Dayna Kurtz, quanto l’amore si mette di mezzo

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Non è difficile capire perché Norah Jones ogni volta che le si chiede il fatidico «Chi ti piace?» risponde sempre che Dayna Kurtz è la sua cantante favorita – molti dei suoi album sono delle vere immancabili perle del Nuovo Millennio, a cominciare del fulmineo esordio Postcards From Downtown (2002) e senza scordare forse il più bello fra i suoi lavori, Another Black Feather (2006), dischi che nel cantautorato Yankee più recente di così a fuoco, “veri” e senza indice di obsolescenza li hanno fatti in pochi.

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La ragazza quasi signora di Patterson, New Jersey passata a vivere in quel di New Orleans appare come tipo timido, forse anche dimesso – solo che quando soffia nel microfono la magia della sua musica è di quelle che incantano per onestà d’intenti e risultati, dove il superfluo è bandito e, anzi, davvero sembra non essere mai comparso. Come nei suoi dischi gioca a mischiare jazz, folk, miglior pop della tradizione americana e blues ha un ché di quasi poderoso che non sembri azzardato tirare in ballo Jeff Buckley, cui specie nella prima parte di carriera pareva esserne la metempsicosi in fattezze femminili.

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Forse portarla in Italia così, sola con la sua chitarra senza nemmeno un minimo di altro accompagnamento, vuol dire mandarla un po’ alla sbaraglio senza sapere molto quale valore si ha per le mani – tant’è che finite le date nel Belpaese, il resto dei concerti europei li farà accompagnata dal suo fido chitarrista Robert Mache. E poi il recentissimo Raise And Fall ha degli umori Crescent City che, davvero, meriterebbero un’esposizione più deferente e articolata del materiale – presentato, fra l’altro, con un bel senso dell’umorismo: «Ci sono canzoni in questo album che farebbero bella figura a un funerale – sapete, quello è un mercato poco sfruttato».

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Sia chiaro, Dayna non ha fatto meno che bene il suo mestiere – ha regalato un’ora e poco più davvero solida, di quelle che comunque capisci che l’artista non è campato per aria bensì di quelli “qui & adesso” che non vanno ignorati e scambiati per un volto dei tanti in mezzo alla folla. Lei, Miss Kurtz, in qualsiasi modo onora la sua musica con belle, spartanissime quanto intense riproposizione di alcuni dei suoi gioielli: It’s How You Hold Me, Not The Only Fool In Town, Raise The GlassYou’re Not What I Need (But You’re All That I Want), Venezuela – il suo pezzo più bello, per l’occasione tutto da gustare – Invocation, Love Gets In The Way – puro Jeff Buckley – Patterson – anche qui Jeff Buckley sembra davvero calarsi nell’anima di Dayna – per non parlare delle tre cover scelte all’occorrenza, Reconsider Me (Johnny Adams), It’s Not Love (But it’s Not Bad) (Hank Cochran via Merle Haggard) fatta alla steel – forse il momento più carico di tutta l’esibizione – e addirittura Here Comes A Regular (Replacements) tutta slide, che mettono il fiocco a una serata ben oltre l’amabile.

CICO CASARTELLI

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