Un grande disordine: ho visto 100 don Milani, all’ex città manicomio di Firenze

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Del resto il mondo non l’ho fatto io e non è colpa mia se è tanto squilibrato che il più modesto tentativo di riequilibrio prende subito l’aspetto (o fors’anche contiene realmente in sé qualcosa) di un grande disordine.

don Lorenzo Milani, Lettera a Francesca Ichino, 26 febbraio 1959

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In teatro, quello d’una volta almeno, c’è una regola, non scritta ma quasi sempre applicata: ciò che non puoi nascondere mettilo in evidenza.

Eccomi dunque -in apertura di questo articolo che vuole accennare, senza poter esaurire alcunché, a un intreccio di progetti stratificati nel segno di un gigante, don Lorenzo Milani– a chiarire due cose.

La prima.

Da almeno trent’anni io, di don Milani, sono un fan, un ammiratore sfegatato, una sorta di groupie sentimentale.

Da sempre lo leggo e mi commuovo, lo penso e mi commuovo, ascolto parlare di lui e mi commuovo, leggo libri o articoli su di lui e mi commuovo, vedo le fotografie di Barbiana e mi commuovo, ne scrivo e mi commuovo.

Va da sé, dunque, che queste righe non potranno avere alcun valore analitico, tanto meno storico né scientifico.

La seconda.

Con gli autori e le opere che qui nominerò ho gradi di prossimità diversissimi, che mi pare corretto esplicitare.

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Beppe Casales, creatore e interprete dello spettacolo Cara professoressa (andato in scena a San Salvi il 6 luglio scorso) non l’ho mai visto.

E non ho nemmeno visto lo spettacolo, a causa di un antipatico problema di salute che mi ha impedito di recarmi a Firenze, quel giorno.

Ho visionato unicamente un trailer di 8 minuti, di questo suo lavoro: a partire da quel materiale lo inscriverò in una traiettoria più generale.

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Mario Lancisi, autore del saggio Don Milani. Vita di un prete disobbediente (TS Edizioni, 2023) l’ho incontrato una sola volta: quando, il 27 giugno scorso a San Salvi, ho dialogato con lui e con Giudo Carotti, ex allievo del priore di Barbiana, per presentare questo suo ultimo libro.

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Claudio Ascoli e Sissi Abbondanza, anime e motori dei Chille de la balanza, li conosco da alcuni anni.

E li stimo moltissimo.

Per molti motivi.

Uno di questi: la pervicace attitudine a costruire un noi.

Un esempio fra molti, per rimanere attaccati all’oggetto di questo discorso: 2023, centenario della nascita di don Milani, a cui loro sono da molti anni han dedicato mille progetti diversi.

Cade peraltro nel cinquantenario della loro fondazione.

Altri teatranti, con molto meno, avrebbero apparecchiato un progetto autocelebrativo coi fiocchi, rimettendo in scena il proprio repertorio a tema. E stop.

E invece: per l’occasione i Chille si inventano un progetto, I CARE. Don Milani 100, in cui a fianco di loro creazioni programmano una grande quantità di sguardi altri su quella rivoluzionaria avventura umana.

Altri spettacoli.

Incontri con autori di libri dedicati a don Lorenzo.

Film.

Una mostra d’arte.

Azioni partecipate.

Se penso al narcisismo dilagante nella società teatrale italiana contemporanea questa attitudine ad includere e allargare mi pare cosa preziosa e rara.

Che già basterebbe per ringraziare.

Luigi D’Elia, attore e autore pugliese, nel progetto dei Chille ha presentato il suo spettacolo Cammelli a Barbiana.

La prima volta che lo sentii raccontare una storia eravamo in un bosco su una montagna svizzera, molti anni fa.

Ricordo la malinconica pacatezza del suo incedere, e l’incanto nello scoprire che quella storia misteriosa e cupa, e quel tono, e quel ritmo così anti-bambineschi per come ci si può immaginare avevano incantato e commosso quella platea infantile e adulta.

Quell’accadimento, attraverso il racconto, ci aveva fatto approssimare a un nucleo misterioso e incandescente, che è ciò che l’arte deve sempre provare a fare, forse.

Altrimenti raccontar storie è intrattenere, divertire, fare cronaca, emozionare superficialmente, veicolar messaggi: è quel che già fanno i musei, la televisione e i parchi divertimenti. Non serve a nessuno, o comunque non ha nulla a che fare con l’arte.

Da quel giorno fra i monti svizzeri, con Luigi ci siamo un po’ alla volta meglio conosciuti.

È cresciuta un anno dopo l’altro una stima fatta di poche parole e molte risate.

Abbiamo anche collaborato.

E tutt’ora collaboriamo: cercando di allargare i discorsi.

Questo spettacolo, Cammelli a Barbiana, l’ho visto nascere e crescere e volare.

E ogni volta che l’ho visto, ogni singola volta, mi son commosso.

E poi, forza del centenario, Mondadori ha commissionato a Francesco Niccolini una biografia per ragazzi di don Milani.

Niccolini, drammaturgo che da molti anni collabora con Luigi D’Elia e che ha scritto Cammelli a Barbiana, ha coinvolto lui e Sandra Gesualdi, giornalista e studiosa che da molti anni, per ragioni anche biografiche, approfondisce l’esperienza di don Milani e della sua scuola.

La scuola più bella che c’è si intitola, questa biografia.

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In questo fin troppo lungo preambolo ho fatto quello che non si dovrebbe fare mai: dire io.

Ma in questo caso è necessario esplicitare il proprio posizionamento rispetto all’oggetto di osservazione, anche a partire dall’attitudine spigolosamente interpellante che don Milani stesso ha espresso in tutte le sue relazioni (con i ragazzi della sua scuola, con chiunque li andasse a trovare, con i destinatari delle sue molte lettere, con le autorità ecclesiastiche e civili, eccetera), come tutte le opere nominate in queste righe in molti e diversi modi raccontano.

Rovello del critico: come contenere nella ragionevole misura di alcune pagine un materiale così proteiforme, così smisurato?

Occorre trovare una traiettoria il più possibile chiara, ancorché certo parziale e massimamente opinabile.

Posto che si tratta di polarità e sfumature, a favor di analisi vorrei ora organizzare queste proposizioni secondo il parametro della gittata del loro fare.

Detto altrimenti: dove si colloca il fuoco del discorso di ciascuno su don Milani?

Posizionerò ora queste creazioni, del tutto arbitrariamente, in una possibile scala graduata: dal più distante al più prossimo rispetto al soggetto attuante, per usare un termine caro a Grotowski.

 

 

Nel frammento di Cara professoressa di Beppe Casales che ho potuto visionare online il referente altro del discorso è la scuola finlandese, come modello scolastico affatto attento all’inclusività à la don Milani.

L’interprete nella prima parte si rivolge a una invisibile professoressa per poi indirizzare il proprio discorso direttamente alla platea.

“Così lontano così vicino”, si potrebbe dire con Wim Wenders, per sintetizzare l’arco che questo frammento disegna, supportato da un modus recitandi affatto concreto, solido, diretto.

In questo apparente paradosso sta un elemento fondante di ogni d’arte, ancor più spinoso quando assume a oggetto il raccontar biografie e fatti realmente accaduti: l’indicibilità.

 

 

Si rivolge fattivamente ai molti curiosi e/o appassionati dell’avventura di don Milani il nuovo, corposo saggio di Mario Lancisi (l’autore ha nel corso degli anni prodotto numerose pubblicazioni su don Lorenzo).

Ripercorre la biografia del Priore, e la aggiorna includendo la recente visita a Barbiana di Papa Francesco (e conseguente riabilitazione, concetto tanto surreale quanto al contempo comico e tragico) e le testimonianze di Adele Corradi e Francuccio Gesualdi.

Istruttivo.

 

ph Domenico Semeraro

 

“Del resto mi è odioso tutto ciò che mi istruisce soltanto, senza accrescere o vivificare immediatamente la mia attività”: il frammento di Goethe citato in apertura della prefazione della seconda Considerazione inattuale di Friedrich Nietzsche, dal celebre titolo Sull’utilità e il danno della storia per la vita, lo si sarebbe forse potuto leggere sul muro della scuola, a fianco del celeberrimo “I care”.

E, forse, potrebbe sintetizzare l’intento esortativo di I care. Lettera a una professoressa dei Chille de la balanza, dispositivo scenico interattivo che si fonda su una reiterata attivazione del pubblico presente.

Un’esperienza estetica (dunque, letteralmente “non anestetica”) multidisciplinare che può accadere solo grazie al decisivo apporto delle persone in sala.

È dunque pienamente nello spirito di donmilaniana assunzione di responsabilità individuale e collettiva, ciò che Claudio Ascoli, Sissi Abbondanza e compagni fanno accadere: significanti e significati, semplicemente e limpidamente, coincidono.

Filmati d’epoca (tra cui don Lorenzo a Barbiana e Pier Paolo Pasolini che elogia Lettera a una professoressa) introducono un accadimento che ibrida racconto, scrittura collettiva, disegno, assemblage, installazione, musica bachiana, aleatorietà e tanto altro.

Ciò non faccia pensare a una qualche stramberia concettuale, sfiziosa per pochi e respingente per molti.

Vi è una concretezza da artista / artigiano, in questo fare: la necessità di attivare chi è presente, di fare qualcosa che sia concretamente efficace per chi è lì.

Parallelamente, il concreto fare di chi è presente permette al dispositivo di funzionare: se alcune spettatrici e alcuni spettatori non aiutano, insieme, a costruire in scena panche e tavoli, lo spettacolo, semplicemente, non può proseguire.

Cristallino.

 

ph Michela Cerini

 

Hanno un (doppio) fuoco interno, metateatrale e metalinguistico, Cammelli a Barbiana e la biografia La scuola più bella che c’è che da quello spettacolo origina.

Ancora: non si pensi a opere criptiche, apprezzabili solamente da sofisticati addetti ai lavori.

Tutt’altro: lo spettacolo da anni commuove (nel senso etimologico del far muovere insieme) in tutta Italia le platee più diverse e il romanzo ha in sé un preciso calore certo capace di parlare ai giovani lettori e alle giovani lettrici a cui è destinato.

Ciò che voglio sottolineare, nell’arbitraria traiettoria qui tracciata, è come in queste due creazioni sia affatto trasparente (ed evidente, e centrale) l’avventura del linguaggio che le costituisce.

Non mi stanco di ripeterlo (è un’ovvietà, ma a volte romanticamente ce ne dimentichiamo): ciò che fa la differenza, nell’arte, è il come, non il cosa.

L’efficacia comunicativa di un’opera, si sa, è data dalle molte relazioni tra gli elementi che la costituiscono: internamente fra gli elementi stessi, esternamente tra questo sistema complesso e i sistemi complessi altri con cui si trova, in mille modi e forme, a interagire.

Se fosse solo questione del cosa, un mio ritrattino di una signora varrebbe artisticamente quanto La Gioconda, o uno spettacolo sulla guerra dei bambini della parrocchia vicino a casa mia sarebbe arte tanto quanto una battagliera creazione del Living Theatre.

E invece.

 

 

Nel caso di Cammelli a Barbiana e di La scuola più bella che c’è, sintetizzo, il fuoco interno fa sì che siano esemplarmente evidenti alcuni principi della comunicazione, verbale e teatrale.

Come non pensare, in questo senso, al valore politico e rivoluzionario delle parole, per don Milani?

Un esempio a mo’ di sineddoche, per non tediare con troppi tecnicismi: la tecnica cosiddetta del cannocchiale, o del microscopio.

Sia lo spettacolo che la biografia procedono alternando con precisa sapienza descrizioni minute di situazioni e avvenimenti, che permettono a chi legge / assiste di immaginarsi con esattezza ciò che viene narrato e dunque costruirsi proprio un teatro immaginario (dunque, interno ad ogni persona) e attraversare di sorvolo tratti anche ampi della biografia del Priore.

Come se, in fotografia, si alternassero paesaggi smisurati e dettagli piccolissimi.

Questa biforcazione tecnica, assieme a diverse altre che non sto ora a nominare, in queste due opere compagne fa il paio con una precisa attitudine ad essere emotivi senza sentimentalismi, appassionati senza piagnistei.

La TV del dolore, da Maria De Filippi a tante e tanti altri, ci ha mostrato quanto sia facile (ancorché subdolamente manipolatorio) ottenere consenso tramite l’emotività.

Tenere a bada l’emozione senza eliderla dal proprio discorso, affinché ogni persona sia attivamente -e intimamente- responsabile del proprio posizionamento rispetto a questi fatti: bisogna volerlo fare.

Bisogna saperlo fare.

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Dispiace staccarsi da un oggetto di sguardo tanto amato.

Ma l’ho tirata già fin troppo lunga.

Ecco dunque che chiudo queste note facendo mio l’ultimo dei ringraziamenti de La scuola più bella che c’è:

“Grazie a don Lorenzo Milani, che non smette di metterci a soqquadro la vita”.

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