Chukrum + Petruška di Virgilio Sieni. Figure mosse

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Virgilio Sieni, Chukrum - foto © Giuseppe Distefano

 

Alcune note sul dittico che ha chiuso, a Firenze, l’edizione 2018 del Festival La democrazia del corpo.

Sono figure agite da una forza altra, quelle che incarnano il dittico incontrato il penultimo giorno del 2018 in chiusura del proteiforme Festival La democrazia del corpo.

Il coreografo, sia detto per i non addetti ai lavori, è uno dei grandissimi nomi della danza italiana e internazionale contemporanea: Virgilio Sieni, ammirato o invidiato, imitato o criticato, comunque imprescindibile.

Lo spettacolo andato in scena a Cango ha debuttato nel febbraio 2018 al Teatro Comunale di Bologna, in quel caso con musica dal vivo. Nella storica sede fiorentina della Compagnia, pur forse patendo una visione in parte penalizzata dalle ridotte misure dello spazio, è comunque emerso con forza un netto legame, d’acchito non scontato, fra le due parti del dittico, luoghi speculari e complementari in cui le figure in scena appaiono mosse, appunto, da un qualcosa di pre-esistente e più grande rispetto alla volontà, al fare del singolo.

Danza come rigoroso esercizio di ascolto sottile, dunque, piuttosto che espressione di iniziativa, inventiva: un’attitudine da officiante, che fa muovere (evolvere?) il fatto scenico da opera d’arte a opera dell’arte, pare sottendere tanto l’«affiorare di luci nella nebbia» di calviniana memoria caratterizzante Chukrum quanto le più narrative vicende di Petruška.

 

Virgilio Sieni, Petruška – foto © Rocco Casaluci

 

Vien da pensare a I mediatori (1985), saggio in cui Gilles Deleuze si occupa del movimento nelle discipline sportive. Tradizionalmente la nostra concezione  del movimento pone all’origine l’individuo. Si pensi alla corsa, al lancio del giavellotto o al lancio del peso: l’essere umano è sempre il punto di partenza, la sorgente dell’energia, il creatore di potenza e slancio. Il celebre filosofo riflette su discipline come il surf, il windsurf o il deltaplano: sport caratterizzati dall’inserirsi all’interno di un’onda preesistente. L’individuo, non più l’unica scaturigine del movimento, deve cercare di porsi in ascolto, dialogo e relazione con forze che lo trascendono, per raggiungere luoghi altrimenti inavvicinabili.

Una concezione, si badi bene, che solo la magistrale perizia del coreografo e degli interpreti mette al riparo da qualsiasi deriva spontaneistica di sapore superficialmente New Age.

La prima parte del dittico, Chukrum, pone in dialogo le figure con l’omonima composizione di Giacinto Scelsi del 1963: una relazione oggettiva tra pure forme in movimento, un continuum di avanzamenti e retrocessioni di corpi biologici e corpi sonori, o di parti di essi.

Sul diaframma semitrasparente che separa scena e platea appaiono, per brevi attimi, impronte di mani, arti che si estendono al rallentatore, grumi anatomici e di colore, in una consistenza fantasmatica che evoca tanto le prime forme di arte parietale quanto gli ambienti smaterializzati dell’americano James Turrell, secondo una idea di fatto artistico, pare di poter sintetizzare, come pura, oggettiva, finanche fenomenologica ostensione di una datità (anatomica o musicale che sia): una danza che dice “eccomi”, in funzione di una possibile trascendenza, termine che, forse vale ricordarlo, nell’etimologia rimanda all’atto prioritariamente fisico di scavalcare qualcosa, come una staccionata. Superare l’ostacolo del corpo attraverso il corpo è il sorprendente, memorabile paradosso proposto da Chukrum.

Nella seconda parte del dittico, Virgilio Sieni si cimenta in un’impresa da far tremare i polsi, inscrivendosi in una tradizione coreografica madornale (tra i molti che nell’ultimo secolo si sono misurati con l’omonima composizione di Igor’ Stravinskij del 1910-1911, creata per distrarsi dalle fatiche del coevo Le Sacre du printemps, messa in scena per la prima volta da Michel Fokine per la mitologica Compagnia dei Balletti Russi di Sergej Djagilev e in seguito allestita da Aurel Milloss, Léonide Massine e Maurice Béjart, fra gli altri: tutti nomi, vale ricordarlo ai meno esperti, appartenenti alla mitologia dell’arte coreutica del Novecento).

Per evocare la vicenda della celebre marionetta umanizzata della tradizione russa, il coreografo fiorentino agisce per via scultorea, in levare.

Come non pensare a Sul teatro di marionette in cui Heinrich von Kleist mise in scena, attraverso una sequenza di contraddizioni e paradossi, il rapporto tra Animato e Inanimato e, dunque, con il sovrasensibile?

 

Virgilio Sieni, Petruška – foto © Rocco Casaluci

 

In un ambiente dalle tinte pastello, abiti di scena e maschere, fondali e quintature di stoffa semitrasparente velano e al contempo rivelano un armonico intreccio di sincroni, stop, allungamenti, rotazioni, composizioni e quadri d’insieme.

I grandi rettangoli di stoffa, nella relazione con i sei corpi in scena, creano diagonali, volumi e diaframmi, estensioni di linee e posture.

Nel finale le figure, fino a un attimo prima impegnate a tendere verso il centro le stoffe,  indietreggiano di colpo lasciandole a mezz’aria, a creare una minuscola sospensione, una nuvola. Evocando, o forse solamente suggerendo, un altrove che è il vero punctum di questo dittico: una chiusa semplice e perfetta.

A me sembra che l’uomo faccia un qualcosa di più consono alla sua condizione umana quando inventa uno strumento al di fuori della sua persona […] Perché un uomo mediante la propria persona non può conquistare che piccole cose […] Io non credo assolutamente nella magia personale dell’uomo, credo soltanto nella sua magia impersonale. 

(Gordon Craig, Gli artisti del teatro dell’avvenire, in Il mio teatro, pp. 28-29)

 

MICHELE PASCARELLA 

Info: virgiliosieni.it