Anna Maria Ortese, poeta cardilla-iguana

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Questa volta la pagina delle poete appénna ammattìte si apre su una narratrice geniale, che rientra in questa categoria protetta da un accento grave e da uno acuto, adagiandosi delicata sulla magnificenza dei titoli di due dei suoi stessi romanzi: Anna Maria Ortese, poeta, è una cardilla innamorata, è un’iguana.

La grandezza di Anna Maria Ortese scrittrice è stata lentamente recepita dalla letteratura italiana, sempre a margine del canone, e – nonostante riconoscimenti prestigiosi a diverse sue opere, numerosi studi e appassionate recensioni – deve ancora essere apprezzata per tutto quello che riesce a dare. Ogni sua parola è un lapillo incandescente incapace di spegnersi.

… Svanire chiedo
mentre mi guarda. Tu sei là, tu vita
misteriosa, fuggente, dentro quelli
teneri e ambigui, freschi e umani sguardi.
Morire mentre egli mi guarda; dentro
quella dolcezza barbara sparire
sorridendo. Chi fece
il mondo, fece
gli occhi di quello che mi è caro. O madre,
fa che io mi sperda
là dove tutto è oscurità, splendore,
fa che negli occhi del mio amico io dorma.

Dalla poesia Non accetto che tu mi riconforti

Di solito lascio a lettori e lettrici l’approfondimento biografico, ma per Ortese, sottolineo la solitudine che si propaga tra i dati e si raccoglie intorno a lei e ai suoi scritti come sabbia del deserto, quello stesso che ha incontrato nella sua vita in Libia e che ha portato nelle sue pagine.

Casa di Altri
Ingannarci
Non dovevi, vita, Casa di Altri.
Quale tristezza nascere stranieri.

Anna Maria Ortese nasce a Roma nel 1914, con la famiglia si trasferisce a Potenza “neve e pena”, poi in Africa dal tempo immobile dentro la natura, ma anche ‘inferno’ vissuto in una ‘casa di pietra senza porte e finestre, col tetto metà coperto e metà no, dove dal pavimento sbucavano scorpioni, topi e scarafaggi; poi nella Napoli materna, che si incide nella sua favola solitaria e nella quale germoglia l’angoscia della perdita di un fratello che ispira la poesia Manuele e i primi racconti. Ortese è errante tra luoghi e città italiane; nomade mentre diventa autrice riconosciuta fino all’ostracismo doloroso della città partenopea per lo sguardo con il quale penetra nel suo ventre e la restituisce senza mitologia nei racconti de Il mare non bagna Napoli. Continua peregrina a cercare un luogo e nei suoi spostamenti la poesia la accompagna; è il controcanto della prosa, del reportage, del realismo magico dei romanzi e racconti. Fonde gli elementi naturali (luna, notte, mare, animali), li guarda e li sceglie, per poi distaccarsene e appropriarsene in un rispecchiamento tra interiore e esteriore, interpreti della dolorosa fatica di vivere.

 

 

La naturalezza di questa vita piena
di cose non naturali, il dolore
di non capire cos’è il dolore, la disgrazia
di cercare ostinatamente un nome, un segno
qualunque di riconoscimento, e trovare
silenzio e sigilli fin sui rami degli alberi.

Non in me, da ferita
sempre aperta sgorga
la rossa fontana del chiedere,
il mormorio del ricordo
futuro, la frescura di vaste
zone da cui venni, ed era noto il mio nome,
là tra gli astri,
ora tremanti di vergogna. Questa porta
sbarrata sul vero, questo triste
villaggio che tutti hanno lasciato,
questo porto senza navi verde di rimorso.
è il mio universo quotidiano.
La disperazione talvolta mi ricopre,
frusta tutte le mie ossa,
si dibatte come un vento per trovare il nome la colpa. L’origine
della colpa che dette origine alla caduta
− da cui nessuno deve trarmi, alcuna grazia chiamarmi −
in questo quieto interminabile
giornaliero Esilio.

Da Il mio paese è la notte

Le poesie per la cardilla-iguana sono scrittura privata, ordine nel disordine, pubblicate senza apparente cura, affidate a una casa editrice di nicchia, seppur scrive “Hanno accompagnato tutte le stagioni della mia vita – o quasi -, e preceduto la scrittura dei libri in prosa”. Forse lei stessa per prima riconosce che hanno meno respiro lirico della sua narrativa tra il furore e l’incanto, ma in attesa di una edizione critica di tutto il suo lavoro poetico, noi lettrici e lettori possiamo assaporarne la delicata spietatezza della cura e della lungimiranza che si riscontra nella vera poesia.

Questi testi d’altronde non hanno riscontrato grandi plausi, neanche appena pubblicati, se non l’attenzione di Attilio Bertolucci e dell’orecchio musicale di Amelia Rosselli che le apprezza per la loro pazzia stilistica. In effetti Anna Toscano, poeta a sua volta e raffinata interprete e critica di autrici, che ha trascorso tempo sui versi di Ortese, li presenta nei suoi articoli con profondità e ammirazione, sottolineandone la pazzia dell’autonomia stilistica, la composizione autodidatta e soprattutto Toscano ci spinge a cogliere il labile confine tra poesia e prosa, accomunate dalla tentazione di un ritmo, dalla necessità di discorsività, espletamento di emotività, di interiorità e una forte rappresentazione.

 

 

Fatemi fuggire
da questo paese strano
ve ne prego con le mani
giunte, fatemi
andare lontano.

Dove la gente parla
in modo buono e sereno
dove nessuno mente,
dove nessuno trema. 

In Islanda, forse,
o dove comincia il Polo,
il freddo terribile rende
gli uomini sereni e buoni.

Dove c’è il sole non posso,
non me la sento di stare,
e dove c’è folla non voglio,
non posso più abitare.

Tutte queste macchine atroci,
queste parole di minaccia,
queste scene di beffa,
questi patiboli in piazza.

L’uno a vedere come
muore l’altro. Dante vide
queste cose settecento
anni fa.

Era profeta, o grande
cronista del Futuro?
Da Preghiera 

Spesso Ortese lascia i suoi interrogativi sospesi nei versi. Non ci guida nel trovare risposte, lascia che il nostro orizzonte fonda cielo e mare “in un solo colore azzurro, dove questo o quel particolare non hanno più importanza di un vago arricciarsi di spume o brillare di pagliuzze d’argento” (Il Porto di Toledo) interpreti del nostro destino come lei lo è stato del suo “esprimermi o tornare al niente”, con sul capo un turbante o un cappello piumato.

 

Testi di Anna Maria Ortese tratti dalle raccolte:
Il mio paese è la notte
La luna che trascorre. Poesie inedite (1930-1980)
Brano dal romanzo Il Porto di Toledo

Per le note critiche: Anna Toscano, La poesia compagna di vita di Anna Maria Ortese in Minimaetmoralia.it

 

1 COMMENT

  1. Molto bella questa presentazione di Anna Maria Ortese e delle sue poesie! Complimenti a Luana Vacchi.

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