L’Ubu roi di Roberto Latini

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Roberto Latini | Fortebraccio Teatro, Ubu roi – foto © Simone Cecchetti
Roberto Latini | Fortebraccio Teatro, Ubu roi – foto © Simone Cecchetti
Roberto Latini | Fortebraccio Teatro, Ubu roi – foto © Simone Cecchetti

Una scena bianca, abbacinante che gradualmente si incupisce. È questo l’Ubu roi di Roberto Latini e del suo Fortebraccio Teatro.  A Latini, personalità artistiche tra le più significative della scena sperimentale nazionale, il compito di chiudere la stagione dedicata alla scena contemporanea del Teatro Diego Fabbri di Forlì.

Datato 1896, Ubu Roi è ormai un classico del teatro mondiale, come Edipo o Amleto, capace cioè di superare se stesso e mettersi a disposizione dell’occasione che ogni appuntamento scenico rappresenta per riflettere sulla natura dell’arte teatrale.

Spiega Roberto Latini, regista dello spettacolo e autore dell’adattamento: «Io credo nel Teatro. Ovvero, nell’occasione del Teatro. Nei classici e nel contemporaneo, come ‘declinazione’ di una stessa materia. Non sono le parole di Jarry, la struttura, la trama, addirittura la drammaturgia, ma lo spirito di libertà che accompagna ogni scena. È come se l’autore avesse voluto darci questa libertà creativa, proporre Teatro e non letteratura. Scrivo Jarry e penso si possa leggere Shakespeare. Abbiamo lavorato tenendo questo continuo riferimento, tutti i parallelismi possibili. Li abbiamo distillati, scelti, evocati, da Macbeth ad Amleto, passando per Romeo e Giulietta o Giulio Cesare o La tempesta. Abbiamo integrato Jarry col suo proprio modello e Shakespeare con l’inventore della patafisica. Li abbiamo entrambi ricondotti al nostro tempo teatrale, al nostro sentire, al nostro modo di stare al Teatro».

Roberto Latini | Fortebraccio Teatro, Ubu roi – foto © Simone Cecchetti
Roberto Latini | Fortebraccio Teatro, Ubu roi – foto © Simone Cecchetti

Così, la storia di Ubu che uccide re Venceslao, stermina i nobili che lo avevano appoggiato e vuole farsi re, trovandosi a un certo momento a fare i conti con il figlio del defunto, è lo spunto per una riflessione sul senso del fare teatro oggi e sull’eredità che il Novecento ci lascia.

«Gli Ubu – continua Roberto Latini – sono un’alterazione e una capacità insieme. Dalla loro comparsa sulla scena si può stabilire un punto di non ritorno. E quindi anche di appartenenza, o partenza nuova. (…) Jarry è riuscito a ricondurci al Teatro, a riconvocarci, proponendo delle figure e una modalità di relazione tra testo e scena assolutamente contemporanei. Jarry propone una nuova convenzione, più che moderna, dentro l’assolutezza che soltanto i classici riescono a determinare. (…) Jarry, insieme a pochi, pochissimi altri, è riuscito a darci un appuntamento dentro il futuro prossimo, spostando il luogo dell’incontro dalla convenzione stabilita alla relazione possibile”.

Inoltre, sabato 3 maggio, Roberto Latini condurrà un laboratorio per attori dal titolo L’attore senza spettacolo (gratuito, per info: info 339.9707741 – 347.3169141) alla Fabbrica delle candele. Attraverso considerazioni teoriche e pratiche, sarà una riflessione sui modi, i tempi, i ritmi e i percorsi della scrittura che diventa scenica. Come un impulso diventa idea, quale percorso compiono le parole, i suoni e le azioni perché diventino scenicamente possibili. Ai partecipanti sarà richiesto lo sviluppo di una scena partendo da testi, frammenti, suggestioni legate alla misura unica e personale che ognuno, su un palco, può avere.

Roberto Latini | Fortebraccio Teatro, Ubu roi – foto © Simone Cecchetti
Roberto Latini | Fortebraccio Teatro, Ubu roi – foto © Simone Cecchetti

Roberto Latini Formatosi con Perla Peragallo, e diplomato nel 1992 allo Studio di Recitazione e di Ricerca teatrale, sette anni dopo fonda quella che a tutt’oggi è la sua casa, ovvero Fortebraccio Teatro, residente presso il Teatro San Martino di Bologna. Numerosi gli spettacoli da allora succedutisi, e intonati a emozioni diversissime, da Strade_sei proposte per un nuovo millennio, ispirato a Lezioni americane di Italo Calvino del 1999 a La ballata del vecchio marinaio, di St. Coleridge, del 2000, per poi avviare il continuo e dialettico rapporto con il classico shakespeariano e le sue riscritture, partendo da Essere e non _ le apparizioni degli spettri in Shakespeare del 2001 per arrivare alle figure di Iago, Desdemona e Otello, inframezzati dal rifrattivo Caligola del 2002, in cui l’attore recitava circondato da un emiciclo di specchi che restituivano allo spettatore in forma compiuta quel suo tentativo di cercare i molti nell’uno, la pluralità delle sfumature, un leit motiv che connota anche la ricerca su Otello, più orientata al lavoro sulla voce. Un percorso continuato poi di recente con Noosfera, un contenitore di riflessioni declinato in una rilettura di Pinocchio in cui il burattino finiva, nella seconda sezione dello spettacolo, per vivere l’umido antro della balena in un rapporto quasi animale con l’acqua. Di qui al successivo Titanic dell’estate scorsa, e all’indagine sul naufragio dell’essere umano, il passo è stato relativamente breve.

Venerdì 2 maggio, ore 21.00, info: O543 712167- 712176 – 712160, teatrodiegofabbri.it