Pagine e visioni: su Alfabeto di bambola di Camilla Grudova

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Hieronymus Bosch, Il giardino delle delizie, 1490-1500, olio su tavola, Trittico cm 220 X 195. Madrid, Museo del Prado

 

Leggendo i tredici racconti che compongono Alfabeto di bambola della giovane scrittrice canadese Camilla Grudova, recentemente pubblicati da il Saggiatore a tre anni dall’edizione originale inglese, vien da pensare al trittico Il giardino delle delizie di Hieronymus Bosch.

In entrambi i casi, si potrebbe sintetizzare, nonostante tutta la profusione di realismo ci si sforza di esprimere l’immateriale.

In questo senso -ancor prima che per il dato che la maggior parte dei racconti l’io narrante sia donna o le protagoniste lo siano- vien da evidenziare un’accogliente, inclusiva attitudine femminile in queste magnetiche narrazioni, con il correttivo felicemente spiazzante di un immaginario teso con chirurgica sapienza a deformare la materia creando con poche, secche, ben dette parole un dinamismo che agisce in senso contrario a quello della natura.

Costruzioni oniriche che ricordano certi folgoranti brevi racconti di Gabriel García Márquez (in particolare dall’imprescindibile raccolta La incredibile e triste storia della candida Eréndira e della sua nonna snaturata del 1972) portate alla scrittura con la magistrale secchezza della Trilogia della città di K. di Ágota Kristóf: frasi brevi, dure come pietre, a scolpire vite fragilissime e feroci, vicende che dal piano realistico/drammatico senza posa scivolano in quello grottesco, surreale, finanche incubotico.

I personaggi sono modellati con un tratto che mette in risalto dolenti fisionomie espressioniste. Sono corpi-teatro, per dirla con Jean-Luc Nancy quelli che si offrono al nostro sguardo: uomini a forma di ragno, donne che si scuciono come bambole o che diventano lupi, sirene con la pelle grigiastra, nane mummificate e morti viziati.

 

 

Espressioni facciali, posture e movimenti nello spazio sono in evidenza: nel trittico di Bosch, così come in questi racconti, le figure vengono definite tramite nette campiture in contrasto con l’ambiente, anche là dove esso si costituisce per disorientante accumulo.

In entrambi i casi non vi è, ça va sans dire, ricerca di una bellezza ideale. Piuttosto si è tesi alla smisurata giustezza della composizione: una trama brulicante di elementi che rimpicciolendosi, mettendosi al servizio della fabula, costruiscono lo spazio in profondità.

Quanto detto non faccia pensare a cervellotici esercizi di stile faticosi da digerire: analogamente all’incontro con l’opera del celebre pittore olandese, tra queste pagine bisogna lasciarsi perdere, come ebbe a dire Walter Benjamin a proposito dell’attitudine del flâneur per le strade di Parigi per meglio lasciarsi sorprendere da ciò in cui, fortuitamente, ci si imbatte.

A tutto il resto -e non è poco- ha pensato Camilla Grudova.

 

MICHELE PASCARELLA

 

Camilla Grudova, Alfabeto di bambola, il Saggiatore, 2020, € 19 – info > https://www.ilsaggiatore.com/libro/alfabeto-di-bambola/