Francesco De Gregori serve l’acido seminterrato di Bob Dylan

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Domanda – se Bob Dylan è il William Shakespeare della musica contemporanea, allora, per citare fra i suoi massimi e persistenti interpreti, gente come Nina Simone, Dion, i Grateful Dead/Jerry Garcia, la Band, Flatt & Scruggs, Johnny Rivers, Hugues Aufray, Richie Havens, Joan Baez, i Byrds, i Fairport Convention, Rod Stewart, Odetta, i Waterboys o Bryan Ferry di Zimmerman ne sono i dylaniati Lawrence Olivier? E in Italia, Francesco De Gregori, chi sarebbe – Vittorio Gassman? Arduo rispondere – così, a bruciapelo, FDG più che Gassman sembra una specie di Nanni Moretti, sebbene non sappiamo se il buon Nanni di Piombo (Tinto Brass docet) sia o no preso anch’egli del germe del dylanismo spinto – e che ci risulti, Nanni di shakespeariano ha poco o nulla, al massimo di molto freudiano, ma questa è un’altra storia.

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Senza far la lista della spesa, il morbo Zimmerman è croce e delizia di FGD fin dell’alba dei (suoi) giorni d’artista – un po’ furbetto un po’ geniale come egli abbia ritagliato o copiato/incollato brandelli di Dylan nell’arco di quasi cinque decenni ascoltate Alice, Rimmel, Vai in Africa, Celestino!, Finestre rotte, Il canto delle sirene. D’altronde, fra Chuck Berry, Muddy Waters, Tom Paxton e una bella manciata d’altri, anche l’originale, Bob Dylan, ha fatto la sua bella opera di taglia, di cuci e a volte proprio di gran scippo – amore e furto, esatto. E Amore e furto, furbetto e geniale ripetiamo che iuvant, è il titolo che s’appiccica addosso FDG per suo nuovissimo lavoro dedicato Robert Allen Zimmerman aka Bind Boy Grunt aka Zusha ben Avraham aka Alias aka Robert Milkwood Thomas aka Shabtai Zisel aka Billy Parker aka Lucky Wilbury aka Jack Frost aka, sì!, Bob Dylan!

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Francesco De Gregori con suo fratello Luigi Grechi
Francesco De Gregori con suo fratello Luigi Grechi

Perdonate il preambolo bifronte e biparagrafo – pertanto andiamo subito a esprimerci sul tema del contendere. Amore e furto appare proprio come ciò che gli yankee chiamano un mixed bag album – un album mezzo riuscito-mezzo no. Appena avuto in mano il lavoro, la prima cosa che yours truly, il sottoscritto, ha fatto è stata andare a sentire se FDG avesse ripreso Desolation Row/Via della povertà esattamente come la cantò Fabrizio De André in Canzoni (1974) – per fortuna, no. Il nesso quale sarebbe? Certamente a quel verso riguardante Auschwitz, i forni crematori e ”l’Adolfo”, opera di De André e non di FDG come egli stesso ha tenuto a precisare più volte nel corso degli anni, che francamente ho sempre trovato uno scivolone di cattivo gusto nel tradurre Bob Dylan e nell’intera opera di Faber – detto in parole chiare, il brano non ha la minima attinenza con l’Olocausto. Insomma, scampata – bravo, il nostro Nanni Moretti dylaniato FDG – e bravo anche per la perfida malignità che ci mette nello scandire «Dimmi da che parte stai?» quando si parla del Titanic.

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Mixed bag album, ecco. FDG ha fatto le cose formalmente bene, traduce mostrando di sapere della materia, quando forza i termini originali lo fa perché intraducibili con senso & assonanza (la rima, la fissazione assoluta di Bob Dylan – mica i contenuti, i significati, semmai sempre e comunque la rima! Gondòla & Coca Còla!) – pertanto ci sta tutto. Però la band, che poi un po’ quello che spesso è parso capitare dal vivo con FDG, e come manca il grande Vincenzo Mancuso della decina d’anni fra Scacchi e tarocchi (1985) e Bootleg (1994) – appunto, la band difetta un po’ di verve, sembra alle prese con un compitino che non bisogna sbagliare assolutamente – tutto, comunque, senza quel pizzico di guizzo di elusiva disobbedienza che ci vuole quando si affronta Bob Dylan, sia a tradurlo sia a farvi delle cover  – e così, per curiosità, provate a ripescare i miglior album di cover all-Dylan che io mi ricordi, quelli fatti da Odetta – il suo Odetta Sings Dylan (1965) è probabilmente il più imperdibile di tutti – Zé Ramalho, Duane Eddy, Judy Collins, Bryan Ferry, Charlie Daniels Band, Maria Muldaur, Coulson-Dean-McGuinness-Flint, Jamie Saft, Tito Schipa Jr, Grateful Dead/Jerry Garcia, Sebastian Cabot, Mountain, Brothers & Sisters. Oppure, in quanto a elusiva disobbedienza qui da noi, invito a risentire come Vinicio Capossela tradusse magnificamente WhenThe Ship Comes In/La nave sta arrivando – deciso sfidante a miglior cover in italiano del sovrano delle nuove visite sull’Highway 61.

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Altro difetto che mostra l’album, alla faccia dello sforzo, è che a ben quattro dei brani scelti FDG vi aveva in precedenza messo lo zampino, fra cui la già citata Desolation Row/Via della povertà (ma qui era d’obbligo mettervi mano di nuovo, visto il già spiegato mal tolto) e peraltro in una buona versione full band – I Shall Be Released/Come il giorno con anche nell’arrangiamento non dichiarata sottile citazione di Brownsville Girl, il capolavoro scritto da Dylan con Sam Shepard, e If You See Her, Say Hello/Non dirle che non è così sanno molto di minimo sindacale. Inoltre, non si capisce perché non sia stato reverente del suo amico Mimmo Locasciulli, che già incise Series Of Dreams/Una serie di sogni (tradotta dal Principe, è corretto ricordare) e della quale qui, a livello interpretativo, FDG fa pressoché una copia carbone rispetto a quella di Mimmo, come del resto accadde a inizio anno con The Future/Il futuro di Leonard Cohen, dove ancora lo sforzo di differire da Mimmo è stato pressoché zero al quoto.

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Se un album è mixed bag, comunque vuol dire che dentro vi si trovi pure del buono, e di certo qui ve n’è. Difatti, Sweetheart Like You/Un angioletto come te svela con le giuste parole che non si tratti di poema d’amore bensì un poema di fortissima critica socio-politica – peraltro io “sweetheart”, per l’occasione, lo avrei tradotto con “furbetto” o “furbastro” e non con “angioletto”, anche se a Roma in zona Trastevere, magari, si usa così. Altrettanto piace come l’effluvio di parole che gli originali Gotta Serve Somebody/Servire qualcuno – ho letto di gente che si lamentava per come FDG si riferisca a se stesso nel brano, il ché significa che costoro non abbiano forse mai ascoltato Slow Train Coming (1979) o lo abbiano fatto tanto per fare – di Subterranean Homesick Blues – Acido seminterrato ha un gran bell’effetto onomatopeico con l’originale, non v’è che dire! Ah, la serpeggiante nostalgia di casa! – e di Dignity/Dignità – forse il miglior momento del lotto in termini di equilibrio traduzione-interpretazione – begli esempi di un intellettuale che si rapporta a un genio, di quelli che nascono ogni blah blah blah! Tanto, traduzione o no, contenuti o no – nel nostro piccolo ma voglioso cortile, Bob Dylan è più che tutto semplicemente il massimo singolo performer espresso dalla musica americana fin degli anni Sessanta: e questo non è possibile afferrarlo nemmeno con il più riuscito dei dischi tributo. Che non è questo – il quale è un mixed bag album, che bisogna però sentire con almeno un buon grado di curiosità. E lo abbiamo fatto: eppure più di questo non riusciamo a riservargli.

CICO CASARTELLI

FRANCESCO DE GREGORI – Amore e furto/De Gregori canta Dylan (Caravan/Sony)

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