Edoardo Nave ci vede informi: il suo nuovo album

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Edoardo Nave

Lo dichiaro subito: questo è un endorsement. Andate tutti a sentire il nuovo album di Edoardo Nave! Chi è Edoardo Nave? Bella domanda. È la vostra cotta delle scuole superiori, il ragazzo con il sorriso accattivante a cui nessuno può resistere; è un profilo Instagram in bianco e nero in cui si doppiano spezzoni di trash televisivo; in questo caso, è soprattutto l’imolese che ha pensato, composto, cantato, suonato e prodotto un disco di nove minuti dal titolo Ti vedo informe, uscito il 20 dicembre. Nove minuti che diventano novantacinque, perché continui a riascoltarli per trovare il significato nascosto a quello che sembra quasi uno scherzo: non ci sono frasi di senso compiuto, neanche quelle musicali, che ogni tanto si interrompono a metà. In Edoardo coesistono più personalità, intuibili anche dalla sfumatura di quel sorriso, una volta osservato meglio: è quella del genio, o del pazzo?

Come mai questo titolo?

È un gioco di parole, ha un’assonanza con “ti vedo in forma” ma è proprio il contrario: ti vedo senza forma. Mi piaceva come concetto. L’ho scelto due minuti prima di pubblicare l’album, non sono uno che dà importanza a queste cose.

Poche cose ma brutte, il tuo primo album, mi sembra che abbia una struttura tutt’altro che casuale, per esempio nell’ordine dei brani e nei loro titoli. Al contrario, Ti vedo informe non mi pare goda della stessa spina dorsale. Le canzoni mi piacciono molto, ma le trovo più scollegate tra loro: mi son detta che anche qui c’era dell’intenzionalità e che il titolo avesse a che fare con questo.

Sono contento di dare questa illusione assolutamente immotivata! Anni fa ero più calcolatore, ogni cosa doveva essere al suo posto, ora non è più così. Può darsi che si noti. Dal punto di vista sonoro, però, io lo trovo più coerente!

Quanto impegno e tempo servono per realizzare un album di nove minuti?

È una compilation, perché molti sono singoli usciti nel corso dell’anno. La selezione del singolo suono è la parte più lunga, perchè sono “un ricercatore del timbro”. Mi interessa molto la qualità del suono.

Ogni singolo è accompagnato da un breve video; non ti piace definirti solo come musicista, perché nella vita ti occupi anche di video editing: quanta importanza ha per te l’immagine e perché?

In generale penso che la musica nata attraverso internet (soprattutto sui social, come la mia) oggi non possa avere visibilità se non è coperta dall’immagine o da un video. Un contenuto senza immagine non può girare. Inoltre, a me piace variare: forse questo mi rende acerbo in più settori, ma reputarmi solo musicista o sound designer o video editor è limitante.

So che sei alla ricerca di una band, come immagini i live?

I brani online sono solo un trailer. I concerti saranno una cosa diversa e analogica, con un altro arrangiamento e i brani più lunghi, anche nei testi. Nulla di pre-registrato. Nel 2014 facevo i live da solo con il computer: in periodo era figo, ma adesso la musica sta tornando a concentrarsi sull’analogico e presentarmi con il pc mi suona anacronistico.

I tuoi testi sono bislacchi, direi surreali. Sembrano quasi delle parodie.

Sono flussi di pensiero, il mio strumento di sfogo, fotogrammi di certi momenti. Sono anche delle metafore e contengono degli archetipi nei quali le persone si possono ritrovare: ciò che racconto non sono situazioni strane, ma ordinarie.

La tua influenza jazz si sente molto nella musica, invece per le parole a chi ti ispiri?

Beh, Finisce così la nostra lezione in Poche cose ma brutte è in onore della insegnante di musica di quando ero piccolo Valentina Domenicali, che prima di salutare i bambini cantava “FINISCE COSÌ LA NOSTRA LEZIONE ARRIVEDERCI A LUNEDÌ PER SUONARE PER CANTARE ANCORA QUI DO RE MI FA SOL LA SI SOL DO”. What a banger! A parte questo, direi i Radiohead.

Quanto ti prendi seriamente?

Poco.