Nelle ombre del reale. L’amica geniale a fumetti

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Mara Cerri e Chiara Lagani

Una tetralogia tanto amata dal grande pubblico quanto guardata con sospetto dal «piccolo mondo antico» degli artisti-intellettuali, L’amica geniale di Elena Ferrante trova nuovo respiro nel linguaggio del fumetto grazie all’amore e alla cura dell’attrice e drammaturga Chiara Lagani e dell’illustratrice Mara Cerri.

Edito da Coconino, il primo volume della graphic novel è ad oggi tradotto e distribuito in 10 paesi, e ha raggiunto da poco anche gli Stati Uniti. La storia di Lila e Lenù, il rapporto tra le due e la Napoli anni ’50-’60 prendono vita nei colori e nel disegno di Mara Cerri, mai didascalico ma sempre evocativo delle ombre del reale; e dall’adattamento del testo di Chiara Lagani, già a confronto con L’amica geniale nei tre episodi teatrali Storia di un’amicizia.

Come e quando è nata la vostra collaborazione?

Mara Cerri: «Ci siamo conosciute al Teatro Rasi di Ravenna, io ero lì su invito dell’Associazione Mirada, ovvero Gianluca Costantini e Elettra Stamboulis. Conoscevo già il lavoro di Fanny & Alexander, ma è in quell’occasione che conobbi personalmente Chiara. Mi disse che aveva apprezzato una mia locandina e che le ricordava molto i personaggi dei libri di Oz, su cui già aveva iniziato a lavorare. Ci salutammo dicendoci che forse un giorno avremmo potuto fare qualcosa insieme. Anni dopo Chiara mi chiese di incontrarci perché aveva un accordo per un libro con Einaudi: stava traducendo tutti i quattordici libri di L. Frank Baum e desiderava che io fossi l’illustratrice del progetto. Io mi trovano in una fase di revisione rispetto al mio disegno e credendo mi si chiedesse un’illustrazione tradizionale e fedele, quasi rifiutai. Chiara invece ebbe la capacità di far capire tanto a me quanto all’editore, che quello che stava cercando non era una rappresentazione didascalica e aderente all’immaginario comune di Oz, ma voleva dei disegni dell’anima. Quando ho iniziato a lavorare alle tavole mi sono quindi sentita subito a mio agio, perché era proprio quella la ricerca che intendevo perseguire. Da questo primo lavoro insieme è cominciato tutto»

Chiara, qual è l’origine del tuo interesse per l’immagine e il disegno e perché hai scelto proprio Mara?

Chiara Lagani: «L’immagine e il disegno legati al racconto sono un interesse che io e Luigi (De Angelis ndr) abbiamo da quando creiamo insieme: fin da subito nei nostri progetti raccogliamo parole, suoni, immagini… Sono tutti tasselli di equivalente importanza, come fosse un atlante warburghiano. La proposta di Einaudi era per la collana Millenni (voluta, a suo tempo, da Cesare Pavese): sapevo che il disegno sarebbe stato una parte rilevante delle pubblicazioni e che mi avrebbero proposto dei loro nomi di riferimento. Mi ricordo ancora come andò: avevo di fronte Mauro Bersani e Monica Aldi e, dopo avermi mostrato i portfolio dei loro disegnatori, io mostrai le immagini di Mara indicando qua e là i nomi dei personaggi di Oz che intravvedevo già nei suoi disegni. Io ero emozionatissima, per me il Millenni era Il Libro: mio nonno ne aveva tantissimi, ho ricordi d’infanzia relativi a questi volumi, quindi l’idea mi eccitava e proporre a qualcuno di collaborare a un libro così mi sembrava qualcosa di eccezionale, come aver vinto al superenalotto. Invece mi ritrovai di fronte a Mara che mi guardava come se le stessi dicendo una cosa  qualunque, puntualizzando che non avrebbe mai illustrato “la tovaglia a quadretti della zia”. All’inizio pensai addirittura di aver detto qualcosa di sbagliato; invece poi ci siamo capite e Mara è diventata una delle mie più grandi amiche».

A proposito di amicizia, entriamo nel vivo del vostro lavoro su L’amica geniale di Elena Ferrante. Entrambe avete lavorato in autonomia sui testi dell’autrice, Mara su La spiaggia di notte e Chiara con l’adattamento teatrale della tetralogia de L’amica geniale, Storia di un’amicizia. Singolarmente come e quando avviene l’incontro con la Ferrante e dove poi vi siete incontrate?

Mara: «Io ho iniziato a leggere Ferrante negli stessi anni del primo incontro con Chiara a Ravenna, su suggerimento di una cara amica. Oltre ai libri, ho guardato anche i film tratti dalle sue scritture, come L’amore molesto di Martone o I giorni dell’abbandono di Faenza. A colpirmi erano stati sia gli scritti di La frantumaglia (E. Ferrante, Edizioni e/o, 2016), sia il tema del rapporto con la madre in cui ritrovavo la mia esperienza. Dopo aver cominciato a leggerla mi sono dunque appassionata a tal punto da trovarmi in un vortice: ha una capacità calamitante più forte della realtà, quasi come se lì dentro ci fosse qualcosa di così vero da cui è necessario passare.
Poi un giorno, alla fiera della piccola e media editoria a Roma, Giovanni Nucci di Edizioni e/o mi propose di illustrare La spiaggia di notte. In quell’occasione fu fondamentale la presenza di Fausta Orecchio, con cui Nucci si stava confrontando per cercare il segno adatto a illustrare Ferrante. Fu una coincidenza incredibile: la stavo leggendo, l’amavo e la condividevo con persone amiche… è stato molto forte. Nonostante si trattasse di un libro per ragazzi, andai a fondo alle inquietudini che emergevano, non censurate, dal libro. Oltre a La spiaggia di notte, anni dopo, mi capitò di lavorare alle animazioni per un documentario di Giacomo Durzi, Ferrante Fever, insieme a Magda Guidi, una disegnatrice con cui collaboro per il cinema di animazione.
Contestualmente, iniziai a lavorare con Chiara: ricordo bene i viaggi a Torino, gli incontri con Einaudi, Chiara che mi raccontava in treno di questo suo progetto incredibile di portare a teatro la tetralogia de L’amica geniale. Ferrante in quel momento era già un nome sulla bocca di tutti e c’era di certo un rischio; tuttavia ho sentito subito in Chiara l’autenticità di avvicinarsi a questa autrice per quello che intimamente sentiva di voler sviscerare».

Chiara: «Io ho letto Ferrante fuori tempo massimo, quando erano già usciti tutti i volumi de L’amica geniale. Ho iniziato quasi su spinta di mia madre, controvoglia perché – con il tipico snobismo che contraddistingue la nostra piccola nicchia – il fatto che si trattasse di un libro dal successo planetario mi rendeva diffidente. Mi sono dunque portata in vacanza un paio di volumi della tetralogia pensando che se mi fosse piaciuto il primo mi sarei fermata. E invece è stata una folgorazione: credo che Ferrante sia una delle pochissime scrittrici viventi, se non l’unica, che rimarrà nella storia per un uso della lingua estremamente sofisticato. Ciò che più mi ha colpito, è stata una potente immedesimazione. Da anni ormai giriamo con Storia di un’amicizia a teatro e ho visto spesso spettatrici di ogni età, in due e con le loro copie in mano, avvicinarsi e indicarsi l’un l’altra dicendomi “è lei la mia amica geniale”. È un fenomeno che io trovo commovente e credo indichi la capacità di un’autrice di intercettare un archetipo. Io personalmente la mia amica geniale l’ho vista in un’altra teatrante, Fiorenza Menni, con cui avevo condiviso storie da quando eravamo poco più che bambine. Inizialmente avevo ricacciato subito l’idea di metterlo in scena, perché mi sembrava un azzardo. Tuttavia, quando le cose ti rimangono attaccate addosso e non riesci a scrollartele via, a un certo punto devi considerarle e farci i conti. Perciò dopo un anno sono andata da Fiorenza, le ho chiesto di leggere il libro e lei si è prestata con questo peso dell’identificazione, e con l’aiuto di Luigi lo abbiamo portato a teatro».

Copertina L’amica a geniale a fumetti

 

Dai libri, il testo ha subìto un processo di adattamento al teatro, all’illustrazione, al fumetto. Come avete lavorato? Avete puntato su alcuni aspetti in particolare di Ferrante? Se si quali e perché?

Chiara: «Per quanto riguarda l’adattamento teatrale, bisognava operare innanzitutto una sintesi e questa è stata la parte più complessa. A un certo punto mi è sembrato giusto sviluppare la mia drammaturgia attraverso tre episodi salienti: le bambole, il collage che le due amiche creano operando una disintegrazione dell’immagine di Lila, e quello della scomparsa di Tina. Da questi nuclei ho pensato potesse poi essere ricostruita tutta la storia. La potenza di Ferrante sta nel riuscire, con alcune scene indimenticabili, a veicolare un senso profondamente potente.
La scelta di adattare L’amica geniale alla forma fumetto non è stata una nostra idea, ma di Giovanni Ferrara, direttore editoriale di Coconino: un giorno io e Mara siamo andate a trovarlo per proporgli una graphic novel su Ortese (non ci siamo arrese, prima o poi la faremo!) e ci ha controproposto il fumetto de L’amica geniale. Si tratta di un progettone sui quattro libri, ora stiamo già lavorando al secondo e l’idea è quella di tradurre in forma fumetto tutti e quattro i volumi. Se nello spettacolo ero libera, pur nella fedeltà alla storia, di fare scelte anche radicali, qui sento una specie di dovere di completezza, visto che si tratta della sola versione a fumetti che verrà mai realizzata, e che è stata venduta già in una decina di paesi stranieri. È un lavoro delicato che viene condotto non da noi due sole, c’è tutto un gruppo di lavoro dietro, la redazione della Coconino Press».

Mara, prima parlando dei libri di Oz e delle illustrazioni de La spiaggia di notte, accennavi al fatto che il tuo segno non è rappresentativo ma intende cogliere qualcosa d’altro. La parola e il testo – soprattutto di Ferrante – nascondono spesso molte ambiguità, fra le righe si cela un invisibile che il lettore coglie più sul piano delle sensazioni che a livello razionale. Come catturi questo “invisibile” e come si traduce in disegno? Usi una tecnica particolare e se sì, perché?

Mara: «È molto bello quello che dici sull’invisibile di Ferrante. Per me ha anche a che fare con l’infanzia. E qui ritorno a La spiaggia di notte: io ho un background da illustratrice di libri per ragazzi, ma all’inizio avevo difficoltà perché il mio segno ha qualcosa di inquietante, mentre come adulti vorremmo vedere l’infanzia candida e rassicurante. Si tratta invece di un periodo della vita in cui, nell’oscuro e nell’ombra, si custodisce qualcosa che ancora non conosciamo, in divenire, il seme di pulsioni non nostre e nemmeno dei genitori, ma di aspetti assorbiti dal contesto esterno. Si tratta di un “essere in potenza” e questo c’è molto nel romanzo di Ferrante: lo si trova nell’infanzia di Lila e Lenù, nei loro caratteri in cui si prefigura già quello che sarebbe successo dopo, le loro reazioni alla realtà. Lo spazio dell’invisibile e ciò che sta nell’ombra, quindi, mi affascinano perché la realtà non è tutta alla luce del sole anzi, è profondità. In questi giorni sto leggendo Clarice Lispector, che afferma: “Ho paura di scrivere. È molto pericoloso. Chi ha provato lo sa. Pericolo di interferire con ciò che è nascosto. E il mondo non è in superficie, si trova nascosto nelle sue radici sommerse, nella profondità del mare. Per me Ferrante coglie proprio questo. Io sento un pozzo profondo nella sua scrittura, che connette la storia di due ragazzine a Napoli negli anni ‘50-’60 con te, lettrice dei nostri giorni.».

Sfogliando il fumetto, le tavole sembrano avere un filtro patinato e sfocato, che crea una distanza e al contempo un’immersione, quasi fossimo a contatto con un ricordo… è così? Hai usato una particolare tecnica? Se sì perché?

Mara: «In effetti in alcuni momenti c’è un colore corroso e forse questo rimanda alla memoria. Risulta così perché ho imbevuto i fogli di acqua, ho usato stracci e altri materiali, per cui il colore ha come un effetto di affresco, quasi scrostato, proprio come una realtà che ci arriva attraverso lo schermo del tempo. Nel farlo ho sempre cercato di tenere a mente la scrittura di Ferrante, la sua matericità e densità, che mi ha suggerito anche una gestualità e una stratificazione del colore. Ho cercato poi di lavorare sui volti, sulle espressioni e sui primi piani, sul gioco di specchio fra le due protagoniste. Il formato suggerito da Coconino, una pagina divisa in due o in quattro con taglio orizzontale, rende poi tutto molto cinematografico e io, venendo dal cinema di animazione, ho trovato naturale affrontarlo in quel modo. Mi sono poi concentrata anche sul contesto del rione napoletano: la texture dell’ambiente e delle case sono le stesse dei personaggi, per marcare la stretta connessione tra il paesaggio e chi lo abita.

La tecnica che uso è acrilico e china su carta. Per il primo libro ho usato una carta molto semplice, da fotocopie, che non reggeva nemmeno la stratificazione del colore, ma mi piaceva la resa intima: a volte la carta quasi si strappava, si assottigliava o creava delle screpolature. Mi piaceva che il disegno l’attraversasse e restituisse la fatica del segno. Adesso invece sto usando una Fabriano, grazie alla cartiera che l’ha resa disponibile. In base alla carta che uso riesco ad approfondire degli aspetti pittorici diversi».

Le trasposizioni di questo romanzo ormai sono tante: teatro, fumetto, serie tv… Che cosa resta del libro in questi continui adattamenti e quanto si contaminano tra di loro? Questo continuo replicare non corre forse il rischio di un’idealizzazione eccessiva dell’opera?

Chiara: «A loro modo sono tre forme molto fedeli e, per quanto riguarda la serie, Ferrante co-firma addirittura la sceneggiatura. Sappiamo esser stata realizzata anche una grande produzione teatrale a Londra e uno spettacolo di danza di due giovani performer italiane. Per quanto riguarda le nostre creazioni, sia Storia di un’amicizia sia il fumetto sono molto fedeli, anche se potrebbe non sembrare. Credo che il rapporto di fedeltà con un’opera si consumi attraverso un’appropriazione personale, per restituirne un diverso respiro. In questo senso, il libro resta la matrice, le altre versioni hanno poi una loro autonomia. Ho avuto l’impressione che Ferrante avesse a cuore una fedeltà all’originale in senso molto laico, perché ha concesso una grande libertà autoriale; questo credo sia la dimostrazione di un’intelligenza capace di lasciare vita a un’opera. Alle prime tavole, ci ha ringraziato e ci ha detto di proseguire liberamente. Ne era felice probabilmente anche perché siamo due donne: il femminismo di Ferrante è davvero radicale ed è pragmatico, più che ideologico. Ferrante sostiene il lavoro delle donne.
Dell’originale quindi resta tantissimo, perché esso si annida continuamente nelle maglie di altri linguaggi e altre forme. Per quel che concerne le nostre produzioni, c’è anche un dialogo costante di estremo amore e non di idealizzazione: la ferocia con cui ci si sottopone al confronto con Ferrante è una garanzia di questo. E poi c’è il tempo: ormai sono quasi sei anni e lo scorrere dei mesi sedimenta delle questioni fondamentali dentro di noi, rendendo questo rapporto, se non lo si vuole usurare, autentico. Ciò fa si che il romanzo d’origine non venga idealizzato , sottoposto cioè a un processo meccanico di cristallizzazione, ma continui a vivere con forza nelle opere che ne derivano».

Per ulteriori informazioni: https://www.coconinopress.it/prodotto/amica-geniale/