Kilowatt a Cortona tra pietre, sole e Storia

0
15
Cortona

Da due anni il festival Kilowatt, diretto con affabilità, competenza e accoglienza estrema dai direttori Lucia Franchi e Luca Ricci, dalla tradizionale Sansepolcro, da dove tutto è partito ventun anni fa, ha spostato una parte della sua programmazione a Cortona.

Qui, il turismo degli americani, il sole sulle pietre, le piazzette, le degustazioni di vino, le performance con macchine equipaggiate con decine e decine di casse e potenti subwoofer dai bassi tremolanti, l’imponente comune, le chiesette adibite a teatro, le salite irte e le discese scoscese, l’interessante mostra fotografica Cortona on the Move, le tante gallerie d’arte, si respira quel clima di festa e vita che ogni rassegna dovrebbe avere nel proprio dna, ovvero il teatro immerso nel mondo, non un oggetto a sé stante, non un corpo estraneo al contesto, il tutto entrando in punta di piedi, senza stravolgere l’identità di una cittadina ma apportando quel surplus culturale senza arroganze né presunzione.

 

Lucia Franchi e Luca Ricci

 

Possiamo dire che Kilowatt si è fatto subito amare anche a Cortona (dal 19 al 23 luglio); le attività principali nello scenografico Chiostro di Sant’Agostino ma utilizzando tutti gli spazi, anche i più nascosti, della città che ha dato i natali a Lorenzo Jovanotti: ecco la Palestra di San Sebastiano, Piazza della Repubblica, il Teatro Signorelli, Piazza del Duomo, la Chiesa di San Niccolò.

Padrino di questa edizione è stato Antonio Latella, titolo di questa annata è stato Paradiso Adesso.

Ricordando il Living Theatre e la performance omonima di 55 anni fa.

Kilowatt è pop, mai serioso, mai pedante, per addetti ai lavori ed esperti ma anche aperto a tutti quelli che vogliono affacciarsi sui nuovi linguaggi, un festival senza chiusure né preclusioni a prescindere.

Un programma composito e spumeggiante che ci ha portato dal festeggiato Latella a Licia Lanera, da Roger Bernat ai Sacchi di Sabbia, da Virgilio Sieni  a Matilde Vigna, da Mario Perrotta a Lorenzo Maragoni, da Teatrino Giullare a Berardi Casolari, dalla Societas a Psicopompo Teatro fino a Sosta Palmizi.

Teatro di parola ma anche tanta danza.

Basta non aver timore di buttarsi a sperimentare, respirare il nuovo che avanza.

 

 

Bello e intenso il titolo Di ridere di piangere di paura di e con Gioia Salvatori accompagnata da un polistrumentista che passa dal sax all’ukulele al flauto dolce a quello traverso.

La sua, tra cabaret e stand up comedy ora vittimista adesso arrabbiata, sempre appassionata, è un’invettiva, un’arringa che non coglie bene il bersaglio.

Un testo polemico che potremmo definire generazionale non in base all’anagrafe (l’autrice ci dice che ha 40 anni) ma in base a questo mood che negli ultimi decenni è in voga nei teatri: quell’autorefenzialità, quel lancinante, quasi allegra modalità, di concepirsi nella realtà, quel vivere tra fallimenti e psicosi, tra sogni abortiti ancora prima di cominciare a metterli in pratica partendo già sconfitti.

C’è a tratti una celebrazione di queste avventure della nostra giovane Werther che non trova pace tra infinite lamentazioni (ovviamente porta alla risata della platea che sogghigna per esorcizzare), tra urla e corse.

Poi ci sono anche strappi di poesia: A noi ci piove dentro però è l’irrazionalità la qualità che più prende il sopravvento e che si esalta in questo andamento che certifica le doti sceniche e attoriali della Salvatori a discapito però di una sostanza che si sfarina, si perde, si sbriciola.

Canta, bene, usa e sciorina i dialetti, emiliano, napoletano, toscano, romano, siciliano, e sembra proprio volerci dimostrare tutto il ventaglio delle sue possibilità e potenzialità sul palco in questo monologo del quale alla fine ci rimane impigliato poco tra le dita se non qualche frase ad effetto che certamente fa colpo ma che arriva come un colpo a ciel sereno tra un flusso di coscienza bombardante come uno scroscio di monsone.

Ancora uno spettacolo sulla fatica di vivere, sul non riuscire a trovare pienamente la propria strada, nel trovare soddisfazione all’irrequietezza, calma alla frenesia, posa ai respiri affannati, quiete alle storie tese, soprattutto con se stessi.

Non un lavoro sulla parola, come dichiara nel j’accuse iniziale, ma più che altro un lavoro di parole lanciate nell’agorà a fare turbinio e rivoluzione, baruffe estemporanee che certo fanno simpatia e provocano empatia ma che lasciano il vuoto al loro passaggio.

 

 

Chi sono?

Cosa faccio?

Sono le domande cardini del pezzo.

Il caldo appiccicoso di luglio non aiuta la comprensione, l’afa della chiesetta fa incollare i pensieri al palato e sudare gli occhi.

Si riempie il tempo di parole non sappiamo se cercando più la risata consolatoria che la riflessione.

Una sorta di Bridget Jones in pericolante e claudicante equilibrio instabile tra sarcasmo e rimpianti e desideri ammuffiti e pentimenti, rammarichi irrisolti, rimorsi d’annata e dannatamente pentiti.

Le precarietà, lavorative e sentimentali, quella disperazione compiaciuta che ci fa pensare che la parte attorialmente più potente della Salvatori sia quella drammatica schiacciata però dall’ammasso di appunti e materiali tra il mondo che non ci comprende là fuori e il mondo del teatro che non ci valorizza qua dentro.

Parole rotolanti con tante linee vagamente accennate, tutte intraprese e subito abbandonate.

La necessità?

L’urgenza?

La poesia c’è, si scorge, ogni tanto fa capolino poi però annega e s’arena e annaspa sotto l’effluvio gonfio, debordante e straripante della mitragliata di parole che s’accatastano non lasciandoci fiato.

Previous articleMessaggi dal Santarcangelo Festival #3 – Lourdes
Next articleBagnacavallo al cinema, al via la seconda parte
Sono laureato in Scienze Politiche alla Cesare Alfieri di Firenze, sono iscritto all'Ordine dei Giornalisti dal 2004 e critico teatrale. Ho scritto, tra gli altri, per i giornali cartacei Il Corriere di Firenze, per il Portale Giovani del Comune di Firenze, per la rivista della Biennale Teatro di Venezia, 2011, 2012, per “Il Fatto Quotidiano” e sul ilfattoquotidiano, per i mensili “Ambasciata Teatrale”, “Lungarno”, per il sito “Words in Freedom”; per “Florence is You”, per la rivista trimestrale “Hystrio”. Parallelamente per i siti internet: succoacido.it, scanner.it, corrierenazionale.it, rumorscena.com, Erodoto 108, recensito.net. Sono nella giuria del Premio Ubu, giurato del Premio Hystrio, membro dell'A.N.C.T., membro di Rete Critica, membro dell'Associazione Teatro Europeo, oltre che giurato per svariati premi e concorsi teatrali italiani e internazionali. Ho pubblicato, con la casa editrice Titivillus, il volume “Mare, Marmo, Memoria” sull'attrice Elisabetta Salvatori. Ho vinto i seguenti premi di critica teatrale: il “Gran Premio Internazionale di critica teatrale Carlos Porto '17”, Festival de Almada, Lisbona, il Premio “Istrice d'Argento '18”, Dramma Popolare San Miniato, il “Premio Città di Montalcino per la Critica d'Arte '19”, il Premio “Chilometri Critici '20”, Teatro delle Sfide di Bientina, il “Premio Carlo Terron '20”, all'interno del “Premio Sipario”, “Festival fare Critica”, Lamezia Terme, il “Premio Scena Critica '20” a cura del sito www.scenacritica.it, il “Premio giornalistico internazionale Campania Terra Felix '20”, sezione “Premio Web Stampa Specializzata”, di Pozzuoli, il Premio Speciale della Giuria al “Premio Casentino '21” sezione “Teatro/Cinema/Critica Cinematografica e Teatrale”, di Poppi, il “Premio Carlos Porto 2020 – Imprensa especializada” a Lisbona. Nel corso di questi anni sono stato invitato in prestigiosi festival internazionali come “Open Look”, San Pietroburgo; “Festival de Almada”, Lisbona; Festival “GIFT”, Tbilisi, Georgia; “Fiams”, Saguenay, Quebec, Canada; “Summerworks”, Toronto, Canada; Teatro Qendra, Pristhina, Kosovo; “International Meetings in Cluj”, Romania; “Mladi Levi”, Lubiana, Slovenia; “Fit Festival”, Lugano, Svizzera; “Mot Festival”, Skopje, Macedonia; “Pierrot Festival”, Stara Zagora, Bulgaria; “Fujairah International Arts festival”, Emirati Arabi Uniti, “Festival Black & White”, Imatra, Finlandia.