Narni Città Teatro: il teatro in tutti i luoghi possibili

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© Simone Di Luca

Il concetto di festa, con il suo caotico colorato rincorrere, è pienamente dentro le corde del Narni Città Teatro dove in tre giorni va in scena, dall’alba al tramonto, un frullatore di idee, un caleidoscopio scoppiettante, un tourbillon di eventi (oltre quaranta) che anche in una settimana sarebbe stata dura da gestire e smaltire.

Del piccolo comune umbro è stato usato ogni vicolo, anfratto, chiostro, palazzo, piazza diventando (dal 16 al 18 giugno) un Paese dei Balocchi per una fiumana di persone che, lasciata la macchina nei grandi parcheggi in basso, hanno preso l’ascensore per essere catapultati in questo mondo di performance, di momenti, di interventi, di interviste, musica, teatro, danza, concerti a ripetizione, in loop, a nastro continuo.

Facile perdersi.

Dall’uso delle cuffie ad un excursus sulla letteratura, da acrobati sul campanile ai tuffi in vasca, dal fuoco in piazza, dall’andare a cavallo agli oggetti minuscoli, dalle natiche di un cantante provocatore ai grandi bastoncini, dalla danza all’interno del museo, dal guardare le stelle sdraiati alla Rocca del Castello, dal fresco dell’alba con gli occhi ancora abbottonati e il sole che lentamente faceva capolino ai campi da padel in notturna. Tutto questo è stato il NCT sotto la direzione di Davide Sacco e Francesco Montanari (150.000 euro di budget) dove è stato possibile incontrare da Daniel Pennac a Emis Killa, da Sergio Cammariere a Luca Ward, da Nicola Lagioia fino a Claudio Longhi e Lino Guanciale. Ti puoi trovare in piazza tra un giocoliere, una degustazione di vini e formaggi e le moto luccicanti Triumph in esposizione mentre c’è un incontro sotto le logge e i bar cittadini straripano di clienti ad assaggiare il Sagrantino o il Ciliegiolo. Una sarabanda spumeggiante, un caravanserraglio pirotecnico, uno zibaldone frizzante. Con gli occhi pieni e le suole consumate, con le retine che hanno goduto, stanche ma soddisfatte.

 

 

E allora addentriamoci tra le pieghe di questo ricco e variopinto programma partendo da questa casetta in legno, in stile Trentino, dove un giovane attore chiuso dentro la sua baracca dove sono appesi cartelli come Attore in (s)vendita o Attenzione: il cassiere morde. La performance Playbox è interattiva e lo spettatore, rigorosamente uno alla volta, si siede sulle poltroncine in legno stile cinema e sceglie un monologo di qualche minuto da una lista che prevede Amleto, Caligola di Camus, La fontana malata di Palazzeschi, Giusto la fine del mondo di Lagarce, L’uomo del cerchio di Visniec o De Pretore Vincenzo di Eduardo. Jacopo Riccardi ha grinta e spavalderia giocosa quando esce dal suo guscio come tartaruga dal carapace, non è timido, s’insinua nelle pieghe del “cliente”, addenta, affossa, atterra con la spigliatezza e la sfrontatezza necessarie per carpire l’attenzione, è gigionescamente aggressivo nell’afferrare le possibilità dell’incontro che non lascia passivo lo spettatore ma lo coinvolge e, per pochi minuti, sono insieme sul carro del teatro, un tutt’uno dentro questa bolla creata attraverso la parola e il contatto degli occhi negli occhi, una linea, un fuoco tra due sconosciuti che magicamente diventano sodali, intimi, complici.

 

 

Dalla staticità dell’attore dentro la sua “gabbia” lignea in attesa di un qualcuno che lo accenda, al massimo della dinamicità distribuita nei quattro elementi della Natura. F.A.T.A., bellissimo acronimo che sta per Fuoco Aria Terra Acqua della compagnia Resextensa che ci mostra i trampolieri, le evoluzioni a terra, una sirena flessuosa sinuosa e flessibile dentro una vasca, torce infuocate manovrate con maestria e due acrobate appese in coreografie sul campanile da ammirare a naso all’insù, nella meraviglia che colpisce ogni età, ammalia e affascina facendoci tornare tutti bambini con la bocca aperta e un po’ di paura dell’altezza, della vertigine, di queste danze a decine di metri come Spiderman a saltare da una parte all’altra del grande orologio sfidando le leggi della fisica.

 

 

Sempre in piazza siamo stati testimoni di questa grande costruzione che gli Stalker Teatro hanno realizzato insieme al pubblico. Nel loro Steli grandi bastoni colorati legati insieme come fossero asterischi dei fumetti di Woodstock, l’amico giallo pennuto di Snoopy, a formare triangoli e quasi tende indiane, un grande Lego, un gigantesco Shanghai creando un biscione, un millepiedi articolato e ispido, un Dna o tanti atomi esplosi uno a fianco all’altro, galassie espanse con questi legni alti tre metri, gialli, arancioni, rossi, viola, blu, verdi. Un lavoro evocativo e immaginifico dove scorgervi un labirinto intricato di rovi e canne di bambù, una foresta dantesca inaccessibile di rami appuntiti, una giungla psichedelica o ancora le palafitte da dove i pescatori asiatici Stilt lanciano i loro arpioni nelle acque basse dell’Oceano Indiano in Sri Lanka.

 

 

Dopo tanta piazza e spettacoli all’aperto ci spostiamo all’interno dove in un ambiente rarefatto da Uomo sulla Luna e carbonari attorno ad un tavolo e lampadina si sviluppa il teatro minimo e minimalista d’oggetti della Compagnia ceca TMEL con il loro O as a little Otik con tre manovratori e movimentatori che, in questo minuscolo palco, spostano, architettano, aggiustano, appoggiano creando nuovi mondi utilizzando scarti, rifiuti obsolescenti. Schede madre di pc (ricordano vagamente l’artigianalità del Gadget dello Spettatore, l’ambito premio che consegna Stefano Romagnoli) che, messe l’una a fianco all’altra sembrano proprio essere città futuriste, o di archeologia industriale, viste dall’alto da droni, circuiti di mille valvole di pellicole di fantascienza alla Blade Runner o Metropolis di Fritz Lang, megalopoli fumettistiche alla Mad Max o che ricordano le opere impossibili dell’artista fiorentino Giacomo Costa, agglomerati da post atomica grigi di acciaio e verticalità apocalittica. Sobborghi, quartieri, rioni, periferie, hinterland illuminate da piccole luci, zone di questo abitato in continuo accrescimento e ampliamento a mangiarsi la campagna mentre in alto vola minaccioso un gigantesco pterodattilo di ferro pronto con il suo stridulo urlo di battaglia ad attaccare. Per la manualità e la poeticità ci hanno ricordato le nostrane Unterwasser. Un gioco infantile per adulti di pile e calamite (come giocare a soldatini o a Subbuteo) però acre e amaro quando il pongo marrone, dopo un alluvione in stile Vajont, ingoia e fagocita tutti gli oggetti (l’attenzione al climate change), formando un nuovo pianeta, sulle ceneri del vecchio, vergine e fangoso a ruotare dentro il Sistema Solare senza più alcuna presenza, né manufatto, umano. Una liberazione, un nuovo respiro, per il Pianeta la scomparsa della nostra specie distruttrice.

 

 

Dalla piazza al teatro per andare nel bosco ad incontrare i cavalli e, grazie a questi bellissimi animali (parola che ha la stessa radice di anima), trovare un po’ di noi stessi, ascoltarsi nel silenzio, sentire i respiri, guardare il mondo da una nuova prospettiva. Si chiama Entrare nel silenzio la performance a cavallo curata da Amedeo Carlo Capitanelli, attore e cavallerizzo, innamorato del palco e di galoppo. Ci fa scegliere dei libri e ogni volta che ne tocca uno prende stralci, frasi, righe, ci fa entrare dentro quelle pagine che parlano, direttamente o intrinsecamente, di zoccoli e criniere, di trotto o nitriti: peschiamo Bartabas, Amleto e Parliamo con il cavallo. Attraverso le parole soffici e intime del narratore entriamo dentro questo atto magico per relazionarci a questi grandi animali che negli ultimi anni, dopo che servono sempre meno nei lavori agricoli e nel trasporto soprattutto nel primo mondo civilizzato e industrializzato, sono diventati figure di riferimento per la terapia, diventando attivatori di emozioni profonde. Il cavallo è l’archetipo del passaggio, del trasportatore, è la nostra parte emotiva, il cavallo comunica telepaticamente con gli altri suoi simili ma anche con gli altri animali e con il mondo circostante, sta a noi trovare la chiave di lettura per entrare in contatto con questo affascinante universo di un animale che vive nel presente, che è in ascolto, aperto ai rumori, all’olfatto ma che cerca unione e simbiosi, vicinanza, tatto, contatto. Tutto quello che abbiamo perduto nel nostro individualismo che ci ha fatto credere di poterci bastare da soli.

 

© Simone Di Luca

 

Piazza, teatro, bosco per finire in un campo da tennis, anzi in quella che negli ultimi anni è diventata l’ultima moda/mania del padel arrivato dalla Spagna con furore a soppiantare lo squash. Se Federer si è da poco ritirato, Nadal non se la passa tanto bene. Curiosa è questa figura che rimbalza la pallina con forza e decisione, o con tocchi soft e spizzate contro Il muro trasparente (prod. Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e Teatro Stabile di Verona) che ci divide da lui e dove questo atleta narratore, tennista affabulatore (una messinscena impegnativa fisicamente) colpisce incessantemente la palla gialla che pare arrivarti in faccia. Abbiamo le cuffie e sentiamo le parole dalla voce profonda e calda di Paolo Valerio con fascia tra i capelli come Borg, i capelli lunghi sulle spalle di Panatta, la ferocia di McEnroe, lo sguardo dritto di Nastase, le spalle larghe di Connors. Il campo verde è illuminato nel suo perimetro, Valerio racconta di questo amore prima conquistato e poi finito male mentre le sue bordate rimbombano con echi che sembrano ricordare Open di Andrè Agassi soprattutto per quanto riguarda il disamore verso questo sport solitario, mentale e sfiancante, strategico e intellettuale, psicologico e individualista come gli scacchi. Nemmeno un affanno, dietro di lui filmati in bianco e nero mentre è impegnato in rovesci e lob, in smash e palle liftate, una grande voce baritonale che ti entra sotto pelle scandita dai rimbalzi, dai colpi, dalle pallate. Ad una parte riflessiva e sentimentale (testo che ha in sé qualcosa di Pinter come di Strindberg, di Ibsen, Bergman e Hitchcock) con musiche di contorno romantiche fanno da contraltare i momenti rock dove cambia ritmo, si alzano i battiti, corre e picchia duro da fondo campo. Un testo esaltato da quest’intuizione azzeccata, questo muro di gomma che tutto rimanda indietro che diventa metafora del mondo che ci circonda che risponde agli stimoli e agli input che noi immettiamo nell’agorà competitiva quotidiana. I continui rimbalzi cadenzati (saranno quasi un migliaio alla fine della contesa del tennista nel match con/contro se stesso) della palla contro i nostri occhi, dei topspin come delle volée, è ipnotico e taumaturgico, è un mantra che non smette, è un loop che ti tiene incollato e non cessa di intensità, la sua è una danza coreografica cercando il proprio punto debole proprio perché il vero avversario sei tu. Il mio problema è che in ogni match io gioco contro cinque avversari: il giudice, il pubblico, i raccattapalle, il campo e me stesso. (Goran Ivanisevic)

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Sono laureato in Scienze Politiche alla Cesare Alfieri di Firenze, sono iscritto all'Ordine dei Giornalisti dal 2004 e critico teatrale. Ho scritto, tra gli altri, per i giornali cartacei Il Corriere di Firenze, per il Portale Giovani del Comune di Firenze, per la rivista della Biennale Teatro di Venezia, 2011, 2012, per “Il Fatto Quotidiano” e sul ilfattoquotidiano, per i mensili “Ambasciata Teatrale”, “Lungarno”, per il sito “Words in Freedom”; per “Florence is You”, per la rivista trimestrale “Hystrio”. Parallelamente per i siti internet: succoacido.it, scanner.it, corrierenazionale.it, rumorscena.com, Erodoto 108, recensito.net. Sono nella giuria del Premio Ubu, giurato del Premio Hystrio, membro dell'A.N.C.T., membro di Rete Critica, membro dell'Associazione Teatro Europeo, oltre che giurato per svariati premi e concorsi teatrali italiani e internazionali. Ho pubblicato, con la casa editrice Titivillus, il volume “Mare, Marmo, Memoria” sull'attrice Elisabetta Salvatori. Ho vinto i seguenti premi di critica teatrale: il “Gran Premio Internazionale di critica teatrale Carlos Porto '17”, Festival de Almada, Lisbona, il Premio “Istrice d'Argento '18”, Dramma Popolare San Miniato, il “Premio Città di Montalcino per la Critica d'Arte '19”, il Premio “Chilometri Critici '20”, Teatro delle Sfide di Bientina, il “Premio Carlo Terron '20”, all'interno del “Premio Sipario”, “Festival fare Critica”, Lamezia Terme, il “Premio Scena Critica '20” a cura del sito www.scenacritica.it, il “Premio giornalistico internazionale Campania Terra Felix '20”, sezione “Premio Web Stampa Specializzata”, di Pozzuoli, il Premio Speciale della Giuria al “Premio Casentino '21” sezione “Teatro/Cinema/Critica Cinematografica e Teatrale”, di Poppi, il “Premio Carlos Porto 2020 – Imprensa especializada” a Lisbona. Nel corso di questi anni sono stato invitato in prestigiosi festival internazionali come “Open Look”, San Pietroburgo; “Festival de Almada”, Lisbona; Festival “GIFT”, Tbilisi, Georgia; “Fiams”, Saguenay, Quebec, Canada; “Summerworks”, Toronto, Canada; Teatro Qendra, Pristhina, Kosovo; “International Meetings in Cluj”, Romania; “Mladi Levi”, Lubiana, Slovenia; “Fit Festival”, Lugano, Svizzera; “Mot Festival”, Skopje, Macedonia; “Pierrot Festival”, Stara Zagora, Bulgaria; “Fujairah International Arts festival”, Emirati Arabi Uniti, “Festival Black & White”, Imatra, Finlandia.