Sbanda, contorce, confonde. Conversazione con Elena Bucci

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Elena Bucci e Marco Sgrosso - foto di Patrizia Piccino

 

Elena Bucci e Marco Sgrosso - foto di Patrizia Piccino
Elena Bucci e Marco Sgrosso – foto di Patrizia Piccino

 

Il 13 novembre presenterete al Teatro Comunale di Russi l’anteprima di Storie di Giasone e Medea. Come state lavorando attorialmente, in concreto, per rendere vivo questo mito?

Dopo lo studio della storia e degli autori, ci accompagnano le continue riletture ad alta voce dei testi e il loro confronto attraverso diverse traduzioni. Suonare con la voce è un atto antico che contiene fin dai primi momenti la magia del futuro allestimento e il senso di un viaggio nel tempo nel quale ogni attore deve accendere la sua lampada. Contemporaneamente comincia il lavoro in scena attraverso improvvisazioni, con e senza maschera, con e senza musica, con e senza testo, per indagare quali siano, per noi e per questo tempo, il clima, la voce, la consistenza del corpo, i gesti, le danze, lo spazio. Questa continua revisione sbanda, contorce, confonde, illude, entusiasma. Speriamo che questo processo faccia cadere gli stereotipi, consapevoli e inconsci, e ci permetta di lasciare intravedere, dalla nudità che ne segue, qualcosa di essenziale e luminescente. 

Dal punto di vista della scrittura: Storie di Giasone e Medea è tratto «da Euripide a Seneca, da Apollonio Rodio a Franz Grillparzer e Jean Anouilh». In che modo avete mescolato autori così diversi?

Abbiamo cercato di sentire dove fosse il nucleo di ispirazione ed entusiasmo che aveva portato ogni autore a confrontarsi con questo mito difficile. Così abbiamo messo a fuoco vicinanze e lontananze tra arti e tempi tanto diversi che ci hanno aiutato a comprendere, forse, dove stavamo andando noi.

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Elena Bucci - foto di Tommaso Le Pera
Elena Bucci – foto di Tommaso Le Pera

 

La settimana successiva aprirai la stagione del Teatro Comunale di Casalecchio con Bimba, il tuo nuovo assolo dedicato a Laura Betti. Prima questione: si pensa a lei e viene in mente Pasolini, autore per voi di riferimento, a partire dal nome della vostra Compagnia. Puoi ricordare ai lettori di Gagarin perché vi chiamate Le Belle Bandiere?

Ci siamo ispirati alla poesia di Pier Paolo Pasolini, un maestro di libertà di pensiero, capace di attraversare le diverse arti con la grazia e la libertà di un ragazzo dolente. Anche Laura Betti conservava la capacità di ribellione dell’infanzia, ma si metteva la maschera del Fool. Il loro legame fu una conflagrazione pirotecnica, fonte di ispirazione per entrambi. 

Seconda questione, che salta agli occhi nei giorni di questo quarantennale, sul teatro di Pasolini: in vita ignorato, in morte glorificato. Perché?

C’era bisogno di tempo per comprenderlo davvero? O forse il genio in eguale misura spaventa e attrae? Da morto spaventa di meno? Noto come spesso accada che talenti speciali permangano, in vita, in un altrove in opposizione al mondo, forse per riuscire a comunicare pienamente attraverso le loro arti. Ma non mi sentirei davvero di farne una teoria, anche se la riflessione è assai pertinente, come anche Laura pensava. È importante non dimenticare, oltre alle sviste dei contemporanei, anche le denunce che dovette subire a causa delle sue opere. È bello che la sua voce torni a suonare, anche se non sempre ho la sensazione che la comprendiamo davvero. 

Terza questione, a proposito di miti: come eviterai, ancora una volta in concreto, di costruire una agiografia di Laura Betti, di fare uno spettacolo-santino?

Provo a conoscerla, a studiarla. Così ho l’illusione di non chiuderla in una teca senz’aria ma di volerle bene, litigarci, parlarci. So bene che è impossibile restituire le persone, ma soltanto quello che suscitano in chi le incontra, me compresa. Per evitare il santino ho scelto una via in apparenza contraria, l’unica che so percorrere: mi sono abbandonata del tutto al fascino di questa bimba poliedrica, amata e detestata. Guardando le sue foto ho assecondato la mia curiosità di indagare quella estrema nudità, quella rabbia vitale che sbugiarda l’inautentico a forza di urla e risate. Scrivo in forma di lettera, uso le registrazioni della sua voce, i documenti, faccio improvvisazioni che registro e riscrivo e lascio che mi accompagni a modo suo in quel periodo affascinante e vivo della nostra storia. Ci sono state belle coincidenze e ho incontrato diverse persone che l’hanno conosciuta e che mi hanno aiutato a trovare documenti non sempre facili da reperire. Lei, tanto famosa in vita, è stata come oscurata dopo la morte forse proprio a causa della sua dedizione al ‘suo Pier Paolo’ e spesso non compresa nella sua reale portata di coraggio e intelligenza. Vorrei che questo periodo di ricerca non finisse mai.

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Elena Bucci - foto Archivio Nomadea
Elena Bucci – foto Archivio Nomadea

 

Il 24 novembre Radio Tre dedicherà una puntata alle figure femminili che accompagnano la tua scrittura e il tuo lavoro. Una donna su cui hai lavorato in cui ti sei veramente rispecchiata, dal punto di vista del desiderio.

La domanda è intrigante ma non so rispondere: per restituirle in qualche modo ho dovuto rispecchiarmi del tutto in ognuna e non posso scegliere. Implicherebbe un giudizio che non voglio praticare. Questo vale sia per quelle scritte da geniali autori, da Lady Macbeth a Hedda Gabler, da Mirandolina ad Antigone che per quelle da me studiate e inventate alle quali darò la precedenza in radio. Passerò dalla Duse che mi ha aperto questa via a Juana de la Cruz che mi ha spinto al canto, da Isabella Andreini che mi ha illuminato sul mestiere dell’attore a Olga Knipper che mi obbliga ad accettare il nostro egocentrismo, fino a Laura Betti che mi aiuta a ridere della solitudine. Un posto speciale tocca alle signore che non sono famose, la Zaira, la Monica, Ofelia di Autobiografie di ignoti e di In canto e in veglia, che mi hanno insegnato a scrivere fidandomi della mia osservazione e a trasformare le esperienze in teatro. Dietro di loro ci sono sempre, comunque, le grandi donne che mi hanno raccontato le favole, la nonna curva Maria, la Giuseppa, mia madre. 

Dal 3 al 6 dicembre sarai con Marco Sgrosso a Pechino con La Locandiera. Chi vi ha cercato, per andare a lavorare là?

Un amico musicista che ci stima e lavora spesso in Cina ha saputo che un importante teatro di Pechino cercava contatti con compagnie italiane. Mi ha invitato a mandare i nostri materiali. Siamo stati scelti tra molti altri e, dopo tantissimo lavoro di organizzazione e comunicazione – sono mondi davvero tanto diversi, anche nel modo di organizzare i pensieri – finalmente partiamo. Ma ancora non mi sembra una cosa reale.

Reciterete in italiano? Con i sottotitoli?

Certamente. Non impareremmo il cinese in mille anni. Avremo con noi una persona che aiuterà il traduttore cinese a scandire in modo efficace il ritmo dei sottotitoli. 

Per voi è la prima volta in Cina? Cosa vi aspettate?

È la prima volta certo! Io ho talmente paura di questo lungo viaggio in aereo che volevo prendere la Transmongolica, leggendaria linea ferroviaria. Niente da fare, troppi visti, troppe incognite. Non ci aspettiamo nulla, siamo curiosi ed emozionati. Speriamo che attraversare dal vivo una cultura tanto antica e tanto diversa offra illuminazioni e mutamenti. Per il momento ci concentriamo nel ritrovare la freschezza e la forza dello spettacolo, poi vedremo! Speriamo che l’emozione passi anche attraverso le differenze.

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Elena Bucci, Raffaele Bassetti e Loredana Oddone al Festival 'Solo', Mosca
Elena Bucci, Raffaele Bassetti e Loredana Oddone al Festival ‘Solo’, Mosca

 

Sei appena stata a Mosca con il tuo monologo dedicato a Eleonora Duse. Una bella sorpresa russa?

L’appassionata e perfetta organizzazione del Festival che mi conferma come il teatro possa reagire a qualunque regime politico, la qualità delle persone e dell’ascolto del pubblico, l’amore per la nostra cultura da parte di persone di ogni età, l’interesse di molti giovani che studiano la nostra lingua con entusiasmo e molto altro. Questo viaggio è stato in tutto una bella sorpresa. 

E una delusione?

Il mio disappunto da improvvisatrice che si riserva sempre un margine di cambiamento dei testi nei confronti della rigidità dei sottotitoli. Pensavo di averlo calcolato. Per fortuna c’era una traduttrice di straordinaria elasticità. 

Da questi brevi racconti almeno una cosa è chiara: non ti fermi mai. Che cosa insegui?

Guai se lo sapessi. Mi sento piuttosto inseguita. Cedo alla curiosità e all’entusiasmo che svegliano in me le proposte e devo ancora imparare a dire con grazia la bella parola no, che a volte è necessaria. 

E da cosa fuggi?

Dalle bugie, quando ci riesco, e dal gelo del cuore. 

 

MICHELE PASCARELLA

 

Info: lebellebandiere.it, buccielena.blogspot.it