Sognando Beckett, nel film “Prima danza, poi pensa” di James Marsh

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Un aquilone rosso vola sferzato da folate di vento. Pian piano lo vediamo perdere quota, fino all’adagio finale su un campo di grano maturo. Questa metafora esistenziale apre e chiude il film di James Marsh dedicato alla vita di Samuel Beckett: Prima danza, poi pensa. Alla ricerca di Beckett dal 1 febbraio nelle sale italiane.

La riscoperta nei cinema dell’autore irlandese, che mai è scomparso del tutto, è certamente un’operazione meritoria, ben inquadrata in un contesto più ampio di rivalutazione della figura suggerita da Oliviero Ponte di Pino.

La ricerca parte da sé stessi – come ben insegnano i greci – e così Beckett incontra il suo doppio fuggendo in modo rocambolesco dalla consegna del Nobel per la letteratura (anche se in realtà lui a Stoccolma non andrà mai per la premiazione, preferendo mandare il suo editore). I dialoghi secchi dei due Beckett ricordano le battute corte dei suoi drammi, con l’obiettivo di attraversare i propri fallimenti mediante il rapporto con gli altri.

 

 

Così iniziamo a vedere tutte le persone, più femminili che maschili (con l’eccezione dell’amico Alfy e di James Joyce), che lo hanno formato come uomo e autore: incontriamo la severa madre, la pazza Lucia, l’amore di una vita Suzanne e l’amante-intellettuale Barbara. Attraverso questi difficili rapporti umani scopriamo la sua difficile infanzia, la tormentata adolescenza letteraria a Parigi, i duri tempi della resistenza partigiana in Francia, la consacrazione a mito, l’inevitabile blocco e infine la morte.

Insomma, un autore dalla vita e dalle intuizioni straordinarie destinate a cambiare per sempre la storia della letteratura e del teatro (ma anche della radio e della televisione) nella cultura occidentale, ingabbiato in un piatto schema da biopic con qualche intuizione nella sceneggiatura (si veda i dialoghi con il doppio) e nella regia (alcune inquadrature liriche).

 

 

Numerosi film sul teatro hanno ultimamente ottenuto un discreto successo di critica e pubblico, perché capaci di trasporre sul grande schermo le storie di grandi uomini e donne di scena portando con sé un immaginario in grado di riprodurre sullo schermo l’emozione del qui e ora teatrale con anche la soddisfazione voyeuristica di scoprire quello che accade ‘dietro le quinte’.

In Italia, in particolare, segnaliamo due film con Toni Servillo entrambi girati da registi ‘anfibi’ (di cinema e teatro): Qui rido io per la regia di Mario Martone che traccia le vicende di Eduardo Scarpetta in relazione alla parodia de La figlia di Iorio di Gabriele D’Annunzio e La stranezza girato da Roberto Andò con Ficarra e Picone – tra i film italiani che hanno ottenuto più incassi nel 2022 (5.4 milioni di euro) – in cui assistiamo alla genesi dei Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello, con una suggestiva capacità di mescolare realtà e immaginazione.

Il merito forse di queste due pellicole è stato quello di focalizzarsi su un certo momento dell’esistenza di queste due figure, ma soprattutto di farci entrare nel modo in cui lavoravano e negli spazi teatrali che abitavano.

 

 

Nel film di Marsh – ed è questa la più grande pecca – il modus operandi di Beckett è solo suggerito, mai davvero messo in racconto. Certamente si potrà ribattere che questo è un film sull’uomo e non sull’autore e che per capire alcune scelte letterarie e linguistiche bisogna capire eventi biografici e non solo (la guerra, l’Olocausto e la bomba atomica su tutti). Tutto giusto, ma viene in mente una scena del film in cui Joyce dice a Beckett: “Non importa quello che si dice, ma come lo si dice”. In effetti, proprio sul ‘come’, qui ci sarebbe molto da dire.

La successione dei capitoli è abbastanza serrata (uno non dura più di 15/20 minuti), ma il ritmo al loro interno è lento sebbene ci sia una veloce, densa e sintetica successione degli eventi biografici. Così siamo disorientati rispetto al personaggio, anzi ai personaggi, di cui conosciamo solo superficialmente tutti i fallimenti e le disillusioni, non entriamo mai davvero in loro, sfuggono in una successione veloce e restano figure sfumate sul grande schermo. E se questo fosse stato lo scopo tanto meglio, eppure la brillantezza di alcuni dialoghi, la profondità delle inquadrature dedicate a Gabriel Byrne, interprete dell’autore irlandese, sembrano andare nella direzione opposta: scoprire la vita di un grande intellettuale ed entrare nei suoi tormenti. Ne risulta un film in cui accade tutto, ma senza che niente accada davvero in una contrapposizione (quasi speculare) a uno dei testi più significativi di Beckett quale Aspettando Godot, dove non succede niente perché è già successo tutto.

 

PS Per chi volesse un assaggio di questo suggeriamo, invece, Aspettando Godot di Theodoros Terzopoulos in tournée proprio in questo periodo. Qui l’intervista di Michele Pascarella a Enzo Vetrano e Stefano Randisi, interpreti dello spettacolo.

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