento scenico di Andrea Stanisci, costumi di Clelia De Angelis, luci di Eva Bruno, mentre la direzione dell’Ensemble del TLS era affidata al Maestro Carlo Palleschi) che ha davvero svolto un egregio lavoro con i giovani cantanti del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto (del direttore artistico Michelangelo Zurletti) che si sono alternati in tre cast tutti altamente professionali, sciolti, freschi nell’abbinare recitazione e canto con un’impostazione moderna e felice, mette al centro della narrazione, indicativa la prima scena che si va a sommare all’ultima diapositiva, l’uomo, Don José che un resoconto contemporaneo bollerebbe come violento e maschilista, narciso e infantile fino allo sfregio finale e fatale. Quindi è il brigadiere José che uccide e distrugge, spezza e rompe e corrompe tutto l’universo attorno a sé e che, in fin dei conti, non pagherà nemmeno socialmente (con la prigione) i suoi efferati delitti per la sua mania di possesso, invidia e gelosia meschina. Anzi, c’è molto di più: la colpa per la sua pazzia grava tutta sulle spalle della zingara che lo fa impazzire e in qualche modo lo giustifica, come Orlando che ha perso il senno, e compie i suoi disastri perché in preda ad un demone che gli ha instillato il suo veleno e dal quale lui, il nostro eroe senza possibilità di decidere perché colpito da una malia, non può difendersi come Ulisse di fronte al canto delle sirene, come Adamo che non può niente nei confronti di Eva se non accollarsi la colpa delle azioni della compagna.

 

ph Riccardo Spinella

 

Ne viene fuori un andamento che sgrava di ogni responsabilità José che non è in sé e che, evidentemente, non può attingere ai valori e alla fermezza del libero arbitrio ma è un naufrago in balia della tempesta (ormonale e interiore), una marionetta nelle mani dell’astuta e furba seduttrice che lo induce, lo istiga, lo provoca, lo attanaglia contro la sua volontà con la sua magia nera potente di strega, con un voodoo che non lascia scampo. E’ il concetto del daimon greco, ovvero quell’entità che “assegna il destino” e dal quale gli umani non possono sottrarsi proprio perché esseri minuscoli di fronte alle divinità malvagie. Viene subito alla mente Edipo che pur essendo stato allontanato dalla famiglia d’origine, così come aveva predetto l’oracolo, farà dei giri immensi per poi riunirsi alla profezia e avverarla con disonore.

In un Teatro Caio Melisso, sempre sold out nelle quattro repliche in tre giorni (dall’11 al 13 agosto), la verve e la linfa del regista livornese (che si divide con frutto tra prosa e opera) ha creato una struttura scenica dove i personaggi stanno in scena a vista per tutto lo spettacolo, ideando un semicerchio con tante “stanze” quanti i ruoli e lasciando libero di svariare, tra il boccascena e il centro, il nostro eroe nero e cupo. Stanze-loculi che diventeranno tombe e bare, sarcofagi di morte in questo girone infernale che si abbatte su questa piccola popolazione che cade sotto la mano aggressiva del soldato che a sua volta è sotto i fumi di questo amore malsano e patologico, deviato e acido. Di chi è la colpa, della donna che lo pungola nell’orgoglio o di chi compie la strage? Infatti dice: Chissà di quale demonio sto diventando preda. In un procedere circolare la prima e ultima scena ci mostrano un uomo distrutto che ha annientato tutto il suo mondo, che si porta addosso il fardello della colpa allontanandosi dal luogo dei massacri con la coscienza e le mani lorde di sangue. Un Macbeth ma senza ripensamenti, un Caravaggio senza pentimento, esule errante come San Francesco, per espiare la propria condizione di dannato in terra, un essere pasoliniano che ha cercato la sua punizione mettendo in atto strategie per punirsi, per annichilirsi.

Lo scontro non è tra l’uomo e la donna ma, a vederla con uno zoom più ampio, tra la razionalità e la passione, con Carmen che potrebbe non essere fuori di lui ma dentro le sue viscere, un’entità che lo sconquassa, lo travolge, lo annega, lo distrugge e che lo usa. Se Carmen è la parte istintiva e animale però non si può affermare che José sia quella lineare e logica. Come nelle ricostruzioni di un delitto, sembra che l’antieroe ci faccia luce sui fatti, ci apra il sipario sul commesso, sull’accaduto, cercando di non tralasciare alcun dettaglio della carneficina e dei futili motivi che stanno all’origine del massacro. Non è un sogno ma un incubo, come se ogni notte i fantasmi delle sue azioni criminali venissero a trovarlo in sogno non dandogli pace, anzi ossessionandolo, martellandolo quando calano le tenebre in loop senza posa, senza possibilità di salvezza, cappa e cappuccio a trascinarsi la vita, disfatto e svuotato e spento. Carmen (potente e soave) è il serpente tentatore che trova la strada spalancata nel petto di un peccatore che il testo assolve ed infatti canta: Se io t’amo attento a te che suona come una minaccia.

 

ph Ludovica Gelpi

 

Il semicerchio di camere aperte, dove noi come voyeur sbirciamo dentro, è tagliato da corde quasi a formare un ring per questo scontro che tutto piegherà e azzererà. E’ una valanga quella in cui si cade José che perde il lavoro, la libertà, la dignità, l’onore, una repentina discesa agli inferi dove non c’è fine al peggio. Ha un che del Woyzeck di Buchner dove a morire è sempre una donna, Marie, uccisa per gelosia. Ci fanno credere che Carmen-femme fatale sia un Lucignolo che porta sulla cattiva strada l’ingenuo Pinocchio-José: Perché il destino ha voluto metterla sul mio cammino?, si chiede spostando e allontanando il senso di colpa da sé. Josè non ha avuto scelta, era scritto nei suoi astri che così doveva andare e i morti lì distesi in scena, a mostrarsi in tutta la loro immobilità, stanno come monito e fantasmi ad aleggiare. Ne escono tutti sconfitti, tutti deceduti compreso l’unico che è rimasto tecnicamente in vita. E morirono tutti, infelici e scontenti.

Sul palcoscenico i cantanti vincitori dei Concorsi Comunità Europea per giovani cantanti lirici di Spoleto 2021 e 2022: Veronica Aracri, Antonia Salzano e Tamar Ugrekhelidze saranno Carmen; Maria Stella Maurizi e Alessia Merepeza Micaela; Oronzo D’Urso e Carlo Eugenio Raffaelli Don José e Alfonso Michele Ciulla e Alberto Petricca Escamillo. Con loro, rispettivamente nelle parti di Zuniga, Lillas Pastia e Garcia, gli attori Matteo Prosperi, Valentino Pagliei e Raffaele De Vincenzi. A settembre l’opera sarà rappresentata all’Auditorium San Domenico a Foligno il 21, al Teatro degli Illuminati a Città di Castello il 22, al Comunale di Todi il 23, al Teatro Sergio Secci di Terni il 24. Sempre a settembre prosegue la 76esima stagione Lirica Sperimentale con le produzioni del TLS: La Porta divisoria, libretto di Giorgio Strehler, dal 2 al 4 settembre, L’Ammalato immaginario, dal 9 all’11, Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori il 14, Don Giovanni dal 13 al 18.

 

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Sono laureato in Scienze Politiche alla Cesare Alfieri di Firenze, sono iscritto all'Ordine dei Giornalisti dal 2004 e critico teatrale. Ho scritto, tra gli altri, per i giornali cartacei Il Corriere di Firenze, per il Portale Giovani del Comune di Firenze, per la rivista della Biennale Teatro di Venezia, 2011, 2012, per “Il Fatto Quotidiano” e sul ilfattoquotidiano, per i mensili “Ambasciata Teatrale”, “Lungarno”, per il sito “Words in Freedom”; per “Florence is You”, per la rivista trimestrale “Hystrio”. Parallelamente per i siti internet: succoacido.it, scanner.it, corrierenazionale.it, rumorscena.com, Erodoto 108, recensito.net. Sono nella giuria del Premio Ubu, giurato del Premio Hystrio, membro dell'A.N.C.T., membro di Rete Critica, membro dell'Associazione Teatro Europeo, oltre che giurato per svariati premi e concorsi teatrali italiani e internazionali. Ho pubblicato, con la casa editrice Titivillus, il volume “Mare, Marmo, Memoria” sull'attrice Elisabetta Salvatori. Ho vinto i seguenti premi di critica teatrale: il “Gran Premio Internazionale di critica teatrale Carlos Porto '17”, Festival de Almada, Lisbona, il Premio “Istrice d'Argento '18”, Dramma Popolare San Miniato, il “Premio Città di Montalcino per la Critica d'Arte '19”, il Premio “Chilometri Critici '20”, Teatro delle Sfide di Bientina, il “Premio Carlo Terron '20”, all'interno del “Premio Sipario”, “Festival fare Critica”, Lamezia Terme, il “Premio Scena Critica '20” a cura del sito www.scenacritica.it, il “Premio giornalistico internazionale Campania Terra Felix '20”, sezione “Premio Web Stampa Specializzata”, di Pozzuoli, il Premio Speciale della Giuria al “Premio Casentino '21” sezione “Teatro/Cinema/Critica Cinematografica e Teatrale”, di Poppi, il “Premio Carlos Porto 2020 – Imprensa especializada” a Lisbona. Nel corso di questi anni sono stato invitato in prestigiosi festival internazionali come “Open Look”, San Pietroburgo; “Festival de Almada”, Lisbona; Festival “GIFT”, Tbilisi, Georgia; “Fiams”, Saguenay, Quebec, Canada; “Summerworks”, Toronto, Canada; Teatro Qendra, Pristhina, Kosovo; “International Meetings in Cluj”, Romania; “Mladi Levi”, Lubiana, Slovenia; “Fit Festival”, Lugano, Svizzera; “Mot Festival”, Skopje, Macedonia; “Pierrot Festival”, Stara Zagora, Bulgaria; “Fujairah International Arts festival”, Emirati Arabi Uniti, “Festival Black & White”, Imatra, Finlandia.