Da Rimini al Quarticciolo e ritorno, con Pier Vittorio Tondelli

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Il 7 ottobre al Teatro Biblioteca Quarticciolo a Roma (ma poi anche il 15 ottobre a Casalgrande, in provincia di Reggio Emilia, il 21 e 22 febbraio prossimi a Terni e il 28 febbraio 2023 all’ITC Teatro di San Lazzaro di Savena, alle porte di Bologna) andrà in scena Rimini, spettacolo diretto da Mario Scandale e nato da un’idea di Giulia Quadrelli.

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Giulia, qual è il tuo legame personale con Rimini?

Il mio legame personale con Rimini è molto forte perché mia nonna è nata e cresciuta in quella città e anche se ho sempre vissuto a Bologna, a casa è sempre stato considerato un vanto il fatto che nelle nostre vene scorresse sangue romagnolo, che è considerato un sangue verace, autentico. Inoltre Rimini è per antonomasia il mare dei bolognesi, qualcosa di familiare dove si torna estate dopo estate, è la fuga vicina, la spensieratezza di tre mesi l’anno quando si è bambini, l’ossigeno di un weekend quando si cresce. La cosa che però mi ha colpito quando abbiamo cominciato questo lavoro di gruppo è come Rimini, la parola stessa “Rimini” sia in grado di attivare in chiunque un immaginario fortissimo, personale e universale allo stesso tempo. Infatti, gli artisti di Gruppo RMN provengono tutti da regioni diverse d’Italia, eppure ognuno di noi ha immediatamente sentito un legame forte con questa città, che fosse di ricordi personali in vacanza, oppure evocato dal cinema di Federico Fellini e di Valerio Zurlini, dalle canzoni di De André, Guccini, Dalla, dalle fotografie di Luigi Ghirri, dai testi di Pier Vittorio Tondelli, che era un grande amante della riviera romagnola, luogo in cui ha ambientato il romanzo Rimini, ma di cui ha parlato anche in moltissimi saggi, articoli e appunti.

Dal punto di vista letterario, il vostro referente è Rimini di Pier Vittorio Tondelli: cosa avete trattenuto di quel romanzo?

Fin da subito è stato chiaro che in questo progetto il romanzo di Pier Vittorio Tondelli non sarebbe stato il punto di partenza per un adattamento drammaturgico, quanto piuttosto una guida, un compagno di viaggio con cui dialogare nella nostra esplorazione di Rimini e della Riviera Romagnola, che è durata quasi tre anni. Del resto, le vicende e i personaggi che Tondelli narra nel testo non hanno forse la stessa forza teatrale di altri protagonisti che possiamo trovare in testi come Altri Libertini, Pao Pao, Camere separate; inoltre la Rimini che racconta Tondelli è quella degli anni ‘80 (il testo è stato pubblicato da Bompiani nel 1985) e per noi non era interessante bloccare il nostro lavoro dentro a quell’epoca. Tuttavia, il segno più forte che il romanzo di Tondelli lascia è la capacità di restituire attraverso un intreccio di storie e di vite -che potremmo definire “di passaggio”- i colori, le atmosfere e l’anima profonda della Riviera, che non si limita a Rimini stessa ma che può essere guardata come una vera e propria metropoli balneare. Ecco: l’intreccio narrativo di Tondelli ci ha guidato in questi anni alla ricerca di persone, vite e parole che potessero restituirci la Rimini di oggi -quella a noi contemporanea-, che sullo sfondo conserva ancora le stesse tinte pastello degli stabilimenti balneari, gli stessi neon che colorano la notte a distanza di quasi quarant’anni, la stessa metamorfosi tra l’estate e l’inverno. C’è però un elemento, l’unico, che coincide tra la nostra drammaturgia e la narrativa di Tondelli: quello dell’apocalisse. Il suo romanzo, infatti, si chiude con l’immagine di un’Apocalisse che dovrebbe abbattersi da un momento all’altro sulla Riviera ma alla fine non arriva mai. A metà della nostra ricerca invece l’apocalisse della pandemia è arrivata davvero. A quel punto è stato inevitabile portare quest’immagine dentro al nostro lavoro. Nel romanzo di Tondelli anche la paura della fine del mondo veniva affrontata con lo spirito imprenditoriale tipico dei romagnoli: “La fine del mondo sul moscone. Cinquemilalire l’ora. Per tutta la notte”, si legge nelle ultime pagine del testo. Noi abbiamo provato a capire come stava reagendo a questi anni così complessi la città al centro della nostra ricerca e abbiamo restituito in scena l’Apocalisse di quella che naturalmente è la nostra Rimini, la nostra interpretazione di ciò che abbiamo visto e incontrato.       

 

                            

Quali difficoltà ha presentato e quali sorprese ha portato, confrontarsi con un autore e un’opera tanto noti?

In realtà il romanzo Rimini non è tra i più conosciuti di Tondelli. O, al massimo, ci è capitato spesso durante il processo di ricerca di parlarne con persone che ricordavano bene il titolo, proprio perché “Rimini” in sé è una parola evocativa, ma non l’avevano letto. Lo spettacolo gioca su questa possibile fragilità del testo, che al tempo della pubblicazione fu anche criticato perché considerato più commerciale rispetto ai lavori precedenti di Tondelli: “Apocalisse? Roba da romanzo…”  dice uno dei nostri personaggi “Pier Vittorio ci aveva scritto due righe su: Rimini se non sbaglio… Non uno dei suoi migliori romanzi, infatti io non l’ho letto. Però ne ho sentito parlare…” Dunque, la vera difficoltà iniziale è stata piuttosto quella di capire, una volta compreso che l’adattamento drammaturgico non ci interessava, quale fosse il modo e la distanza giusta per dialogare con il romanzo e tenerlo durante tutto il processo come una bussola che passo dopo passo ci poteva indicare delle direzioni possibili. La vera sorpresa forse è stato scoprire che il vero interlocutore non era semplicemente il testo Rimini, quanto l’autore stesso -Tondelli- e in senso più ampio tutta la sua produzione letteraria. Più volte nello spettacolo vengono infatti attraversati dei passaggi di Tondelli che si sono progressivamente e spontaneamente intrecciati con i personaggi e alle immagini a cui noi abbiamo dato vita. Uno dei testi più importanti per noi è stato, ad esempio, Biglietti agli amici, testo commovente di Tondelli composto come da piccoli haiku che l’autore ha composto in diversi momenti di vita. Altre suggestioni fondamentali sono venute da Camere separate e la poetica attraverso cui abbiamo guardato fin dall’inizio al mondo della riviera è stata profondamente influenzata dai saggi di Weekend Postmoderno in cui l’amore e la curiosità di Tondelli per questa terra di divertimento e malinconia emerge a più riprese. Del resto anche il protagonista del nostro spettacolo è sicuramente ispirato al protagonista del romanzo Rimini, ma drammaturgicamente parlando per noi è Tondelli stesso che accompagna la nostra indagine e ci presta le sue lenti, il suo sguardo per osservare questo mondo caleidoscopico.

Lo spettacolo, si legge nelle note di accompagnamento, “è il frutto di interviste condotte a più di 50 persone tra albergatori, negozianti, gestori di stabilimenti balneari, cittadini, turisti e persone passate da Rimini tra il 2018 e il 2021”. Che tipo di domande avete fatto alle persone? E come avete affrontato il rischio, molto comune in questi casi, del generico, se non addirittura del trionfo dei cliché?

Le domande da cui siamo partiti erano molto semplici e di base uguali per tutte le persone intervistate: Sei di Rimini? Vivi qui? Che lavoro fai?  Cosa ti piace di questa città? Cosa non ti piace? Com’è Rimini in questa stagione e come cambia nelle altre? A partire da questo nucleo iniziale poi naturalmente ogni intervista ha preso una direzione diversa a seconda di chi avevamo davanti. Tornando a Rimini diverse volte nel corso degli anni ha sempre avuto inoltre una grande importanza il periodo dell’anno in cui ci trovavamo a intervistare le persone. Del resto una delle cose più affascinanti di questa città è proprio la metamorfosi, per non dire la schizofrenia che caratterizza il passaggio tra estate e inverno, o per dirla con le parole di chi vive di turismo, tra “la stagione” e tutto quello che è considerato fuori stagione. Per quanto non siamo certo rimasti nell’immaginario tipico di una volta, Rimini e la riviera sono ancora spaccate tra due identità stagionali diversissime, in cui si passa da una cittadina di 200.000 abitanti a milioni di persone che d’estate l’attraversano. Di conseguenza anche alcune delle persone intervistate sono state figure di passaggio, turisti, gente capitata per lavoro, qualcuno che passa lì solo poche ore per una serata in discoteca o un addio al nubilato. D’altra parte invece, alcune delle persone incontrate attraverso le interviste sono diventate interlocutori abituali della nostra ricerca, che siamo andati a trovare più volte negli anni per capire come la città stava evolvendo e, da un certo punto in poi, come stava affrontando la pandemia o apocalisse in atto. Non c’è mai stata una grande paura di andare a sbattere contro i cliché o i luoghi comuni che a volte possono emergere nel dialogo con le persone intervistate. Anzi siamo sempre stati affascinati dal fatto che Rimini venga spesso associata a stereotipi, a caratteri e maschere  della Romagna che si possono ritrovare anche nel cinema di Fellini e nelle stesse narrazioni di Tondelli. La riviera è anche questo. E nel nostro lavoro infatti siamo volutamente partiti da un racconto dello stereotipo che poi progressivamente viene decostruito perché sotto la superficie, se si guarda bene, c’è sempre molto altro. E così è con le parole delle persone. L’importante è che chi intervista non parta con un pregiudizio, con una visione bloccata sul cliché, ma con l’apertura e l’onestà di accogliere quello che le persone hanno voglia di mostrare o anche quello che lasciano trasparire oltre le parole e le storie che dicono. Tutto sommato il grande cliché della Riviera per noi era proprio il gioco a cui imparare a giocare per poterlo rompere dall’interno e costruire le nostre regole narrative.

 

 

Come avete trattato drammaturgicamente e scenicamente i materiali testuali e, più ampiamente, umani che avete raccolto? 

Naturalmente la parte più difficile nella traduzione di un materiale come le interviste in un testo da portare in scena è capire tra le tante parole e  suggestioni raccolte cosa fosse importante trattenere per raccontare la nostra Rimini. Quindi siamo partiti da un lavoro di improvvisazione in scena che ci facesse capire quali materiali e incontri avessero lasciato un segno più forte di altri. Parallelamente abbiamo riascoltato e trascritto tutti i materiali audio raccolti e a poco a poco l’impalcatura drammaturgica ha preso forma. Ci siamo accorti che per trattenere tutti gli incontri fatti e le voci ascoltate avevamo bisogno di costruire dei macro mondi o come li definiamo noi degli archetipi della Rimini esplorata. In questo modo tutte le interviste sono andate a costruire  i quattro personaggi che portiamo sulla scena per raccontare la città. Ognuno dei quattro volti infatti è  in realtà portavoce di un mondo intero, di uno spaccato in cui si condensano interviste diversissime, spunti catturati negli anni. Questi quattro mondi si alternano sulla scena in un grande gioco di costruzione e distruzione della realtà che raccontiamo. Del resto la riviera è in qualche modo una terra dove si gioca sempre, anche se molto seriamente, e per poterla restituire ci sembrava inevitabile saltare su questa grande giostra, per poterne scoprire gli strati più autentici a poco a poco, un giro dopo l’altro. Il quinto personaggio sulla scena, il protagonista della storia, un regista attirato dalla domanda “Che cos’ha Rimini?” “Qual è il segreto di questo posto che non poteva che nascere qui?” è la nostra chiave drammaturgica per cucire tutti questi mondi tra loro, per portare gli spettatori in viaggio con noi e naturalmente per essere accompagnati dalle parole e dai testi di Tondelli, di cui il personaggio stesso è per noi una sorta di alter ego. Anche la costruzione stessa della parabola teatrale che tracciamo prende in prestito una tecnica di scrittura che a Tondelli era molto cara: quella del reportage creativo, in cui il racconto della realtà e la finzione creata da chi racconta si intrecciano profondamente, sfumando i reciproci confini.

Nella ricezione e nelle reazioni del pubblico, per la vostra esperienza, in che maniera influisce l’eventuale vissuto personale in quella città?

La risposta del pubblico di fronte a uno spettacolo che dichiaratamente parla di un luogo specifico è qualcosa su cui ci siamo sempre interrogati anche durante la fase di lavorazione. E ora che siamo in scena davanti al pubblico è interessante vedere come naturalmente le reazioni siano diverse in base alla geografia dei teatri che ci ospitano. Alcuni pubblici rispondono di più ad alcune tematiche, altri ad altre. Naturalmente quando ci troviamo in zone non troppo distanti dalla Riviera Romagnola la lettura del lavoro può essere influenzata da molte esperienze e ricordi personali, e questo può rendere le cose più facili, ma anche più difficili. In alcuni luoghi magari vengono colti alcuni riferimenti specifici o battute che magari per chi non è mai stato a Rimini ci mettono un po’ di più prima di entrare nell’orecchio. In generale però ogni pubblico trova dei punti di aggancio e questo perché in realtà anche se noi parliamo di Rimini, i mondi che raccontiamo  sono mondi in cui chiunque si può riconoscere. Anzi il fatto che questa cittadina di medie dimensioni durante l’estate si trasformi in una metropoli dove tante vite anche molto diverse tra loro hanno occasione di incontrarsi (famiglie con bambini, clubber della notte, anziani, dj, vip e persone normalissime) la rende un grande condensato della nostra cultura contemporanea. In un certo senso Rimini nel nostro spettacolo è una sorta di Italia in miniatura, per dirla con il nome di uno dei più famosi parchi divertimento della Riviera. Tutti si possono riconoscere in quello che raccontiamo, perché parlando di questa caleidoscopica località balneare, cerchiamo di portare in scena una più ampia riflessione sul nostro tempo, sul nostro paese e sulla cultura italiana tutta di cui facciamo parte.

 

 

Per concludere (e per rilanciare): secondo te cosa è possibile scoprire di nuovo, di Rimini o di sé stessi, attraverso il vostro spettacolo? 

Di sé stessi forse è un po’ ambizioso. Però la nostra idea, nel dedicare tanta attenzione e ricerca a un luogo così specifico, forse può lasciare un segno nel rendersi conto di come sia scavando nel piccolo dettaglio delle vite, delle storie e delle immagini che puoi davvero arrivare a parlare di tutti e con tutti di quello che ci sta succedendo, di quello che viviamo. E poi sicuramente, come dice anche il nostro protagonista alla fine dello spettacolo l’immagine di Rimini che resta con noi, dopo tante luci e tanto chiasso di terra di grandi sognatori ma se vogliamo anche grandi illusi, “è un playback fuori sync, al termine del quale -comunque- c’è sempre qualcuno che applaude”.