Il Risorgimento secondo Salvo Ruolo

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Salvo Ruolo con Cesare Basile
Salvo Ruolo con Cesare Basile
Salvo Ruolo con Cesare Basile

Incontriamo Salvo Ruolo all’indomani della notizia che il suo disco è fra i finalisti del Premio Tenco, poche ore fa andata al suo amico e corregionale Cesare Basile, con il quale appunto ha lavorato alla produzione di Canciari patruni. Ecco il resoconto di quanto ci ha dichiarato l’artista.

 

Spiegaci chi è e di dove arriva Salvo Ruolo – sei sulla cinquantina e presumo che la musica sia una “vecchia amante”…

Siciliano di nascita, apolide per vocazione. A casa, grazie a mia madre, giravano tanti LP, come si chiamavano allora, parlo degli anni Settanta e Ottanta, e non ricordo come ma mi arrivò in mano Born To Run di Bruce Springsteen. Potenza della Telecaster in copertina, volli subito averne una anch’io. Arrivò invece una magnifica Squire che purtroppo non ho più. Per quella originale dovetti aspettare qualche anno.

 

Il tuo recente album è un concept sul Risorgimento storico visto dalla parte non tanto della Storia con la maiuscola ma dei singoli casi, delle persone che ne sono state investite.

Il Risorgimento come ce lo hanno spiegato è una grossa bugia. I Savoia non volevano il Regno delle due Sicilie e Giuseppe Garibaldi non sconfisse un esercito di ventimila soldati ben armati con il suo “genio”. Gli inglesi gli diedero un aiuto fondamentale. Lo stesso Camillo Benso di Cavour, che non ha visto l’annessione del sud perché morì poco prima, credeva talmente poco ad uno stato unitario che i suoi tanti soldi li investiva in titoli inglesi. E poi non mi interessano i potenti, gli uomini tronfi e arroganti che stanno sui libri di storia a indicarci che il mondo è loro. Molto meglio le vite dei “cafoni” traditi del sud o dei contadini turlupinati del nord.

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Fare un disco che parla del Risorgimento quale attinenza ha con il periodo che stiamo vivendo? 

Quello di ricordarsi che qualunque padrone ti conceda una libertà ti lega a una nuova schiavitù. La modernità – il nostro tempo – ci ha convinti che siamo liberi, anzi liberissimi. In realtà siamo talmente schiavi che non riusciamo a renderci conto della nostra condizione. L’unico modo per essere davvero liberi è quindi disconoscere questo mondo o sistema mondo che sia, da cui dipendiamo attraverso la costante conoscenza e la rilettura della storia dell’uomo.

 

La scelta di cantarlo in siciliano, fin dal primo ascolto, mi è parsa inevitabile. L’opzione è stata naturale come penso io o vi hai riflettuto prima di decidere?

Il Risorgimento è stato anche il nostro West, la nostra epopea e andare indietro nel tempo con la lingua mi appariva scelta obbligata per rendere al meglio il “colore” del periodo. Mi sembrava giusto quindi fare i testi in Siciliano antico, quello di Giuseppe Pitrè per intenderci, colui che curò la Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, e quello dei cunti.

 

Il disco lo hai inciso con l’apporto tuttofare di Cesare Basile – raccontaci che tipo di legame vi accomuna e come nasce la vostra collaborazione. 

Cesare lo chiamai al telefono per dirgli quale fosse il progetto. In realtà bastarono poche parole. Iniziammo le take di Canciari patruni senza avere la minima idea di dove potessimo andare a parare. Ed è bello così, dopotutto. Quando sono amico di qualcuno non mi chiedo della natura del legame. Sei amico e basta. Non serve dire altro.

 

Se non era per un’amica comune che mi ha segnalato il tuo album, non sapevo chi tu fossi – mea culpa. Facendo una veloce ricerca sulla tua discografia, noto una forte differenza fra Canciari patruni, che essenzialmente è un disco a due fatto da te e Basile, e il precedente Vivere ci stanca che, se non ho letto male, era full band e, sempre avendone letto, aveva un approccio credo rock. 

Seguire tutte le uscite non è facile, lo sai bene tu da recensore e lo so bene io da musicista. Vivere ci stanca è un disco suonato in Romagna con cari amici come Antonio Gramentieri, Diego Sapignoli, Franco Naddei e Denis Valentini. E’ stato il disco del rientro dopo molti anni di scazzi e di chitarre abbandonate alla polvere. Fra l’altro dovrebbe essere in ristampa il prossimo anno.

Salvo Ruolo con Michele Gazich
Salvo Ruolo con Michele Gazich

Incidere un disco come Canciari patruni già di per sé denota una certa sofisticata preparazione storico-letteraria – come ti sei documentato? E più in generale, oltre al caso del disco nello specifico, quali sono le tue influenze letterarie?

Negli anni ho letto diversi autori siciliani, tra cui il già citato Pitrè, ma anche poeti vecchi e nuovi o sconosciuti come la straordinaria Maria Costa. Per il resto, direi che non potrei evitare di citare nomi quali Cormac McCarthy, Don DeLillo, Leo Malet. Ma anche, e soprattutto, gli scrittori da mercatino dell’usato. Ci sono sempre tesori da scovare da quelle parti, te lo garantisco.

 

Dopo quelle letterarie, è spontaneo chiederti musicalmente quali siano le tue passioni e le tue influenze…

Mi sono alfabetizzato con Bruce Springsteen, Rolling Stones, Bob Dylan, Neil Young e Lou Reed. Poi come accade un po’ a tutti, capisci o credi di capire che ci sono artisti immensi come Townes Van Zandt che sta molto in alto nella mia personale classifica. Leonard Cohen è Dio – anzi, lo supera.

 

Ho visto che sei stato selezionato per i sei migliori dischi in dialetto del Cub Tenco – oggi sono stati resi noti i vincitori: il tuo amico Cesare Basile ha vinto. Immagino che tu sia contento lo stesso… 

Certo che sì! Personalmente lo avrei premiato disco dell’anno. Tra l’altro Cesare, oltre al mio, ha prodotto anche quello di Simona Norato finalista come opera prima. Insomma, mi pare che negli ultimi dieci anni nessuno come Cesare abbia dimostrato come ci possa essere “un’altra via possibile” a quell’italianità musicale che ha rotto le palle, francamente. Tra qualche anno, assieme a Fabrizio De André, a Piero Ciampi e a pochi altri, ricorderemo anche Cesare Basile.

 

Degli altri dischi in concorso, Basile escluso, quali hai sentito e a chi andrebbe il tuo voto? Anche allargando al discorso a tutti gli altri in concorso, non solo quelli in dialetto…

Mi piace anche la serietà della proposta del Canzoniere Grecanico Salentino, fra quelli in dialetto. Per il resto, avrei dato il premio del disco più bello a Io sono un cane per il suo Die. Album in cui senti che esiste una ricerca sulla parola e comunque un’idea forte sulla ricerca dei suoni, di orizzonti altri, che sono di certo italiani e guardano al miglior passato recente ma che hanno il pregio di indicarne di nuovi.

Salvo Ruolo ancora con Cesare Basile intenti a scrutare l'orizzonte siciliano
Salvo Ruolo ancora con Cesare Basile intenti a scrutare l’orizzonte siciliano