Precise parole e grande teatro. Su Sentieri di Serena Gatti

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Azul Teatro, Sentieri #10 - ph Claudio Luchetti

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Di acqua e di respiro
di passi sparsi
di bocconi di vento
di lentezza
di incerto movimento
di precise parole si vive
di grande teatro
di oscure canzoni
di pronte guittezze si va avanti
di come fare
di come dire
di come fare a capire

 

Certe recensioni sono più difficili di altre.

Se si intende, sia chiaro, la recensione come la costruzione di un piccolo atto di pensiero, di un minuscolo discorso a partire dal discorso di un autore.

Di un’autrice, in questo caso.

E questo è, appunto, uno di quei casi in cui scrivere è difficile.

Non perché non ci sia nulla da dire: tutt’altro.

Perché il progetto Sentieri di Azul Teatro, e il libro di Rogas Edizioni che lo racconta, appaiono così compiuti, così tondi, che ogni aggiunta pare ridondante, retorica. Superflua.

Ci vorrebbero gli strumenti della poesia, forse.

Basterebbe, forse, il brano qui riportato in corsivo: pare perfetto, a suggerire ciò che Sentieri da dieci anni insegue. E crea. E mette in movimento. E interroga.

Basterebbe, forse, un po’ di silenzio partecipe, un po’ di acuta attenzione.

E mettersi in cammino: pre-condizione affinché quest’opera possa accadere.

di alti
di bassi
battiti del cuore
fasi della luna
e ritmi della terra
di intelligenza
di intermittenza

si vive di danze
di ballo sociale
di una promessa
di una faccia differente
di mediocri incontri
di bellezze
di profumi ardenti
di accidenti

 

 

Azul Teatro, Sentieri #10 – ph Claudio Luchetti

 

Serena Gatti ha molti talenti (regista, performer, poetessa, studiosa) che porge con delicata gentilezza, quasi con pudore: le medesime qualità che incontra chi si incammina con lei, con il sodale Raffaele Natale e con il manipolo di donne e uomini che, in grazia di officianti, si fanno luogo, direbbe Michel De Certeau, restituendo al teatro il senso originario, finanche etimologico, di occasione larga di sguardo e di visione.

È scultorea, tesa michelangeloscamente a liberare la forma pre-esistente nella materia, l’attitudine con cui questa artista ha composto queste pagine e le ammalianti performance a cui si riferiscono: vi sono lieto rigore e visionaria pervicacia a informare ogni riga e ogni passo, ogni azione e ogni pensiero.

Vi è, al contempo, la disponibilità a lasciarsi perdere, come insegnava Walter Benjamin, ad affidarsi a forze altre e alte.

Vien da pensare alla riflessione di Gilles Deleuze intitolata I mediatori e pubblicata nel 1985.

Nel suo saggio, il filosofo si occupa del movimento nelle discipline sportive. Tradizionalmente, la nostra concezione del movimento pone all’origine l’individuo, in quanto sorgente. Si pensi alla corsa, al lancio del giavellotto o al lancio del peso: l’individuo è sempre il punto di partenza, la sorgente dell’energia, e crea da solo la potenza e lo slancio.

Ma poi Deleuze sottolinea la popolarità crescente di discipline come il surf, il windsurf o il deltaplano, che fanno pensare al movimento in maniera diversa. Questi sport sono caratterizzati dall’inserirsi dell’individuo all’interno di un’onda preesistente. L’individuo, dunque, non è più l’unica sorgente del movimento. Per di più, viene a mancare un punto d’origine in grado di fungere da scaturigine del movimento. Di fatto, ciò che avviene in queste discipline è una sorta di messa in orbita.

Di accordarsi a una forza altra e alta.

Secondo tale concezione, il movimento chiave è costituito dall’immissione all’interno di una grande onda, di una colonna di aria ascendente, che unisce l’individuo a qualcosa di più grande e più potente. Deleuze chiama queste grandi onde “mediatori”.

Ecco dunque che si invera, nella pratica scultorea di Sentieri, la possibilità (fuori dal tempo e, vivaddio, dalle mode pop del momento) di un artista che. Come nell’antichità, si fa sonda, antenna e ricettacolo di forze, officiante di un rito laico e umanissimo.

O meglio, animale.

 

rotolando si gira, si balla
si vive, si fa festa
quella, questa
si picchia forte col piede
nella danza
e si sbaglia il passo
si vive di fortune raccontate
e di viaggiare
e si cammina stanchi
è di lavoro
è opposizione
è corruzione

 

Quanto detto finora non faccia pensare a un’attitudine fricchettona, un po’ hippy e un po’ New Age, di esprimersi (verbo scivolosissimo) in spazi semiabbandonati, naturali e non: vi è un piano preciso, ancorché permeabile a ciò che accade, che sottende la costruzione di queste performance.

Una struttura che, un po’ come l’icosaedro di Rudolf von Laban a Monte Verità un po’ più di un secolo fa, dà la possibilità di esplorare e sviluppare il rapporto tra gesto artistico e spazio attraverso parametri non casuali.

 

Azul Teatro, Sentieri #10 – ph Claudio Luchetti

 

si vive di lenta costruzione
e di tempo che ci inchioda
e di diavoli al culo
di fianchi smorti
di fuochi desiderati
si vive di pane
di speranza di bere
un vino buono per l’estate

rotolando si vive
di discorsi leggeri
cori
di maschere notturne
canto e discanto

 

Il libro di Serena Gatti rilancia, con millimetrica esattezza (e con tanto di disegni esplicativi), quali principi regolino l’ideazione e la composizione degli attraversamenti artistici in luoghi da riscoprire che sono ciò che materialmente costituisce la parte pubblica del progetto.

Vi sono certo altre componenti altrettanto essenziali (che il libro racconta e che la persona in cammino con l’ensemble può certo percepire): l’allenamento all’attenzione sottile degli attuanti (per usare un termine caro a Jerzy Grotowski, forse non improprio per questo accadimento che più che a uno spettacolo come comunemente lo si intende è vicino a un rito panico misterioso e al contempo eloquentissimo), l’accuratissima scelta dei luoghi e dei percorsi, la risoluzione dei mille imprevisti logistici e delle altrettante complessità burocratiche che la possibilità di attraversare luoghi solitamente inaccessibili comporta.

Questo teatro-in-forma-di-libro, inoltre, testimonia con precise parole e immagini suggestive i primi sette Sentieri (sono undici, quelli ad oggi realizzati, a cadenza pressoché annuale, noi abbiamo avuto la fortuna di partecipare al #9 e al #10, rispettivamente a Rovigo, in occasione del Festival Opera Prima, e dentro e fuori la Ex Villa Presidenziale del Gombo fino al mare nel Parco di San Rossore, Pisa), raccoglie alcune partecipi testimonianze e riflessioni, riporta testi poetici e dà la possibilità di fruire tracce sonore e video.

 

Azul Teatro, Sentieri #10 – ph Carla Pampaluna

 

e giù divieti
e oli sulla pelle
e sorrisi di fantasmi
e fantasmi fotografati
e giù campane annuncianti
si vive di sguardi fermi
di risposte folgoranti
di lettere partite
che aspettiamo in cima al mistero
di essere così soli.

 

Sono accadimenti auto-significanti, quelli che compongono Sentieri, da ricevere come puri segni, senza cercare di scovar metafore, simboli, né tanto meno storie o messaggi.

Una corsa è una corsa.

Una stoffa rossa è una stoffa rossa.

Una mano che spunta tra i rami è una mano che spunta tra i rami.

«Una cosa è contenta d’essere guardata dalle altre cose solo quando è convinta di significare sé stessa e nient’altro, in mezzo alle cose che significano sé stesse e nient’altro», scriveva l’amato Italo Calvino in una delle meditazioni di Palomar.

E noi siamo stati e saremo contenti di camminare con questo teatro, grande come il Grande Teatro del Mondo perché del mondo sa, con scienza e stupore, nutrirsi.

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Di questo si vive
e di tant’altro ancora
che inseguiamo come i cani
respirando dal naso
per finire invece
ancora sorridenti, ancora abbaianti
di un dolore a caso.

 

[ le parti in corsivo sono il testo del brano Discanto di Ivano Fossati, dall’omonimo album del 1990 ]

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