Da Gaber a Capossela

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Da un lato del palcoscenico una lampada accoglie la voce narrante che esorta a vivere il qui e ora. La voce si sposta dietro a tre pannelli velati di nero ad incorniciare la band. Rock e danza, questa la proposta di  Mvula Sungani Company e Marlene Kuntz con lo spettacolo Il vestito di Marlene la Danza incontra il Rock. I tre pannelli neri sono protagonisti costanti della scena, velando ed  incorniciando alternativamente band e corpo, per tutto lo spettacolo. Questo il loro ruolo, celare e svelare i corpi vestiti e i corpi scoperti; in assolo e in gruppo, i corpi di  tre  uomini e sei donne che davanti allo spettatore si muovono ora sinuosi ora come rigidi manichini. Durante il primo brano le donne indossano un abitino beige di fantasia fine ed un cappellino al lato del capo, con capelli sempre raccolti. Il pannello ci interroga sulla funzione dell’abito, che muta ad ogni brano. Ritmicamente durante tutto lo spettacolo si susseguono pezzi danzati in assolo a scenografie a sei, sette, per poi tornare a balli in coppia. Gli abiti fasciano i corpi lasciando a vista trame di muscoli, spesso poi un semplice intimo copre i ballerini. I colori sono sempre nero e beige ad eccezione di due momenti di stacco. Nel primo tutto il corpo di scena partecipa con la prima ballerina fasciata di una enorme tunica/gonna bianca che la copre anche quando viene sollevata sulle spalle del ballerino nascosto al di sotto, giocando con il panneggio in movimento. Nel secondo, un assolo di un iberico ballerino di nero vestito con pantalone e camicia, che con tacco e “pelotas” associa una danza gitana al rock.

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La musica fatta esclusivamente di batteria e corde dà corpo al repertorio più  melodico del rock con protagoniste assolute le mani. Di nuovo un binomio in contrasto tra movimenti ispanici e ritmi più sincopati. Le braccia e le gambe rigide sono quasi sempre sovrastate da polsi in movimenti rotatori flessuosi, a dirigere il nostro sguardo sulle mani. Arti che con la loro sensuale avvenenza ci ricordano che l’intimità più nascosta e privata sta in esse. Quelle dita che abitualmente afferrano, manipolano, assaporano: si sfiorano con altre, straniere, solo se queste sono amate. Così, non è il corpo nudo sul palcoscenico che ci racconta l’amore e l’affetto di una relazione, lo struggimento di una mancanza, ma sono queste ultime a farlo. Durante tutta la danza solo in qualche occasione si incrociano e si abbracciano con quelle del compagno, qui per raccontare intensa emozione, là per sorreggere con sicurezza l’audacia del corpo altro. A tratti verso metà spettacolo il rock sembra per un attimo mostrare il suo lato più duro, la sua essenza di vitale rivolta, di emozionante protesta al vedere comune, con un trabattello in scena che sorregge figure fisse e figure in movimento. Un attrezzo da cantiere in scena non riesce comunque a lacerare il filtro della melodia più romantica, del movimento più riconosciuto, quella musica non riesce a spogliarsi del tutto, ad urlare, ma rimane in parte appena accennata. Come quei corpi che si scoprono e si vestono ma non toccano mai nude la scena, mai le fondamenta dell’anima sono libere, mai i piedi si mostrano, i veri pudici protagonisti di tutti gli ottantacinque minuti di spettacolo. Tanto da scordarsi di quelle radici ed iniziare ad assaporare il fascino mai riconosciuto al calzino. Il calzino ora color carne, ora nero, quasi sempre a costine, e ti ritrovi a riflettere se, il calzino, aiuti il movimento o lo contrasti, ma alla fine che importa, lo apprezzi nella sua insicurezza affettiva, nella sua vita segregata  e lo riconosci quale vera rivolta rock dello spettacolo. Finalmente si apprezza  il fascino estetico di un corpo con i calzini, che bello.

MILENA CIPRESSI 

domenica 8 febbraio 2015 – Mvula Sungani Company e Marlene Kuntz, Il vestito di Marlene – La Danza incontra il Rock – Forlì, Teatro Diego Fabbri – info: teatrodiegofabbri.it