Messaggi dal Santarcangelo Festival #1 – BOW A STUDY

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ph Pietro Bertora

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Del Santarcangelo Festival 2023 enough not enough, non ho visto abbastanza. Ma quello che ho visto mi sembra abbastanza per imbastire qualche riflessione.

Il contrasto tra bastare e non bastare, abbastanza e non abbastanza, enough not enough, permea il festival sin dal titolo. E il bello di questa parola “basta” è che sancisce la fine di qualcosa ma allo stesso tempo lancia una proposta, segnando il limite tra opportunità e sopportazione.

Molti degli spettacoli di quest’anno, come dell’edizione precedente, hanno una forte tematica politica, sociale, civile e gridano (anche letteralmente, come nella performance di Jana Shostak) un “basta!” e un “non basta!” che sfidano il pubblico a non farsi bastare lo spettacolo, ma iniziare da lì un percorso di consapevolezza e riflessione.

Tre gli spettacoli che ho visto: BOW A STUDY, Whitewashing e Lourdes.

I primi due hanno una voce forte, con il chiaro intento di dare un messaggio preciso. Il terzo invece sembra l’opposto.

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ph Pietro Bertora

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In BOW A STUDY il coreografo Wojciech Grudziński, autore dello spettacolo, si propone di studiare le dimensioni coreografiche e sociali del gesto dell’inchino, che mette al centro il rapporto tra artista e spettatore.

Dunque non stupisce che lo spettacolo inizi con la distribuzione di un foglio che invita lo spettatore a prendere posto al centro dello spazio scenico, assieme agli attori.

Lo spazio in questione, delimitato da tre settori di sedute, ha una forma tra il triangolo e il cerchio, nella quale la visione non è frontale ma a tutto tondo, multidirezionale. Una voce ripete l’invito a non mettersi comodi, nelle sedute, ma al centro del triangolo.
Qui ci sono i quattro attori, a terra, in posizione recumbente, che scambiano sguardi con la folla.

I loro abiti in latex e la sensualità di sguardi e pose richiamano l’intimità di un cabaret. Anche la voce di Katarzyna Szugajew ha un tono sensuale. È lei a tenere le fila dello show, facendo le veci del maestro di cerimonie, l’emcee, la mistress.

È lei a dare ordine con i suoi ordini.

Presenta Billy Morgan, sua assistente, ballerina star dello show, e i due “assistenti dell’assistente”, uno specializzato nell’inchino, l’altro nella riverenza. Fa eseguire loro passi di danza, li rimprovera, li fa ricominciare.

Ma, prima ancora, dà ordini anche al pubblico: invita ciascuno a prendere posto in un diverso settore.

Quelli con il fondoschiena a forma di cuore da una parte, quelli che indossano diamanti da un’altra e infine, nel terzo settore, dove per esclusione mi trovo anch’io, quelli con un tragico passato.

Abbandonato il centro dello spazio scenico seguiamo, dal perimetro, lo spettacolo dei movimenti ripetuti, provati, falliti, impediti dai vestiti attillati, coordinati dalla mistress.

Intanto sentiamo narrare la storia di una donna a cui è dedicato lo spettacolo. Una ballerina, coinvolta in un tragico incidente con una sciarpa, che immagino (ma non viene esplicitato) sia Isadora Duncan.

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ph Pietro Bertora

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Ma qual è il messaggio preciso, forte e chiaro dello show?

Arriva dopo la metà, quando lo spazio scenico cambia e modifica per la terza volta la visione del pubblico.

Si chiede agli spettatori stessi un aiuto per spostare i tre settori di sedute (dotati di ruote), che si ridispongono in modo da formare una fila unica, una linea retta. Lo spazio diventa quello più classico, tradizionale, che mette attori e pubblico uno di fronte all’altro, in modo unidirezionale.

Non solo, ma compare anche un sipario: è il vestito di uno degli assistenti, Wojciech stesso, che si srotola, si estende, viene issato in verticale e diventa una vera e propria parete-tenda, da cui sbuca la testa di chi lo indossa.

All’improvviso, dunque, non possiamo più guardare tutto, da ogni angolazione. C’è qualcosa che non vediamo, uno spazio celato dietro la tenda-vestito.

Ma, grazie alla proiezione, sulla parete di stoffa, di un video in diretta, realizzato dagli attori con un cellulare, anche quello spazio nascosto ci viene mostrato.

E cosa c’è dietro?
Un fondoschiena in mutande, che viene accarezzato, percosso, quasi sodomizzato dalla maestra di cerimonia, che ci scrive sopra “ballet trauma”.

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ph Pietro Bertora

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L’intento sembra quello di mostrare il dietro le quinte di una performance, la sottomissione a cui sono costretti gli artisti.

Dopodiché il telo cade ma lo spettacolo non è finito.
C’è l’inchino di Wojciech, accovacciato, faccia a terra e sedere rivolto al pubblico. Un inchino faticoso, umiliante, ripetuto fino allo sfinimento, per minuti interminabili e con ferocia ed energia. Mentre la musica martella, sempre più forte e alcune frasi vengono proiettate, lette, ripetute tante e tante volte.

“Posso essere tutto quello che voglio essere ma tutto quello che voglio è inchinarmi…”

“Quando mi avete insegnato a inchinarmi vi ho creduto. Ho creduto che mi steste dando la felicità ma voi sapevate benissimo che mi stavate uccidendo”.

“Ogni inchino è un enorme suicidio incompiuto. Quando mi inchino compio un assassinio verso me stessa”.

All’inchino faccia a terra di Wojciech si aggiunge quello dell’altra assistente, Olga Tamara Briks, che ricorda più un headbanging (i violenti scuotimenti della testa associati alla musica metal).

Gradualmente, continuando a inchinarsi ferocemente, Wojciech si volta verso il pubblico, poi si alza e fa entrare, da una porta, una fitta nebbia. I due assistenti continuano a oltranza i loro inchini sfidando la capacità di sopportazione del corpo umano. Fa male solo a vederli.

Con i loro corpi, che sembrano farsi del male, ripetono forte e chiaro il messaggio: l’inchino è un assassinio.

E questo è quello che intendevo quando parlavo di un intento forte, preciso, chiaro. La denuncia dell’inchino, dell’inganno performativo, della schiavitù del palco.

Uno dei tanti messaggi che sono stati gridati all’interno del Festival. Unico, originale, anche per modalità espressive. Forse non esaustivo di tutti i significati e le dimensioni del gesto dell’inchino, ma sicuramente frutto di uno studio approfondito del rapporto artista-spettatore.

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