Alberto Severi in Chiantishire incontra Clooney, Marilyn e Sting, alla ricerca di se stesso

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Un uomo da sempre troppo severo con sé stesso, sempre troppo poco consapevole dei livelli raggiunti, un uomo dentro il quale alberga l’insoddisfazione atavica come l’ambizione ma anche quel tarlo che morde, che mangia dall’interno di sentirsi sempre un underdog, una sorta di impostore: non ci ha mai creduto fino in fondo.

Il primo ad essersi sottovalutato è stato proprio lui e gli allori, la professione in vista, l’eloquio, la sagacia dialettica, lo stile della penna, e, non in seconda battuta, l’attorialità e l’essere drammaturgo e scrittore, tutto questo bagaglio non lo hanno scostato di un millimetro dal sentirsi un perdente, un Paperino, un Calimero che lotta contro i mulini a vento della vita.

Alberto Severi è un uomo di grandissime qualità che sa nuotare benissimo negli oceani ma che a volte si perde in piccoli bicchieri d’acqua.

Anche questo suo nuovo Chiantishire è una seduta psicoanalitica, è un raccontare sogni e incubi e paure in forma di incontri impossibili, forse plausibili, sicuramente verosimili, pretesti per affondare dentro le viscere della sua psiche, per far affiorare traumi irrisolti, per far venire a galla nevrosi, tic esistenziali, dinamiche consuetudinarie e consolatorie, coazioni a ripetere, fantasmi apparsi, epifanie turbolente.

L’ego è in primo piano ma qui non c’è arroganza né tracotanza anzi c’è tenerezza, amorevolezza, giustificatoria da una parte, verso se stesso, mentre dall’altra vige il rigore più netto senza possibilità di alcun perdono.

 

 

Questo suo nuovo testo (messo in scena al Teatro delle Spiagge di Firenze all’interno del Periferico Festival dal 14 giugno al 21 settembre ad ingresso gratuito tra cortili e portici, per la regia di Nicola Zavagli) è una carezza verso l’età che avanza cercando di lasciare da parte il vittimismo e guardare con propulsione e ottimismo, anche se sempre malinconico e tragicomico, il domani.

Tra autobiografia e finzione sullo sfondo si muove questo territorio mitologico che dal Chianti si è trasformato ed è diventato Chiantishire, il bucolico dell’olio, della terra e del vino che ha attirato artisti e ricchi possidenti anglosassoni o a stelle e strisce tra vendemmie e Io ballo da sola, una ricchezza depurata dalla fatica della schiena, tra cantine e filari di viti, paesi sempre più da cartolina in un’altalena tra il rustico e ruvido contadino e i gradi di nobiltà.

Ed ecco che Severi, come in una rappresentazione di sé (come Dante Alighieri raccontava di essere stato testimone e protagonista della sua discesa agli Inferi e salita in Paradiso), racconta di un se stesso che, peregrinando ed errando (in entrambe le accezioni di girovagare e sbagliare), si trova faccia a faccia con personaggi illustri (sono il suo specchio e doppio) che gli apriranno le porte della percezione, gli faranno capire sui intimi aspetti interiori, lo faranno riflettere, lo porteranno in terreni insondabili, tutti da scoprire, dissotterrare, dissodare, approfondire, scandagliare.

Non a caso indossa un impermeabile, di quelli classici e stereotipati, da cliché dell’esibizionista: Severi si sta aprendo, si sta mettendo a nudo, sta spalancando i cassetti della sua memoria, del suo vissuto.

La natura nelle sue parole è quella dell’autunno, le foglie secche, il freddo, la pioggia, come se questa stagione fuori da lui fosse anche quella dentro di lui, che da poco ha superato i sessanta anni e si sente addosso la malinconia e il tormento dell’invecchiamento, del decadimento.

Ogni incontro gli lascia una patina di amaro dolciastro quasi psichedelico, una lingua allappata che non scorre, una domanda nuova ma anche una consapevolezza acida sul concetto di fallimento, di essere incompreso, di comfort zone.

George Clooney lo fa vacillare sul terreno dell’ambizione, sulle montagne russe della caduta nel fango o dell’innalzarsi fino ad arrivare in cima nel proprio settore, discorrendo sul concetto di accontentarsi, quel cadere in piedi, quel salvarsi e giustificarsi, quel lamentarsi per poi non cambiare le cose, il piagnucolare senza alcuna rivoluzione tangibile nelle nostre esistenze impaurite dai cambiamenti.

 

 

Questi tre racconti da Mille e una notte, novelle che sembrano uscite dal Decamerone e favole per adulti, hanno le radici nella sua Toscana, quella di zolle e granitica, quella ruspante che sa anche far male con una battuta crudele, quella schietta e dai cuori aperti e generosi, quella dei sapori decisi.

La Toscana della ciccia, della carne come pietanza ma anche come godersi la vita: Montalcino e poi Panzano e infine Figline Valdarno, un giro fuori e dentro di sé, su e giù dal palco come cantava roco Ligabue.

Incontri al limite del possibile che mantengono tutto l’alone di mistero sull’effettiva verità.

E’ il teatro, bellezza.

Severi in scena ricorda molto Alessandro Benvenuti ed è carismatico, a tratti velato dolente, nelle pieghe di una battuta, tra le righe di una perifrasi leggera, oratore che ci conduce dentro questo suo viaggio da Diogene con la candela negli anfratti bui del suo profondo io.

Dopo l’incontro con Clooney ecco quello con un’anziana americana che potrebbe essere, vista l’età, proprio Marilyn Monroe che, come molte tesi complottiste indicano, non essere morta quel giorno e in quell’appartamento, fino ad arrivare a casa di Sting in una cena ambigua tra ammiccamenti, canzoni e doppi sensi.

Amo ciò che distruggo e distruggo ciò che amo, versi tratti da Moon over Bourbon Street, sembrano essere l’epitaffio più accorato e azzeccato, una riga che Severi usa per raccontare se stesso.

Una richiesta d’attenzione o meglio di un abbraccio contro la solitudine, di calore contro l’indifferenza.

Chiantishire è avere il coraggio di affrontarsi senza timore di uscirne sconfitto, senza paracaduti e reti di protezione: tutti noi siamo perduti ma Severi non ha paura di (ri)trovarsi.

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Sono laureato in Scienze Politiche alla Cesare Alfieri di Firenze, sono iscritto all'Ordine dei Giornalisti dal 2004 e critico teatrale. Ho scritto, tra gli altri, per i giornali cartacei Il Corriere di Firenze, per il Portale Giovani del Comune di Firenze, per la rivista della Biennale Teatro di Venezia, 2011, 2012, per “Il Fatto Quotidiano” e sul ilfattoquotidiano, per i mensili “Ambasciata Teatrale”, “Lungarno”, per il sito “Words in Freedom”; per “Florence is You”, per la rivista trimestrale “Hystrio”. Parallelamente per i siti internet: succoacido.it, scanner.it, corrierenazionale.it, rumorscena.com, Erodoto 108, recensito.net. Sono nella giuria del Premio Ubu, giurato del Premio Hystrio, membro dell'A.N.C.T., membro di Rete Critica, membro dell'Associazione Teatro Europeo, oltre che giurato per svariati premi e concorsi teatrali italiani e internazionali. Ho pubblicato, con la casa editrice Titivillus, il volume “Mare, Marmo, Memoria” sull'attrice Elisabetta Salvatori. Ho vinto i seguenti premi di critica teatrale: il “Gran Premio Internazionale di critica teatrale Carlos Porto '17”, Festival de Almada, Lisbona, il Premio “Istrice d'Argento '18”, Dramma Popolare San Miniato, il “Premio Città di Montalcino per la Critica d'Arte '19”, il Premio “Chilometri Critici '20”, Teatro delle Sfide di Bientina, il “Premio Carlo Terron '20”, all'interno del “Premio Sipario”, “Festival fare Critica”, Lamezia Terme, il “Premio Scena Critica '20” a cura del sito www.scenacritica.it, il “Premio giornalistico internazionale Campania Terra Felix '20”, sezione “Premio Web Stampa Specializzata”, di Pozzuoli, il Premio Speciale della Giuria al “Premio Casentino '21” sezione “Teatro/Cinema/Critica Cinematografica e Teatrale”, di Poppi, il “Premio Carlos Porto 2020 – Imprensa especializada” a Lisbona. Nel corso di questi anni sono stato invitato in prestigiosi festival internazionali come “Open Look”, San Pietroburgo; “Festival de Almada”, Lisbona; Festival “GIFT”, Tbilisi, Georgia; “Fiams”, Saguenay, Quebec, Canada; “Summerworks”, Toronto, Canada; Teatro Qendra, Pristhina, Kosovo; “International Meetings in Cluj”, Romania; “Mladi Levi”, Lubiana, Slovenia; “Fit Festival”, Lugano, Svizzera; “Mot Festival”, Skopje, Macedonia; “Pierrot Festival”, Stara Zagora, Bulgaria; “Fujairah International Arts festival”, Emirati Arabi Uniti, “Festival Black & White”, Imatra, Finlandia.