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Questo viaggio ha inizio tre anni prima della partenza.
Il suo inizio, per la precisione, fu quando mi arrivò in dono da un caro amico, per posta, una guida turistica della contea del Suffolk. Il libro in questione è una quinta edizione revised datata 1933, edizioni Methuen, scritta da William A. Dutt. L’editore pubblicò la collana The Little Guides a partire dal 1899 fino al 1959.
A differenza di Lucy Honeychurch, che in Camera con vista di E.M. Forster si trova sola in Santa Croce senza l’ausilio dell’immancabile guida Baedeker, io viaggiatrice solitaria mi premuro di portare con me le cosiddette “guide scadute”. Solo al mio ritorno scopro che ho un predecessore (ma poi chissà quanti altri): un inglese dal nome di Michael Portillo che nel documentario Great Continental Railway Journeys sulla BBC se ne va su e giù per mezza Europa in treno, vestito di giacche sgargianti, con la guida Bradshaw al suo fianco.
La mia guida è in formato tascabile con la copertina rossa e a Suffolk manca una L. Ha le pagine finissime, 11 fotografie in bianco e nero e una raffinata mappa pieghevole della contea verso cui questa estate ho deciso di dirigermi. È grazie a questa e alla dettagliata mappa delle ferrovie del Suffolk che scopro di aver trovato una sistemazione totalmente isolata e irraggiungibile da ogni treno. Dato che anche la signorina Honeychurch al giorno d’oggi farebbe affidamento sul suo smartphone, decido di consultare Google Maps che ribadisce ciò che la guida dice: la chiesa di Mickfield che ho scelto come residenza temporanea di viaggio, la raggiungi comodamente solo via ruote. Certa di poter fare affidamento sulla generosità dell’ospite (da cui verrò oltremodo viziata) inizio a cercare ispirazioni per le mie piccole scorribande di prossimità.
A cavallo del Tempo, tra ciò che ancora è visibile e ciò che è scomparso, scelgo mete vicine, a pochi giri di ruota.
Sarà poi il mio ospite, Richard, a condurmi per mera utilità nel villaggio più vicino, Debenham, a far compere. La vecchia guida dice che questo villaggio non ha molti elementi di interesse ma visto che il sig. Dutt scrive a inizio Novecento alcuni di questi criteri di valutazione, mi dico, saranno mutati. Difatti decido di tornarci a cavallo di una bicicletta Raleigh un tantino acciaccata che mi è stata gentilmente data in prestito. Mi raccontano che, in quel villaggio, c’è una libreria chiusa in poche stanze di una casa e che il libraio ordina i libri con un criterio talmente personale che un singolo autore lo si può trovare sparso tra moltitudini di scaffali diversi. È con un senso di incantamento che mi ci dirigo, attraversando lentissima, e accompagnata da un costante cigolio della ruota, quella campagna che rese Constable pittore.
Solo pedalandoci scopro che il Suffolk non è così piatto come si va dicendo e fatico un pò nel superare quei declivi subitanei e inattesi in un paesaggio tanto sobrio e dal cielo basso. Appena arrivata in paese decido di attendere che la libreria apra bevendo tè, mangiando scones e osservando certe vecchie case curiose. Apprezzo molto di non dover scegliere dato che, delle due caffetterie esistenti, solo una è aperta ed è pulita e prosaica come desideravo fosse. Dalla vetrina lancio occhiate alla vecchia Raleigh che se ne sta appisolata, senza lucchetto, accanto ad un albero; bevo una miscela scura, bollente e mi lascio osservare dagli sguardi che provengono da un crocchio di teste candide. Mi metto a leggere alcuni passaggi della guida che racconta di quei luoghi distrutti dalle rivolte condotte dalla Regina celtica Boudicca contro i Romani e di quanto durante il Medioevo i giorni di mercato fossero terribilmente affollati e poi dei floridi commerci di lana e di una chiesa misteriosamente scomparsa tra le viscere della terra assieme ai suoi fedeli.
Fuori invece c’è questo contrasto: un ozioso pomeriggio estivo dove non accade nulla di speciale (ma dove tutto è intensamente vivo) e vedo passare un signore distinto con il maglione bucato e mi appare una mucca dorata posizionata davanti a Palfrey and Hall, il macellaio. Il signor Shacklock, il libraio, ha aperto la porta di casa sul retro. Entrando lo sento salutare ma senza spostare lo sguardo dalla rivista che sta leggendo. Individuo un libro usato di Rumer Godden poi attraverso l’altra stanza, giro tra gli scaffali e un altro libro della stessa autrice compare altrove e poi un altro più in là. Lo trovo divertente perché invece i libri di saggistica sono tutti in ordine, con un bel cartellino che ne descrive i contenuti: Cose Vittoriane, Fiori spontanei, Ceramiche orientali.
Il libraio impacchetta con cura il libro che ho scelto nella carta, scambiamo due parole sul turismo che divora le cittadine del sud dell’Inghilterra ma che ancora non ha modificato il volto del suo villaggio. Per ora.
Quando riparto con il libro nel portapacchi arrugginito della Raleigh già mi figuro la cena, la mia sedia pronta, la tavola apparecchiata con qualche drappo colorato in un qualche punto remoto di un giardino caotico e bellissimo. Scriveva Virginia Woolf nel suo diario, l’8 Agosto del 1907 “e io vagabonderò per il viottolo lastricato e vedrò la mia sedia pronta, la tavola apparecchiata e un’anziana chiacchierona mi servirà raccontandomi le novità del paese – c’è stata una svendita, qualcuno ha avuto un bambino; e il postino è morto”.
Quell’estate Virginia fece le sue vacanze nel Sussex a Rye, io in qualche villaggio sperduto dell’Essex e in entrambi i casi, ne sono certa, “qui è davvero rimasto qualcosa di noi”.
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