Copilot: ultimo respiro, da domani il mondo sarà diverso

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“Trattengo il mio ultimo respiro al sicuro dentro di me (…) Chiamami, chiamami, mentre scompari nell’oscurità…” cantavano gli Evanescence in My last breath. Chiudo gli occhi e decido di andare alla cieca: visionare il film, come membro della giuria studentesca del Lucca Film Festival e Europa Cinema (ed. 2021), senza leggere la sinossi. Play, cominciamo questo viaggio. Aperto da una suggestiva sequenza di “volo”, il film narra cinque anni di un fil rouge che vive di cambiamenti improvvisi, viaggi, avvicinamenti e allontanamenti, scegliendo il focus della storia d’amore per raccontare, fuori campo, tutt’altra questione.

Si percepisce presto come questa relazione sia instabile, senza però immaginare quello che accadrà in una parte conclusiva che non può lasciare indifferenti. Una riflessione sulle differenze culturali, etniche e religiose e su come queste possano influenzare qualunque relazione.

 

 

Un’opera toccante, che ci ha reso subito tutti d’accordo: vincitore nelle categorie Miglior Film del Concorso Lungometraggi, Miglior Lungometraggio dalla giuria studentesca e ha ricevuto anche il premio del pubblico. Prèmiere mondiale alla 71ma Berlinale, ospitato in Panorama, Copilot di Anne Zohra Berrached è un film che non solo lascia a bocca aperta lo spettatore, ma che riesce a catturare e filmare un evento che ha ribaltato le nostre esistenze.

Il titolo originale, Die Welt wird eine andere sein (Il mondo sarà diverso), percorre, con estrema sensibilità, la storia d’amore tra il pilota dell’United 93, il libanese Ziad Jarrah (ribattezzato Saeed e interpretato da Roger Azar) e la sua fidanzata turca Aysel Sengun (ora chiamata Asli e interpretata da Canan Kir).

Sono due studenti universitari a metà degli anni ’90, e si innamorano a prima vista.

Pian piano lo spettatore scruta l’abisso del loro Io: Saeed è in Germania dal Libano per rendere orgogliosa la sua benestante famiglia e diventare un medico mentre Asli ha dovuto lottare duramente per ottenere un posto all’Università. In laboratorio è la nerd, la prima donna della famiglia conservatrice turca ad arrivare così lontano. Decidono di sposarsi anche se il rapporto è difficile sin da subito: c’è uno scricchiolio ad ogni angolo perché vivono le loro vite in modo quasi brutalmente egocentrico… È come se Asli stesse aspettando passivamente risposte che forse sa non arriveranno mai, tacendo, proprio come ha giurato quando si è sposata: “Dovrai portare con te i segreti di tuo marito e mantenerli per voi”. Saeed sogna di studiare per diventare pilota ma il suo progetto si interseca con qualcosa di più perverso e malvagio, ed il ragazzo, completamente succube di un indottrinamento perde ogni possibilità di discernimento tra bene e male, diventando un’arma vivente. Una caotica armonia aleggia intorno alla cinepresa, che solamente la mescolanza di culture e linguaggi riesce a sprigionare (nel film si parla tedesco, inglese, turco e arabo, a volte anche durante un unico dialogo).

 

 

La regista, lei stessa cresciuta in Germania come figlia di un immigrato algerino, presenta abilmente atteggiamenti musulmani molto diversi in questo paese e li lascia scontrare. Così è Saeed, che inizialmente sembra così aperto e molto più occidentale, che alla fine diventa un fanatico, mentre sua madre, che inizialmente sembra molto più severa e straniera, non può far nulla fino alla fine del suo martirio: per lei, questo è in palese contraddizione con il Corano.Fin dall’inizio, infatti, è ben chiara la dinamica tra i personaggi principali: Saeed fa e governa sempre le cose come vuole che siano, Asli invece osserva, ma soprattutto lascia che le cose accadano, come se fosse culturalmente addestrata a non riconoscere questioni difficili di fronte alla lealtà personale. Solo a volte interviene e cerca di affermarsi, ma il suo sguardo, fisso nell’attesa, è luogo del confronto, punto finale di ogni azione.

L’opera raggiunge una bellezza lirica quando il paesaggio di Beirut da dipinto si trasforma in poesia e i frutti tecnici sono chiaramente sullo schermo. Il trattamento sensibile di una donna intelligente, intimidita dalle tradizioni e dall’amore che la spinge a conoscere l’autoinganno è la parte più forte del film. Mentre Saeed scompare e tuttavia aleggia sempre sulla vita di Asli come un’ombra, l’opera si concentra quasi interamente sulla donna che, nonostante tutto, mantiene costantemente la sua posizione, anche se a volte questo le provoca grande frustrazione perché la passività è sia la sua forza che la sua rovina.

 

 

Sorge spontanea la domanda: dove finisce realmente l’amore e inizia la lealtà come forma di dipendenza? 118 minuti dove la lotta privata per la propria vita non significa solo emancipazione individuale, ma contiene al tempo stesso i problemi di un’intera società. E così il mondo sarà diverso, ma soprattutto sarà un esercizio, dove l’azione del “guardare” risulterà allo spettatore quasi insopportabile, ma proprio per questo affascinante. Asli, con una lettera in mano, datata 10 settembre 2001, legge, impresse per sempre, parole d’amore e vaneggiamenti di un mondo che, all’indomani, sarebbe sicuramente diventato “migliore”.

Non è andata proprio così…

 

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Da quando ne ho memoria, questi sono i miei più grandi amori: canto, teatro, lettura e cinema. Sono una Studentessa del Corso di laurea DAMS presso l’Università degli Studi di Messina. Appassionata di storia dell’arte, letteratura, storia, musica, fotografia e di mummie, il palcoscenico ha fatto parte della mia vita dall'età di 6 anni e da allora non l’ho più lasciato, in qualsiasi veste. Allieva Regista per la Summer School alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano, amo scrivere, in particolar modo poesie e racconti. Pratico volontariato dall’età di 10 anni e Gagarin è la mia prima collaborazione di scrittura come aspirante critica cinematografica.