Voce, spazio e identità nello Stabat Mater di Faber Teater

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ph Diego Diaz Morales

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«Il termine cinese che significa vita e destino (ming) non si distingue da quello (ming) che serve a designare i simboli vocali»: un frammento del celebre La musica primitiva di Marius Schneider (1960) pare adatto a introdurre qualche nota su una esperienza che il piemontese Faber Teater da una quindicina d’anni propone ascoltando e poi mettendo in voce abbazie, chiese e cattedrali.

Il repertorio del loro Stabat Mater – creazione per sei voci e un Duomo è elaborato ed eseguito insieme all’artista sonora, compositrice e ricercatrice romana Antonella Talamonti in dialogo, o meglio in ascolto, di e con uno spazio, sacro più nell’accezione prossima all’aderire a una parte profonda, antica del sé, piuttosto che all’idea di onorare attraverso il canto entità altre e alte.

L’esperienza che si vive attraverso questa creazione ha a che fare col rito, termine qui utilizzabile nel senso di occasione di condivisione e possibilità di trasformazione.

Condivisione.

Si è insieme.

E insieme si ascoltano «voci del lutto e del dolore, voci dello scandalo della morte, voci dell’ingiustizia contro l’innocente, voci della perdita incolmabile, voci della ricerca di consolazione».

Ma non sono questi contenuti a rendere commovente, almeno per noi, questo Stabat Mater. Esperienza profondamente, o meglio etimologicamente commovente: fa muovere insieme chi canta e chi ascolta, ancorché si stia seduti sulle panche di una chiesa (nel nostro caso della magnifica Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso, grazie all’ospitalità che l’Art Site Fest diretto da Domenico Papa ha dato al progetto).

I brani sono eseguiti in diverse lingue e dialetti, a noi ignoti: è dunque la loro purezza -o, meglio, trasparenza- che ci fa vibrare con loro.

Sono le sospensioni e i vibranti silenzi che ci mettono a nudo.

 

ph Diego Diaz Morales

 

Trasformazione, si diceva.

Vivere l’esperienza primitiva -per tornare al titolo del saggio citato in apertura- di ricevere un suono inteso come entità vocalica prima e più che semantica crediamo possa avere valore di rivoluzione: è rara quanto preziosa occasione di percepirsi come entità biologiche prima e più che soggetti pensanti (con sistemi di valori, idee ed esperienze, contenuti e messaggi da recepire o veicolare).

A posteriori (perché lì per lì non si può far altro che immergersi in questo bagno di suoni) vien da pensare, ancora una volta, all’amato Sanguineti (in Storie naturali, 1971):

Perché quando uno dice «Io» – appunto – che cosa ti pensi che pensa, in fondo? – Nemmeno lo sa, quello che pensa, veramente. – E invece, dice queste cose qui, proprio, prima di tutto – perché dice i piedi dice tante dita – e poi dice la fronte, le cosce, l’ombelico – non so – dice le ginocchia, le ascelle – no?

Le sei voci abitano e sonorizzano lo spazio in punti diversi, giungono a noi da inaspettate angolazioni facendo vibrare zone specifiche del nostro corpo: la nuca, una spalla, la schiena.

Stabat Mater di Faber Teater dà l’occasione di «ascoltarsi ascoltare», per dirla parafrasando Merleau-Ponty: accorgersi, dunque, della relazione che si instaura con gli accadimenti sonori in cui ci si imbatte.

È un ascolto attento?

Distratto?

Viziato?

Puro?

È arte della domanda, questo Stabat Mater, e forse poco di più si può chiedere a un’opera, quale essa sia.

 

 

Concludiamo queste brevi note -in cui, ci rendiamo conto, abbiamo usato fin troppe volte la parola esperienza e mai concerto o spettacolo- con un frammento di Flatus voci. Metafisica e antropologia della voce di Corrado Bologna (1992), utile a illuminare con precise parole ciò che abbiamo esperito: «Prima ancora che il linguaggio abbia inizio e si articoli in parola per trasmettere messaggi nella forma di enunciati verbali, la voce ha già da sempre origine, c’è come potenzialità di significazione e vibra quale indistinto flusso di vitalità, spinta confusa al voler-dire, all’esprimere, cioè all’esistere. La sua natura è essenzialmente fisica, corporea; ha relazione con la vita e con la morte, con il respiro e con il suono; è emanata dagli stessi organi che presiedono all’alimentazione e alla sopravvivenza. Prima d’essere il supporto e il canale di trasmissione delle parole attraverso il linguaggio, dunque, la voce è imperioso grido di presenza, pulsazione universale e modulazione cosmica tramite le quali la storia irrompe nel mondo della natura».

Grazie a Faber Teater e ad Antonella Talamonti per la visionarietà ed il rigore con cui da molti anni costruiscono una forma colta e popolare di arte viva, dal vivo.

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MICHELE PASCARELLA

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Faber Teater, Stabat Mater – visto/ascoltato nella Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso (TO) il 31 ottobre 2021 nell’ambito di Art Site Fest – info: https://faberteater.com/, https://artsitefest.it/

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