Un divano a Tunisi (Un divan a Tunis), di Manele Labidi Labbé

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Ph. Carole Bethuel

L’articolo è tratto dal nostro repertorio di numeri cartacei

Siamo in una cittadina nei pressi di Tunisi, nel periodo immediatamente successivo alla primavera delle proteste popolari che costrinse Ben Ali a fuggire ed avviò una difficile transizione verso la democrazia. Selma ha vissuto a lungo in Francia con il padre e ha studiato per fare la psicoanalista. Con una scelta che sorprende i parenti, gli amici e i conoscenti, decide di tornare a casa, per aprire un proprio studio privato, nel quartiere popolare in cui è cresciuta. Ha un carattere forte ed indipendente e non si lascia scoraggiare da quanti gli dicono gli dicono che è una scelta sconsiderata e destinata al fallimento, né si lascia intimorire dalle difficoltà, a partire dalle resistenze della burocrazia pubblica. Adatta così una mansarda della propria casa, con terrazzo annesso, arredandola con un bel divano di ordinanza. Comincia quindi a promuovere la propria attività e ad organizzare i primi appuntamenti, tra la sorpresa e la curiosità di vicini e conoscenti. Ben presto però si trova a fare i conti con usi e costumi del luogo: la diffidenza dei primi “pazienti”, sorpresi per il fatto di dover pagare un onorario per raccontare i propri fatti personali, il tempo contingentato, poco adatto alla flemma ed ai tempi di vita dilatati della cultura araba, la difficoltà di raccontare ad un estraneo, per giunta ad una donna, i propri problemi personali. Poco a poco i clienti di Selma scoprono che quell’ora settimanale trascorsa con la giovane psicoanalista diventa per loro necessaria, stabilendo cosi il più classico dei rapporti di dipendenza medico-paziente. Disavventure e situazioni paradossali e esilaranti fanno da contorno ad una commedia che con il sorriso invita a pensare. Il ritorno a Tunisi di Selma esprime un atto di apertura e fiducia alle aspettative di cambiamento sociale e culturale alimentate dalla rivoluzione. Il percorso è tuttavia accidentato, e si scontra con le resistenze che derivano da valori radicati nella cultura tradizionale, anche rispetto al ruolo della donna. Alla fine il piccolo mondo che gira attorno a Selma si rende conto dell’importanza di quella medicina dell’anima che sono le parole e di come il dialogo e il confronto possa aiutare a fare i conti con la complessità della vita e delle relazioni umane. Presentato alla Mostra del cinema di Venezia, nella sezione Giornate degli Autori.

di Dario Zanuso e Aldo Zoppo